Per la Corte d'Appello, è pacifico che anche le parti poste concretamente a servizio soltanto di alcune porzioni dello stabile, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni a tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2017, n. 2800).
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari sia consentito per accordo fra i partecipanti solo se l'utilizzazione - concessa nei limiti di cui all'art. 1102 c.c. - rientri nella destinazione del bene e non sia di ostacolo al godimento degli altri comunisti, trovando l'utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nel concorrente ed eguale diritto degli altri al godimento collettivo (Cass. civ., sez. II, 11 settembre 2020, n. 18929; Cass. civ, sez. II, 14 luglio 2015, n. 14694).
Ciò premesso, per poter sostenere l'uso esclusivo a proprio vantaggio del pianerottolo, si dovrebbero richiamare i princìpi giurisprudenziali formatisi sul condominio parziale, sostenendo che le parti dell'immobile che non siano di proprietà esclusiva dei singoli condòmini devono considerarsi di proprietà comune dei titolari delle unità abitative alle quali siano legati da un vincolo di funzionalità e/o di pertinenzialità.
Sennonchè nel merito della domanda volta ad accertare il diritto all'uso esclusivo dell'ingresso al piano terra, del vano scale e del pianerottolo del primo piano, la Corte milanese - a conferma dell'infondatezza della tesi del condominio parziale in punto di scale e pianerottoli - richiama la recente pronuncia della Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28972, secondo cui l'attribuzione del c.d. diritto reale d'uso esclusivo su una parte comune, comporta la creazione di una figura atipica di diritto reale, incidente sul nucleo essenziale del diritto dei condòmini all'uso paritario della cosa comune sancito dall'art. 1102 c.c. Conseguentemente tale pattuizione è preclusa dal principio insito nel sistema codicistico del numerus clausus dei diritti reali e si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelli determinati dalla legge (Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28972).
Con una motivazione articolata, le Sezioni Unite della Cassazione hanno inquadrato il tema del cosiddetto diritto d'uso esclusivo di parti comuni condominiali, sottolineando la non riconducibilità dello stesso al diritto reale d'uso previsto dall'art. 1021 c.c. e neppure ad altro diritto reale, bensì all'uso della cosa comune secondo il significato desumibile dall'art. 1102 c.c. In quest'ottica, l'uso non costituisce un diritto bensì uno dei modi attraverso i quali il diritto può essere esercitato e forma parte intrinseca e caratterizzante del suo contenuto. L'art. 1102 chiarisce ulteriormente il carattere intrinseco e caratterizzante dell'uso della cosa comune laddove istituisce l'obbligo per il partecipante di non impedire agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Dalla formula “parimenti uso”, si ricavano i connotati per così dire “normali” dell'uso della cosa comune nell'àmbito della comunione e del condominio: l'uso deve essere indistintamente paritario, promiscuo e simultaneo. Ciò non esclude la possibilità di un uso più intenso da parte di un condomino rispetto agli altri. Tanto più che l'art. 1123, comma 3, c.c. contempla espressamente la possibile esistenza di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, regolando il riparto delle spese in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.
Ciò premesso, afferma la Corte d'Appello di Milano, per derogare alla presunzione di comunione, occorre un titolo che attribuisca - in luogo dell'uso esclusivo - la proprietà.
Nel caso di specie, al momento costitutivo del condominio, risalente ad uno specifico atto divisionale del 1976, non risulta essere stata costituita la proprietà (o quantomeno l'uso esclusivo) del pianerottolo e del vano scala in capo al proprietario degli appartamenti situati al piano terra e primo dell'ex opificio. Non solo. L'art. 10 del regolamento allegato all'atto di costituzione del condominio, ribadisce quanto già previsto dall'art. 1117 c.c.: gli androni, gli atrii e le scale sono di proprietà comune. La modifica dell'assetto proprietario dei beni in questione non risulta neanche da successivi atti trascritti.
In tale contesto, il diritto di usare un bene condominiale - che pur è asservito al godimento della proprietà della singola unità abitativa privata - non può in nessun caso spingersi sino al punto di escludere il diritto di comproprietà degli altri condomini sul bene.
D'altra parte, i poteri che scaturiscono dal diritto reale in favore del suo titolare sono quelli determinati dalla legge e non possono essere modificati dal singolo interessato, né possono essere il prodotto dell'autonomia negoziale.