Con la domanda di rinvio pregiudiziale, la Corte UE è stata quindi chiamata a risolvere un delicato problema di giurisdizione teso a verificare l'estendibilità del perimetro di applicazione dell'IVA anche ad una persona che (amministratore di società) non riveste in alcun modo la qualità di soggetto passivo dell'IVA ai sensi della Direttiva.
Circa l'applicabilità al caso in oggetto della Convenzione TIF, l'avvocato generale e la Corte “concordano” sulla circostanza che l'oggetto della convenzione riguarda la “lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale”, imponendo agli Stati membri di qualificare come illeciti penali le condotte costituenti frode e prevedendo, al contempo, correlate sanzioni penali “effettive, proporzionate e dissuasive”.
Data tale premessa la Corte, condivisibilmente, ha escluso l'applicabilità della convenzione al caso in oggetto, dal momento che la norma bulgara non qualifica quale illecito penale la condotta dell'organo societario che depaupera il patrimonio della società privandola di onorare i propri debiti fiscali né prevede al riguardo alcuna sanzione penale.
Circa l'eventuale applicabilità dell'art. 325 del TFUE, l'Avv. gen. Kokott osservava, analogamente a quanto espresso dalla Corte circa la Convenzione TIF, che la norma interna bulgara non era certo finalizzata a combattere attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'UE, quanto piuttosto a sanzionare un fenomeno di “indebita riduzione del patrimonio di una società”, la quale, semplicemente, non è più in grado di onorare i propri debiti con l'Erario.
Osservava al riguardo che il comportamento infedele dell'organo societario (attribuzione a sé stesso di un compenso eccessivo a carico del patrimonio della società) non qualificava alcuna attività illegale e non ledeva direttamente gli interessi finanziari dell'UE, tutt'al più poteva incidere sul mancato pagamento delle imposte solo indirettamente.
In tal modo la norma interna non sanzionava una frode unionale, “bensì una condotta infedele a danno della società (eventualmente una sorta di lesione del rapporto fiduciario)”, che non poteva rappresentare in alcun modo una diretta applicazione dell'art. 325 TFUE.
Quanto poi all'art. 205 della Direttiva, tale norma consente agli Stati membri, nelle situazioni di cui agli articoli da 193 a 200 e da 202 a 204 di tale Direttiva, che determinano i soggetti debitori dell'imposta ai sensi del titolo XI, capo 1, sezione 1 intitolato “Debitori dell'imposta verso l'Erario”, di prevedere che una persona diversa dal debitore dell'imposta sia tenuta in solido al pagamento dell'IVA.
Ciò posto, la Corte UE ricorda che (v. C‑4/20, ALTI, p. 28, C‑499/13, Macikowski, C‑499/10, Vlaamse Oliemaatschappij, p. 19 e segg., C‑384/04, Federation of Technological Industries e a., p. 25 e segg.) l'obbligazione sussidiaria (v. conclusioni Avv. gen. Kokott in C-4/20, p. 29) individuata dall'art. 205 mira a “garantire che l'Erario riscuota efficacemente l'IVA dalla persona più adatta alla luce della situazione in questione, in particolare quando le parti contrattuali non sono situate nello stesso Stato membro o quando l'operazione soggetta all'IVA riguarda operazioni la cui specificità rende necessaria l'identificazione di una persona diversa da quella di cui all'articolo 193 della direttiva”.
Mentre tale norma mira ad individuare la persona debitrice dell'IVA su una determinata operazione imponibile, al contrario il meccanismo di solidarietà della norma bulgara non solo fa emergere la responsabilità del soggetto “terzo” di tutto o di parte dei debiti IVA di una persona giuridica, “indipendentemente dalle operazioni imponibili di cui trattasi”, ma “limita” inoltre la debitoria IVA esclusivamente “all'importo della riduzione del patrimonio subito dalla persona giuridica a causa degli atti in malafede compiuti dalla persona designata come responsabile in solido”.
Per tali ragioni non è possibile ritenere applicabile neanche l'art. 205 della Direttiva.
Quanto infine all'art. 273 della medesima Direttiva, il quale dispone che “gli Stati membri possono stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e ad evitare le evasioni”, la Corte lo ritiene applicabile sulla base del sillogismo per cui posto che l'art. 325, par. 1, TFUE, impone agli Stati membri di combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'UE, dal momento che la Dec. UE 2014/335 del Consiglio ricomprende tra le risorse proprie unionali anche l'IVA, allora può sostenersi un “nesso diretto tra la riscossione delle entrate provenienti dall'IVA nell'osservanza del diritto dell'Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell'Unione delle corrispondenti risorse IVA”.
Pertanto, derivando dall'art. 273 della Direttiva, in combinato disposto con l'art. 325, par. 1, TFUE, l'obbligo per gli Stati membri di adottare le misure atte a garantire la riscossione integrale dell'IVA, il meccanismo di responsabilità solidale della norma bulgara contribuisce legittimamente al recupero dell'imposta, a prescindere dalla circostanza che “le persone rese responsabili in solido non sono esse stesse, in tale qualità, soggetti passivi dell'IVA”.
Aggiunge poi la Corte che l'obbligo di combattere l'evasione può esigere che uno Stato membro sanzioni persone non soggetti passivi che partecipano all'adozione di decisioni presso una persona giuridica soggetto passivo, pena la compromissione dell'effettività di tali misure, rientrando un meccanismo di solidarietà in oggetto “nel margine discrezionale di cui godono gli Stati membri nell'ambito dell'attuazione dell'articolo 273 della direttiva IVA”, senza che questo possa essere assimilato ad un sistema di responsabilità solidale oggettiva, incompatibile con il principio di proporzionalità.
Tali argomentazioni, però, non convincono sotto diversi aspetti.
La Corte non sembra spiegare in maniera coerente l'esistenza di una frode che consenta l'applicabilità congiunta dell'art. 325 TFUE e dell'art. 273 della direttiva, norma collocata nel capo 7 del titolo XI rubricato «Obblighi dei soggetti passivi e di alcune persone non soggetti passivi».
Tale norma consente agli Stati membri di individuare ulteriori obblighi per consentire l'esatta riscossione dell'IVA, nel “rispetto della parità di trattamento delle operazioni effettuate …. da soggetti passivi”, attuando in tal modo una “riserva” solo in capo ai soggetti passivi IVA ed avente “la sua unica ragion d'essere nel caso in cui gli obblighi addizionali riguardino un (altro) soggetto passivo” (v. conclusioni Avv. gen. Kokott, p. 52), non potendosi del resto sostenere in alcun modo forme di disparità di trattamento tra operazioni nazionali e intracomunitarie in relazione a persone non soggetti passivi IVA.
A riprova di ciò vi è che, in tutti i precedenti della Corte UE nei quali è stato ritenuto applicabile l'art. 273 della Direttiva IVA (v. C‑583/20, EuroChem Agro Hungary, p. 25, C‑935/19, Grupa Warzywna, p. 24, C‑712/17, EN.SA., C‑534/16, BB construct, p. 22, C‑101/16, Paper Consult, p. 55, C‑576/15, Maya Marinova, p. 42, C‑80/11 e C‑142/11, Mahagében, p. 54), le parti private dei procedimenti pregiudiziali erano soggetti passivi IVA.
Come osservato dall'Avv. gen Kokott (conclusioni p. 57 in C-1/21) nella misura in cui la direttiva IVA, “in linea di principio, non trova applicazione a persone non soggetti passivi dell'IVA”, di conseguenza l'art. 273 non sarà traslabile in capo a persone fisiche al solo fine di “assicurare il gettito dell'IVA ed evitare l'evasione”.
Del resto è la medesima Corte UE ad avere, nel tempo, escluso l'applicabilità della Direttiva alle persone non soggetti passivi d'imposta in relazione ai quali non era riscontrabile il requisito dell'economicità dell'attività esercitata piuttosto che quello dell'indipendenza per l'assenza del rischio economico d'impresa.
Da ultimo ad esempio, in C-420/18, si chiedeva alla Corte UE se un membro del consiglio di vigilanza di una fondazione potesse esercitare un'attività economica in modo indipendente, ai sensi della Direttiva IVA e, di conseguenza, potesse essere qualificato come soggetto passivo dell'IVA.
La Corte, ribadendo che l'art. 10 della Direttiva precisa che la condizione che l'attività economica sia esercitata in modo indipendente esclude dall'imposizione i lavoratori dipendenti ed altre persone vincolate al datore da un contratto di lavoro subordinato, ha riconosciuto il carattere economico dell'attività a fronte della stabilità della retribuzione percepita negli anni, disconoscendo di contro il requisito dell'indipendenza dell'attività.
Ciò perché, pur in assenza di vincoli di subordinazione (date le condizioni di lavoro poste al consiglio di vigilanza), è stato escluso, alla luce dell'articolo 9 della Direttiva, l'esercizio dell'attività in nome proprio, per proprio conto e sotto la propria responsabilità, e con assunzione del relativo rischio economico, come del resto risultava dallo statuto della fondazione (v. anche C-165/17, Morgan Stanley, p. 35, C-154/08, Commissione/Spagna, p. 107, C-355/06, Van der Steen, p. da 24 a 26, C-210/04, FCE Bank, p. da 35 a 37).
Per analoghe ragioni la Corte, in C-276/14, ha rintracciato la presenza del requisito dell'economicità ma non anche dell'indipendenza dell'attività svolta da parte di un Comune che svolgeva le missioni affidategli in forza di una legge nazionale e mediante numerose unità iscritte al bilancio comunale nonché aziende territoriali pubbliche (scuole, istituti culturali, ispettorati distrettuali e polizia).
Lì occorreva verificare se tali unità si trovassero in rapporto di subordinazione nei confronti del Comune o se esercitassero le attività economiche in maniera indipendente al fine dell'assoggettamento ad IVA.
La Corte, sottolineando che al fine di valutare la presenza del requisito dell'indipendenza nell'esercizio delle attività economiche potevano essere applicati gli stessi criteri di valutazione sia alle persone pubbliche che alle persone private, osservava che tali unità, in quanto prive di un proprio patrimonio, non rispondevano dei danni provocati dalle loro attività, ricadendo la responsabilità solo sul Comune.