Locazione commerciale e prestazioni accessorie: contratto misto o negozi connessi?
30 Dicembre 2022
Massima
E' lecito il contratto con cui le parti intendono disciplinare una prestazione complessa, riferibile a più fattispecie negoziali distinte, volto a realizzare un unico ma articolato intento pratico.
A tale fattispecie, in cui è ravvisabile sia lo schema negoziale della locazione per il godimento dell'immobile che due distinti contratti di appalto per la prestazione dei servizi, si applicherà la disciplina del contratto tipico cui sono riconducibili gli elementi prevalenti, senza escludere la rilevanza giuridica degli altri elementi voluti dalle parti, destinati a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale; a tali elementi accessori, si applica la disciplina specifica della fattispecie cui sono ascrivibili, ove compatibile con quella del contratto prevalente.
Nell'ambito di tale fattispecie, cui è applicabile la disciplina della locazione per la componente relativa al godimento dell'immobile, deve ritenersi lecita la previsione di un canone a graduale aumento nel tempo (c.d. canone a scaletta) ove convenuto ab origine in sede di stipulazione del contratto ed ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio del sinallagma contrattuale. Il caso
La vicenda trae origine da due cause distinte e poi riunite, l'una promossa dal conduttore, volta a far dichiarare la nullità delle pattuizioni accessorie del contratto di locazione e a ottenere condanna alla restituzione dell'indebito percepito dal locatore, l'altra promossa dal locatore nelle forme ordinarie della citazione per inadempimento contrattuale.
Il contratto prevedeva un canone per il godimento dell'immobile, con un conguaglio pari al 16% del fatturato sino alla fine del primo anno e del 18% dal secondo anno; oltre a tale canone era previsto un compenso annuo aggiuntivo per l'erogazione degli ulteriori servizi forniti dal locatore ed un compenso aggiuntivo del 5% del canone per gli eventi promozionali organizzati dal locatore.
Il conduttore versava regolarmente le somme pattuite sino all'inizio della fase emergenziale dovuta al Covid-19, periodo in cui - dal marzo al giugno 2020 - il locatore ha determinato anche l'indisponibilità del bene per circa tre mesi, dovuta all'esecuzione di lavori straordinari all'immobile.
Il conduttore agisce per veder ricondotto il contratto al solo schema della locazione con nullità delle clausole che prevedono un'indebita maggiorazione del canone e riconduzione ad equità per il periodo pandemico, invocando l'applicazione del principio di buona fede.
Il locatore deduce, invece, il grave inadempimento del conduttore che, non ha versato somme per oltre 250.000 euro, pur avendo il locatore applicato una riduzione del 50% per il trimestre di indisponibilità del bene e del 30% per il successivo semestre 2020; chiede, inoltre, che il giudice voglia respingere la qualificazione del contratto come era locazione, dovendosi invece la fattispecie negoziale ricondurre all'ipotesi di negozio misto atipico al quale non si applicano le norme della l. n. 392/1978. Le questioni
La prima e più interessante questione attiene certamente alla qualificazione giuridica dell'articolata fattispecie negoziale che le parti hanno posto in essere, discendo da tale operazione ermeneutica significative differenze nell'applicazione della disciplina sostanziale degli accordi delle parti, sia con riguardo alla loro portata che, soprattutto, ai fini della loro liceità rispetto alla normativa vincolistica in tema di locazioni commerciali.
Gli altri profili, parimenti interessanti, attengono all'eccepita improcedibilità dell'azione per mancato esperimento della mediazione, avanzata dal conduttore solo in sede di memorie integrative, depositate a seguito della conversione del rito ordinario in rito locatizio, la legittimità - aldilà delle prestazioni accessorie remunerate a parte - di un meccanismo incrementale di aumento del canone nel tempo di esecuzione del contratto e la valutazione dell'eventuale inadempimento alla luce della situazione di fatto determinatasi durante il periodo emergenziale. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale capitolino, con pronuncia assai articolata e dalla motivazione cristallina, affronta i diversi temi proposti dalle parti, pervenendo a soluzioni che, sul profilo della qualificazione contrattuale, appaiono del tutto condivisibili nonché in linea con la giurisprudenza di legittimità e con le migliori pronunce di merito.
In ordine all'eccezione di improcedibilità, il giudice rileva che il conduttore l'ha sollevata solo nella memoria integrativa che segue la conversione del rito ai sensi del combinato disposto dagli artt. 447-bis e 426 c.p.c., di talché risulta tardiva, posto che - a mente dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 - deve essere sollevata nella prima udienza dopo la conversione del rito (poiché solo a seguito di tale passaggio la controversia può definirsi di natura locatizia) e, nel caso di specie, il termine preclusivo deve ritenersi tale udienza, posto che in seguito al mutamento rimangono ferme le preclusioni maturate alla stregua della disciplina del rito ordinario, mentre l'integrazione degli atti introduttivi mediante memorie e documenti previsto dall'art. 426 c.p.c. comporta unicamente una guarentigia difensiva per le parti ma non regressioni a fasi processuali antecedenti (Cass. civ., sez. VI/III, 21 dicembre 2018, n. 33178).
Quanto alla qualificazione del contratto - nodo centrale della controversia - il giudice adìto (che con eleganza non comune dà atto ai difensori delle parti di aver svolto difese di altissimo livello) fa riferimento ai propri poteri officiosi di qualificazione della fattispecie negoziale, indipendentemente dal nomen juris attribuito dalle parti (Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2020, n. 3888), e perviene a conclusione del tutto difforme da quella avanzata dal conduttore; costui, a fronte di una posizione monopolista del locatore, riteneva che fosse stata imposta una disciplina elusiva delle norme imperative in materia locatizia: in particolare, il Tribunale osserva che le parti hanno previsto dettagliatamente le diverse prestazioni in capo al locatore, ovvero: a) godimento dell'immobile; b) fornitura di servizi di pulizia, smaltimento rifiuti, sorveglianza, guardiania, antincendio, riscaldamento e condizionamento; c) svolgimento di attività promozionali.
Per ciascuna di esse, le parti hanno previsto uno specifico corrispettivo, e dalla semplice lettura del contratto il Tribunale rileva che i servizi accessori hanno una loro autonomia funzionale rispetto al godimento del bene, pur concorrendo a formare una fattispecie negoziale mista in cui la causa è chiaramente identificata dalle parti, sì che il punto in diritto rimane quello di stabilire se si tratti un collegamento negoziale di più contratti contenuti in un unico documento o un unico contratto misto; a tal proposito, soccorre la Corte di legittimità che ha osservato come le parti nell'ambito della loro autonomia possano dar luogo con un'unica manifestazione di volontà ad un contratto misto (quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengano assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente), a più negozi distinti e collegati o a un contratto complesso (ove invece sussiste una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un'incidenza tale da precludere che ciascuna di tali prestazioni possa essere rapportata ad una distinta causa tipica e faccia sì che invece si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico, v. Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2005 n. 14611).
Nel caso di specie, il Tribunale di Roma, sulla scorta dei dati letterali del contratto, ritiene che gli elementi distintivi di ciascun negozio (locazione per il godimento del bene e appalti per i diversi servizi) si siano fuse in un negozio unico volto a realizzare un unitario e complesso intento pratico, contratto atipico misto a cui deve essere applicata la disciplina della fattispecie prevalente, ossia quella della locazione, senza che, tuttavia, possano essere tralasciati gli ulteriori profili applicativi voluti dalle parti e che concorrono a fissare la portata e l'oggetto del vincolo contrattuale, profili ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui gli stessi sono riconducibili (appalto), in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente (Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2019, n. 26485).
Alla luce di tali premesse, dunque, il Tribunale esamina le diverse eccezioni di nullità avanzate dal conduttore, pervenendo alla conclusione che la disciplina contrattuale delle prestazioni accessorie non si ponga insanabile contrasto con le norme imperative in tema di locazione: in particolare, il contributo forfetario per le iniziative promozionali non si configura come una componente ulteriore e illecita del canone, quanto invece come l'autonoma remunerazione di una specifica prestazione cui è obbligato il locatore (anche se la sua quantificazione è parametrata ad una maggiorazione percentuale del canone; sulla clausola analoga si era già pronunciata la Suprema Corte, osservando che si tratta di un corrispettivo di servizi diversi dal godimento della cosa locata e, in quanto tale, ontologicamente distinto dal canone e sottratto a qualunque disciplina ad esso relativa, Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2017, n. 13139).
A margine, il magistrato osserva che risulta tardiva l'eccezione di inadempimento del conduttore relativamente a tali prestazioni, posto che l'eccezione ex art 1460 c.c. è eccezione in senso proprio e deve essere sollevata a pena di decadenza in sede di tempestiva costituzione ai sensi dell' art. 167 c.p.c.
Il Tribunale ritiene parimenti infondata l'eccezione di nullità, per contrarietà all' art. 9 della l. n. 392/1978, dei compensi per i servizi di vigilanza, i servizi di riscaldamento e condizionamento anche dei locali e non solo delle parti comuni, i servizi di prevenzione e contrasto agli incendi, posto che anche tale prestazione, secondo il dettato letterale del contratto, costituisce autonomo appalto di servizi - seppur collegato al negozio prevalente - e che pertanto non può essere ricondotto agli oneri accessori di cui all'art. 9 della l. n. 392/1978: anche ove si stipuli un contratto di locazione in senso proprio, nulla impedisce alle parti di pattuire prestazioni ulteriori che siano assoggettate a un corrispettivo espressamente indicato nel testo negoziale.
Non coglie nel segno - secondo il Tribunale - neanche l'eccezione di nullità dell'aumento incrementale dei canoni, secondo un meccanismo di conguaglio legato al fatturato, poiché fattispecie del tutto analoga è stata ritenuta lecita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 13139/2017, cit.), che ha osservato come ciascuno dei due elementi da prendere a riferimento per l'eventuale incremento del valore reale del canone appare lecito posto che ben può qualificarsi obiettivo e predeterminato, nonché chiaramente correlato all'equilibrio economico del rapporto tra le parti, che non si esaurisce nel solo godimento dell'immobile, ma coinvolge, quale sua causa concreta, anche la specifica attività economica per il cui svolgimento il bene è concesso.
Alla luce della reiezione delle domande di nullità, e della conseguente liceità dei compensi pattuiti, Il Tribunale - pur accogliendo l'eccezione in ordine ai tre mesi di totale indisponibilità dell'immobile, per il quale il locatore ha concesso riduzione del solo 50% - ritiene comunque grave e colpevole l'inadempimento del conduttore (ammontante a oltre duecentotrentamila euro), che non ha fornito alcuna prova della sussistenza di motivi che legittimassero tale omissione, posto che al locatore compete ex art. 2697, comma 1, c.c. unicamente l'onere di provare la sussistenza di legittima fonte di obbligazione (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2015, n. 826).
Osserva ancora il Tribunale che l'esercizio di un diritto contrattuale non può mai essere contrario a buona fede, salvo che in rapporto alle circostanze concrete possano risultare scorrette le modalità di esercizio di quel diritto (Cass. civ., sez. un., 10 ottobre 2017, n. 24675), mentre l'obbligo di rinegoziazione - secondo principi di buona fede, correttezza e solidarietà sociale - trova un argine invalicabile nei limiti dell'interesse proprio di uno dei contraenti (Cass. civ., sez. VI, 26 settembre 2018, n. 23069), che non può essere obbligato ad un apprezzabile sacrificio di altri valori (Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2012, n. 17642; Cass. civ., sez. III, 4 maggio 2009, n. 10182), certamente integrato dalla consistente riduzione di un proprio diritto contrattuale, né la valutazione discrezionale circa il contemperamento di tali interessi può trovare sede diversa da una trattativa fra le parti ed essere demandata al giudice (nello stesso senso, v. Trib. Massa 5 novembre 2021); per tali ragioni la domanda di risoluzione e risarcimento avanzata dal conduttore deve essere respinta.
Rigettata, infine, anche la richiesta di declaratoria di nullità della norma contrattuale in ordine ai miglioramenti apportati dal conduttore (che, derogando agli artt. 1592 e 1593 c.c., esonera il locatore da qualsiasi obbligo), trattandosi di disciplina nella disponibilità delle parti: non può infatti ritenersi clausola limitativa della responsabilità del locatore ai sensi dell'art. 1229 c.c., perché non incide sulle conseguenze della colpa o dell'eventuale inadempimento di quest'ultimo, bensì sul diritto sostanziale all'indennità prevista (Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2020, n. 5698), circostanza che rende tale previsione lecita e neanche vessatoria. Osservazioni
Una pronuncia-fiume che affronta una miriade di temi, taluni appena accennati in questa sede per imprescindibili esigenze di sinteticità, e che traccia con grande precisione e schiettezza (seppur senza innovazioni rispetto all'orientamento consolidato) la disciplina applicabile al contratto misto, destinato a soddisfare esigenze complesse e fra loro funzionalmente collegate.
La pronuncia, tuttavia, come un piccolo forziere, contiene numerose altre statuizioni utili all'interprete del diritto locatizio, a fronte di difese estremamente articolate delle parti: appare interessante, a chiusura della parte motiva, anche la statuizione che rigetta la domanda del locatore per canoni futuri, pronuncia certamente consentita ex art 664 c.p.c. in caso di convalida di sfratto e che, tuttavia, il giudice capitolino pare non ritenere ammissibile nel rito ordinario.
Il Tribunale osserva che, nei giudizi ordinari, si applicano le regole processuali che prevedono le preclusioni assertive negli atti introduttivi del processo e l'attore, nell'atto introduttivo, ha circoscritto la pretesa creditoria, sì che per i periodi successivi potrà essere azionata distinta azione monitoria. Nello stesso senso, si pongono anche altre pronunce di merito (Trib. Torino 27 febbraio 2019, n. 952), pur sussistendo orientamento di legittimità (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11603) che riconnette la possibilità della c.d. condanna in futuro ex art. 664 c.p.c. ad ogni ipotesi di risoluzione del contratto di inadempimento del conduttore, quale che sia il rito adottato; tale ultima lettura, secondo un principio di economia processuale, appare maggiormente condivisibile, pur osservando la Suprema Corte che la c.d. condanna in futuro per i canoni sino al rilascio rappresenta un mezzo di tutela giurisdizionale non di tipo generale, ma eccezionale e tipico, del quale non è consentito allargare per analogia l'area di applicabilità oltre le ipotesi espressamente previste di risoluzione della locazione per l'inadempimento del conduttore. |