In linea di principio, sono ritenute corrette le affermazioni contenute nella pronuncia del Tribunale adìto, in sede monocratica, secondo cuiè stata dichiarata la fondatezza della domanda in ordine alla morosità della conduttrice, individuando nella fattispecie posta al vaglio del giudice il rapporto contrattuale locativo c.d. libero.
Il giudice adito, in via preliminare, ha approfondito l'aspetto afferente in quale àmbito contrattuale locatizio collocare il caso esaminato, ovvero di natura transitoria oppure di natura libera.
Infatti, il magistrato rilevava che l'esigenza transitoria del contratto di locazione ad uso abitativo stipulato tra le parti, doveva essere specificatamente individuata nel contratto, e precisata dal conduttore o dal locatore, e doveva essere documentata in modo idoneo (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2014, n. 4075).
Pertanto, nell'interpretazione del contratto e nella susseguente disamina della documentazione prodotta dalle parti in atti, non sono emerse le cause che andrebbero a giustificare la c.d. transitorietà (art. 5 l. 431/1998).
Tale circostanza è da considerarsi dirimente, atteso che le convenzioni che si sono conseguenti, non sono da considerarsi patti tra le parti contrattuali, bensì veri e propri ulteriori contratti.
Ne deriva che il titolo posto a fondamento del rapporto locatizio ad uso abitativo è quello iniziale (2016), il cui contenuto in ordine a canone e durata deve, giustamente, essere ricondotto alla previsione di cui all'art. 2, comma 1, l. 431/1998, c.d. contratto libero, di durata quadriennale, che nella specie, in assenza della disdetta nei termini di legge (sei mesi), si sarebbe rinnovato per altri quattro anni.
Andiamo per gradi, affrontiamo gli aspetti inerenti la principale domanda circa la risoluzione del rapporto locatizio per inadempimento; l'intimante ha notificato l'atto di intimazione di sfratto per morosità afferenti due canoni impagati ed oneri accessori, l'intimato non contestava tale circostanza, opponendo una compensazione di un maggior credito che deriverebbe dal pagamento nei cinque antecedenti per utenze afferenti un somma forfettari per il riscaldamento. Tale tesi era stata ritenuta inaccoglibile dal giudicante, posto che dall'analisi del contratto originario, ricorrendo ai canoni ermeneutici ex art. 1362 c.c., era emerso che per un evidente lapsus calami, imputabile ad un terzo, ovvero l'agente immobiliare che ha predisposto il testo del contratto, come risulta dalle e-mail prodotte in atti e documenti incontestati, era stata imputata un importo forfettario per le utenze in modo erroneo.
Secondo il magistrato, appariva elemento indicativo per svelare la reale intenzione delle parti processuali che nelle successive convenzioni avessero indicato il conduttore quale soggetto tenuto al versamento di tali importi, evidentemente accorgendosi dell'errore iniziale e ponendovi rimedio. Infatti, a norma del menzionato art. 1362 c.c., il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacchè il significato delle dichiarazione negoziali può ritenersi acquisto solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un'espressione prima facie chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l'interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e quindi di verificare se quest'ultima sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta delle stesse. (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2016, n. 9380; Cass. civ., sez. lav., 14 settembre 2021, n. 24699).
Pertanto, non sussiste in assoluto il detto controcredito eccepito dal conduttore in compensazione.
Per completezza, la domanda della risoluzione per inadempimento, ex art. 1455 c.c., della morosità eccepita dal ricorrente per mancato versamento dei canoni da parte del conduttore, va accolta, posto che l'intimato non ha contestato l'ammontare sotto il profilo storico, limitandosi sono alla menzionata compensazione, conseguendone che tutti gli importi indicati dal locatore (canoni ed oneri accessori), sono da pagarsi e sono dunque ritenuti provati ex art. 115 c.p.c.