L'interpretazione di un contratto di locazione richiede una attenta valutazione della volontà reale delle parti

Nicola Frivoli
05 Gennaio 2023

Il giudicante toscano è stato chiamato ad interpretare la natura del contratto di locazione ad uso abitativo, e segnatamente se farlo rientrare nella disciplina del contratto transitorio o nella disciplina del contratto libero, adottando i criteri ermeneutici sanciti dall'art. 1362 c.c.
Massima

In tema di interpretazione di un contratto di locazione ad uso abitativo, il giudicante non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, per cui, solo dopo aver compiuto l'esegesi del testo e ricostruito, in base ad essa, tutti i fatti, può comprendere la reale l'intenzione delle parti e provvedere alla decisione in un giudizio di risoluzione per inadempimento contrattuale.

Il caso

Con atto di intimazione di sfratto per morosità (art. 658 c.p.c.), il proprietario di un immobile conveniva in giudizio il resistente-conduttore per sentirlo condannare al rilascio dell'unità immobiliare e condannarlo al pagamento dei canoni di locazione impagati, inerente un contratto di locazione ad uso transitorio, che si era trasformato in contratto a canone libero.

Si costituiva il resistente, nei termini di legge, il quale eccepiva l'infondatezza dell'assunto dell'istante, e riteneva che il contratto rientrasse nell'alveo dei contratti transitori, ex art. 2, comma 3, l. n. 431/1998.

Mutato il rito, la causa veniva istruita solo con la documentazione prodotta dalle parti, considerando irrilevante l'assunzione delle prove orali, il magistrato riteneva la causa matura per la decisione e la decideva ex art. 429 c.p.c.

Il Tribunale toscano rigettava l'opposizione formulata dal conduttore, ritenendola infondata, anche in ordine ad una richiesta di compensazione dei canoni con un maggior credito, e, accertando che il contratto di locazione fosse ascrivibile alla fattispecie di cui all'art. 2, comma 1, l. n. 431/1998, lo dichiarava risolto per inadempimento del detto conduttore, ex art. 1455 c.c. e condannava quest'ultimo al pagamento dei canoni scaduti ed a scadere, oltre accessori, nonché al rilascio immediato dell'immobile, con condanna alle spese processuali, in favore del locatore.

La questione

Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti, al caso posto all'attenzione del Tribunale competente, i presupposti per la risoluzione del rapporto contrattuale per inadempimento ed a quale fattispecie contrattuale collocarla. Tali aspetti sono stati esaminati dal giudicante, il quale ha rilevato e verificato in atti di causa l'infondatezza dell'opposizione del conduttore, lo condannava alla risoluzione per inadempimento contrattuale per la morosità, ed all'immediato rilascio dell'immobile locato, con condanna alle spese processuali.

Le soluzioni giuridiche

In linea di principio, sono ritenute corrette le affermazioni contenute nella pronuncia del Tribunale adìto, in sede monocratica, secondo cuiè stata dichiarata la fondatezza della domanda in ordine alla morosità della conduttrice, individuando nella fattispecie posta al vaglio del giudice il rapporto contrattuale locativo c.d. libero.

Il giudice adito, in via preliminare, ha approfondito l'aspetto afferente in quale àmbito contrattuale locatizio collocare il caso esaminato, ovvero di natura transitoria oppure di natura libera.

Infatti, il magistrato rilevava che l'esigenza transitoria del contratto di locazione ad uso abitativo stipulato tra le parti, doveva essere specificatamente individuata nel contratto, e precisata dal conduttore o dal locatore, e doveva essere documentata in modo idoneo (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2014, n. 4075).

Pertanto, nell'interpretazione del contratto e nella susseguente disamina della documentazione prodotta dalle parti in atti, non sono emerse le cause che andrebbero a giustificare la c.d. transitorietà (art. 5 l. 431/1998).

Tale circostanza è da considerarsi dirimente, atteso che le convenzioni che si sono conseguenti, non sono da considerarsi patti tra le parti contrattuali, bensì veri e propri ulteriori contratti.

Ne deriva che il titolo posto a fondamento del rapporto locatizio ad uso abitativo è quello iniziale (2016), il cui contenuto in ordine a canone e durata deve, giustamente, essere ricondotto alla previsione di cui all'art. 2, comma 1, l. 431/1998, c.d. contratto libero, di durata quadriennale, che nella specie, in assenza della disdetta nei termini di legge (sei mesi), si sarebbe rinnovato per altri quattro anni.

Andiamo per gradi, affrontiamo gli aspetti inerenti la principale domanda circa la risoluzione del rapporto locatizio per inadempimento; l'intimante ha notificato l'atto di intimazione di sfratto per morosità afferenti due canoni impagati ed oneri accessori, l'intimato non contestava tale circostanza, opponendo una compensazione di un maggior credito che deriverebbe dal pagamento nei cinque antecedenti per utenze afferenti un somma forfettari per il riscaldamento. Tale tesi era stata ritenuta inaccoglibile dal giudicante, posto che dall'analisi del contratto originario, ricorrendo ai canoni ermeneutici ex art. 1362 c.c., era emerso che per un evidente lapsus calami, imputabile ad un terzo, ovvero l'agente immobiliare che ha predisposto il testo del contratto, come risulta dalle e-mail prodotte in atti e documenti incontestati, era stata imputata un importo forfettario per le utenze in modo erroneo.

Secondo il magistrato, appariva elemento indicativo per svelare la reale intenzione delle parti processuali che nelle successive convenzioni avessero indicato il conduttore quale soggetto tenuto al versamento di tali importi, evidentemente accorgendosi dell'errore iniziale e ponendovi rimedio. Infatti, a norma del menzionato art. 1362 c.c., il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacchè il significato delle dichiarazione negoziali può ritenersi acquisto solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un'espressione prima facie chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l'interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e quindi di verificare se quest'ultima sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta delle stesse. (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2016, n. 9380; Cass. civ., sez. lav., 14 settembre 2021, n. 24699).

Pertanto, non sussiste in assoluto il detto controcredito eccepito dal conduttore in compensazione.

Per completezza, la domanda della risoluzione per inadempimento, ex art. 1455 c.c., della morosità eccepita dal ricorrente per mancato versamento dei canoni da parte del conduttore, va accolta, posto che l'intimato non ha contestato l'ammontare sotto il profilo storico, limitandosi sono alla menzionata compensazione, conseguendone che tutti gli importi indicati dal locatore (canoni ed oneri accessori), sono da pagarsi e sono dunque ritenuti provati ex art. 115 c.p.c.

Osservazioni

Il giudicante, nella decisione da prendere, deve effettuare diverse valutazioni, in particolare con riferimento al contratto di locazione, avendo come riferimento ermeneutico la disposizione contenuta nella norma dell'art. 1362 c.c., secondo cui: “Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.

L'interpretazione del contratto è quel procedimento al quale è chiamato il giurista ed in particolare il giudice, al fine di attribuire il corretto significato alla pattuizione che intercorre tra le parti e alla determinazione dell'intento pratico perseguito dalle stesse. La disciplina giuridica dell'interpretazione del contratto è contenuta al capo IV “Dell'interpretazione del contratto” del titolo II “Dei contratti in generale” del libro IV “Delle Obbligazioni” del codice Civile, dall'art. 1362 all'art. 1371.

In sostanza, la norma in esame indica quale prima regola di interpretazione soggettiva l'intenzione comune delle parti: con ciò si viole, da un lato, rifiutare il formalismo del senso letterale delle parole usate, dall'altro garantire che si tenga conto della volontà di entrambi i contraenti. In altri termini, l'interpretazione del contratto sancita dall'art. 1362 c.c., dal punto di vista logico impone all'interprete di compiere l'esegesi del testo; di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti; di verificare se l'ipotesi di comune intenzione ricostruita in base al testo sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta delle parti. La disposizione, tuttavia, non esclude che nel momento iniziale del procedimento interpretativo, debba essere applicato il metodo letterale, e, cioè, debba essere indagato il significato proprio delle parole, giacchè questo momento del procedimento non può essere eliminato (Cass. civ., sez. lav., 1° dicembre 2015, n. 2442). L'interpretazione del contratto ha l'obiettivo di individuare con precisione gli effetti giuridici dell'accordo raggiunto dalle parti e viene definita come una serie di regole procedimentali attraverso le quali si applicano i criteri che l'interprete deve osservare per attribuire un corretto significato al testo interpretato. Il senso delle parole o di più frasi, contenute in un contratto, può dare luogo a controversie sul loro effettivo significato, rendendo necessario appurare il significato che i contraenti hanno inteso dare, e per questo è opportuno individuare criteri legali specificamente diretti all'interpretazione dello stesso. Le norme dettate per l'interpretazione hanno la natura di precetti giuridici vincolanti.

I destinatari di questa normativa che detta le direttive sono sia il giudice sia coloro che siano interessati agli effetti del contratto che si vuole interpretare, e sono criteri che vincolano le parti, perché dal testo contrattuale deducono i diritti che a loro spettano o le obbligazioni che a loro derivano, e sono criteri dei quali si avvale il giudice quando è controversa tra le parti l'interpretazione del contratto sul quale è sorta controversia in giudizio. Il giudice di merito, nelle sue determinazioni, non è vincolato dall'interpretazione o dalla qualificazione che le parti hanno dato o danno al contratto.

In buona sostanza, il contratto si deve interpretare in modo da individuare la comune intenzione delle parti e l'oggetto dell'interpretazione non è la puntuale ricostruzione storica della volontà degli stipulanti, ma quello che appare oggettivamente voluto che risulti dalla formulazione dello stesso.

Riferimenti

Masoni, Risoluzione del contratto per fatto del conduttore, in IUS CONDOMINIO E LOCAZIONE (IUS.giuffrefl.it).

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