Il mero silenzio del conduttore non manifesta disinteresse alla prosecuzione del rapporto

Alberto Celeste
23 Dicembre 2022

Con la sentenza in commento, la Cassazione, ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato il riconoscimento del diritto all' indennità per il conduttore, il quale aveva mancato di rispondere alla lettera con cui il locatore gli aveva chiesto se intendeva o meno proseguire nel rapporto di locazione, anziché farlo risolvere alla sua scadenza naturale.
Massima

Nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo, l'indennità per perdita dell'avviamento commerciale non è dovuta in caso di recesso del conduttore, o per sua iniziativa oppure in adesione ad un patto di risoluzione e, quindi, se la cessazione del rapporto è riferibile alla volontà del conduttore, la quale deve essere espressa o chiaramente desumibile da comportamenti idonei a manifestare disinteresse alla prosecuzione del rapporto, tra i quali non può includersi il mero silenzio.

Il caso

La fattispecie sostanziale, sottoposta all'esame del Supremo Collegio, registrava la presenza di Tizio, il quale aveva concesso l'immobile di cui era proprietario in locazione ad uso non abitativo a Caio, con durata della locazione dal 20 febbraio 2004 al 19 febbraio 2010.

Prima dell'ulteriore scadenza dei sei anni (2016), il locatore aveva notificato, in data 22 gennaio 2015, la disdetta finalizzata ad impedire un'ulteriore rinnovazione, tuttavia, prima che questa si compisse, aveva scritto al conduttore chiedendogli di conoscere la sua determinazione in ordine all'eventuale ulteriore proroga del rapporto per altri sei anni.

Il conduttore non ha aveva alcun riscontro a tale lettera, per cui Tizio aveva agito per il rilascio dell'immobile alla scadenza per cui era stata data disdetta, ma Caio aveva depositato un ricorso in opposizione, con cui aveva chiesto di condizionare il rilascio del locale commerciale al pagamento in proprio favore dell'indennità di avviamento, invocando, altresì, la sospensione dell'esecuzione fino alla corresponsione della predetta indennità.

Il giudice dell'esecuzione aveva sospeso la procedura, ed il locatore aveva introdotto un giudizio di merito. all'esito del quale sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano accolto l'opposizione, dichiarando, al contempo, il diritto del conduttore all'indennità di avviamento.

Il locatore proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare, in concreto, se fosse stato violato il disposto dell'art. 34, l. n. 392/1978: atteso che tale norma riconosce al conduttore di un immobile ad uso commerciale l'indennità di avviamento in caso di risoluzione del rapporto purché, però, il conduttore non abbia manifestato di non avere più interesse alla locazione, si trattava di accertare, in particolare, se questa manifestazione di volontà era stata espressa dal conduttore attraverso la mancata risposta alla lettera con cui gli era stato chiesto se intendeva o meno proseguire nel rapporto di locazione, anziché farlo risolvere alla sua scadenza naturale.

Più precisamente, occorreva acclarare se questa manifestazione di volontà era insita nel disinteresse alla prosecuzione del rapporto, ricavabile dalla mancata risposta alla lettera interlocutoria, rilevando quale comportamento significativo della volontà del conduttore di non proseguire nel rapporto.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno considerato il ricorso del locatore infondato e, quindi, hanno ritenuto spettante al conduttore l'indennità di avviamento da quest'ultimo rivendicata.

Infatti, il diritto all'indennità di avviamento viene meno quando il recesso - che pure può essere inteso in termini ampi, non necessariamente limitati alla formale disdetta (Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1995, n. 2231) - è riferibile alla volontà del conduttore, nel senso che o è dovuto ad una sua iniziativa, oppure all'espressa sua adesione ad un patto di risoluzione (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2001, n. 14728).

È escluso, quindi, che possa considerarsi “disinteresse del conduttore” qualora costui si limiti ad aderire alla richiesta di risoluzione fattagli dal locatore, o non aderisca alle nuove condizioni economiche da costui imposte o pretese (Cass. civ., sez. VI/III, 10 novembre 2016, n. 22976).

In buona sostanza, il disinteresse del conduttore al proseguimento del rapporto postula una condotta di costui “espressa o concludente”, indicativa della volontà di non rinnovare il contratto; la perdita dell'avviamento presuppone, cioè, una chiara volontà del conduttore di disinteresse per la prosecuzione del rapporto, ricavabile anche da fatti concludenti, ma “pur sempre univoca”.

Nella fattispecie, non era ravvisabile affatto - ad avviso degli ermellini - una tale iniziativa, in capo al conduttore, per almeno due ragioni.

In primo luogo, in quanto era stato il locatore a notificare la disdetta del contratto, in un primo momento e, quindi, a produrre l'effetto di risoluzione; è vero che il conduttore non aveva eccepito alcunché, ma ciò non era sufficiente a desumerne che era stata sua l'iniziativa di risolvere il rapporto, in quanto, nella legislazione vincolistica, la mancata opposizione del conduttore non rileva quale comportamento concludente, come avviene, al contrario, nel caso di disciplina codicistica della locazione, ma costituisce semplice acquiescenza ad un effetto che non dipende dalle parti ma dalla legge.

Se il silenzio del conduttore non vale a prorogare, a fortiori, non vale per la disdetta; ossia, nel caso di proroga, il silenzio può avere effetto di assenso, ma per via del fatto che la proroga può essere tacita, e dunque può consistere, per legge, in comportamenti concludenti o impliciti.

Niente di ciò è previsto per la risoluzione, che non può essere tacita, dovendo essere espressamente comunicata da una parte all'altra, con conseguente diverso rilievo del silenzio o dell'inerzia della controparte. Qualora l'effetto si produca tacitamente, come nel caso del rinnovo, può porsi il problema del tacito assenso, ma lo stesso non può dirsi quando l'effetto non si produce tacitamente - la disdetta tacita non è, infatti, contemplata - caso in cui, la volontà deve essere espressa o chiaramente ricavabile da comportamenti concludenti; il mero silenzio non è, quindi, tacito assenso alla risoluzione del contratto di locazione, destinato per contro, in caso di silenzio, a prorogarsi tacitamente.

In secondo luogo, a prescindere dalla mancata opposizione alla disdetta, non può ritenersi - secondo il parere dei magistrati del Palazzaccio - iniziativa del conduttore, significativa di un suo disinteresse alla proroga, il fatto che costui non abbia risposto alla richiesta interlocutoria del locatore, fatta, si ripete, dopo che quest'ultimo aveva dato disdetta formale, circa l'intenzione di proseguire o meno nel rapporto.

Il silenzio del conduttore era semmai significativo del disinteresse a rispondere alla sollecitazione del locatore, e non già di quello alla prosecuzione del rapporto.

Osservazioni

L'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale matura, dunque, in conseguenza della cessazione del rapporto locativo, ma non in ogni ipotesi di scioglimento del vincolo contrattuale: stabilisce, infatti, l'art. 34, comma 1, l. n. 392/1978 che il diritto del conduttore si configura solo ove la cessazione del contratto “non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267” (per la nuova disciplina, v. il d.lgs. 14 gennaio 2019, n. 14, avente ad oggetto il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, e ss.mm.ii.).

La ratio della disposizione è abbastanza intuitiva: qualora sia il conduttore ad assumere l'iniziativa di rilasciare i locali, viene meno la ragione della tutela dell'avviamento, atteso che è lo stesso interessato a volersi privare della redditività dell'azienda che è connaturata all'ubicazione dell'immobile; nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento, poi, la mancata conservazione dell'impresa all'interno dei locali è imputabile al conduttore che, quindi, non è meritevole di tutela alcuna; nell'eventualità di fallimento (o di altra procedura concorsale), infine, si è in presenza di un operatore economico in crisi e, pertanto, non vi è un avviamento da salvaguardare.

Comunque, grava sul conduttore, il quale richieda l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, la prova che il rapporto di locazione è cessato per disdetta o recesso del locatore o per altre cause diverse da quelle menzionate dal citato art. 34, venendo particolarmente in considerazione un fatto costitutivo del diritto (v., per tutte, Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1994, n. 9757).

Pertanto, se il rapporto cessa per recesso o disdetta del conduttore - ipotesi che si avvicina maggiormente alla fattispecie oggetto della sentenza in commento - il diritto all'indennità non viene ad esistenza.

La legge espressamente include la “disdetta” del conduttore nel novero delle fattispecie estintive del rapporto di locazione da cui non discende il diritto all'indennità (sulla non spettanza dell'indennità in caso di recesso del conduttore, v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1993, n. 2284; sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Trieste 26 aprile 2004, peraltro, confermata da App. Trieste 25 novembre 2004, secondo la quale l'accordo delle parti finalizzato alla risoluzione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo, se riferibile all'iniziativa del conduttore, rientra nella nozione di recesso del conduttore di cui all'art. 34, l. n. 392/1978, e come tale non dà diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale).

Nondimeno, va segnalato che il supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 27 febbraio 1995, n. 2231) attribuisce al termine “recesso” un significato più ampio di quello che gli è proprio: si afferma, infatti, che per recesso non deve intendersi soltanto quello regolato dall'art. 27, comma 7, l. n. 392/1978, in quanto, nella norma in questione, il termine è usato in un'accezione ampia, comprensiva di ogni risoluzione anticipata del contratto che, anche se formalmente consensuale per adesione del locatore, possa farsi risalire ad una manifestazione di volontà del conduttore che non abbia più interesse alla continuazione della locazione.

Ad ogni buon conto, anche alla disdetta ed al recesso del conduttore va applicata, infine, la regola, fatta propria dalla giurisprudenza in tema di disdetta del locatore, per cui quel che rileva è l'iniziativa assunta dalla parte per provocare la cessazione del rapporto, sicché non interessa se il recesso o la disdetta siano tardivi o se i gravi motivi posti a fondamento del recesso siano insussistenti o non enunciati nel preavviso.

In quest'ordine di concetti, qualora il conduttore si limiti a non opporsi ad un'iniziativa risolutiva del locatore (ancorché infondata) o non aderisca alle nuove condizioni economiche cui quest'ultimo condiziona la prosecuzione del rapporto, non ricorre un'ipotesi di disdetta o recesso del conduttore, che, per essere tale ed escludere il diritto a percepire la suddetta indennità ai sensi dell'art. 34, l. n. 392/1978, deve prescindere da qualunque iniziativa del locatore, volta a far cessare il rapporto o a subordinarne la prosecuzione al mutamento delle condizioni economiche (Cass. n. 22976/2016, citata nella motivazione della sentenza in commento).

A ben vedere, il summenzionato art. 34, l. n. 392/1978 non contempla espressamente, tra le ipotesi di esclusione del diritto all'indennità di avviamento, la cessazione del contratto per mutuo consenso.

Sollevata in proposito la questione di costituzionalità, i giudici della Consulta (Corte Cost. 20 dicembre 1989, n. 565) l'hanno ritenuta manifestamente infondata con una sentenza interpretativa di rigetto, rilevando che l'ipotesi all'esame del giudice a quo rientrasse nella previsione dell'art. 34 l. n. 392/1978, in quanto assimilabile al recesso ad nutum oppure alla disdetta del conduttore.

Riguardo a quest'ultimo soggetto, quindi, ciò che rileva, ai fini dell'esclusione del diritto all'indennità, è l'intento di non proseguire il rapporto alla scadenza o di interromperlo, intento sussistente anche nel caso dello scioglimento del rapporto per mutuo consenso.

Con riferimento agli accordi transattivi intercorsi tra le parti con riferimento al rilascio dell'immobile, si è affermato (Cass. civ., sez. III, 1° giugno 1995, n. 6133; Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1987, n. 26) che l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale deve essere riconosciuta al conduttore, nel concorso dei presupposti di legge, in presenza di un accordo transattivo vertente anche sulla data di rilascio dell'immobile locato, dovendo ricondursi il rilascio all'esclusiva iniziativa del locatore, anche se il conduttore si sia limitato ad aderire alla richiesta stragiudiziale del locatore, essendo rilevante - non l'oggetto iniziale della controversia transatta, bensì - il conseguimento in sede conciliativa da parte del locatore di un rilascio a lui favorevole.

Conclusioni diverse si prospettano, invece, qualora la transazione contempli la prosecuzione del rapporto, perché, in tal caso, deve attribuirsi rilievo decisivo alla mancata cessazione di questo.

Riferimenti

Magini - Zerauschek, Uso non abitativo: l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, in Immob. & proprietà, 2018, 711;

Di Marzio, Indennità di avviamento: non è dovuta se l'attività svolta dal conduttore non è autorizzata, in Immob. & proprietà, 2014, 253;

Fiorillo, Il diritto del conduttore all'indennità ex art. 34 e 35 l. n. 392 del 1978, in Giust. civ., 2013, I, 2146;

De Tilla, Indennità di avviamento e adesione alla richiesta di rilascio, in Arch. loc. e cond., 2011, 657;

Carrato, Il riparto dell'onere probatorio nella causa sulla spettanza dell'indennità di avviamento commerciale, in Corr. giur., 2011, 75.