Danno da emotrasfusione e quantificazione del danno da premorienza spettante agli eredi

10 Gennaio 2023

La Suprema Corte si sofferma su due profili riguardanti la determinazione del danno non patrimoniale iure hereditatis: se la corresponsione vada limitata alla durata effettiva della sopravvivenza della vittima primaria; se occorra defalcare per intero (ossia con riferimento anche ai ratei futuri non ancora percepiti) l'indennizzo previsto dalla l. n. 210/1992.
Massima

La menomazione non reversibile dell'integrità della persona presuppone che la persona sopravviva almeno temporaneamente al fatto lesivo e, presentandosi con i connotati del danno permanente, va risarcita con le corrispondenti tecniche di valutazione probabilistica: diversamente, nel caso di persona deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione conseguenza dell'illecito alla valutazione probabilistica va sostituita quella del concreto danno effettivamente prodottosi e richiesto dagli eredi iure successionis.

Neppure può farsi luogo al defalco dell'indennizzo ex legge n. 210/1992 con riferimento non solo al percepito stimato alla data del decesso, ma anche ai percipiendi ratei futuri, giacché con il decesso del beneficiario cessa l'obbligo di relativa corresponsione, e il danneggiante verrebbe a trarre un inammissibile vantaggio dal proprio illecito”.

Il caso

Caia decedeva in conseguenza di epatocarcinoma a sua volta cagionato dall'epatite C contratta all'esito di emotrasfusioni nel 1987.

Gli eredi evocavano in giudizio la Regione e l'USL di competenza, nonché il Ministero della Salute per vedere accertato il diritto al risarcimento dei danni, in proprio e nella qualità di eredi.

La Corte di Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, rigettando la domanda nei confronti della Regione, ma condannando il Ministero al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso di Caia.

Il Ministero ricorre per cassazione per due motivi:

1) la Regione non aveva fornito la prova liberatoria della responsabilità contrattuale sulla sola base della provenienza della sacca di sangue usata dall'Avis e della sufficienza dei controlli solo dalla medesima effettuati;

2) la Corte di appello aveva errato a rideterminare il danno non patrimoniale iure hereditatis senza limitare la corresponsione alla durata di vita effettiva della vittima primaria e senza scomputare “per intero” (cioè con riferimento anche ai ratei futuri non ancora percepiti) l'indennizzo ex l. n. 210/1992.

Sin da subito si segnala che la questione di interesse in questa sede è la seconda.

Sulla prova liberatoria della responsabilità contrattuale, valga solo dire che la Regione è stata ritenuta esente da responsabilità in quanto la sacca di sangue usata proveniva dall'Avis, regolarmente tracciata e i cui estremi di provenienza erano stati riportati nella cartella clinica. Pertanto, il personale sanitario aveva correttamente proceduto a verificare la compatibilità per la trasfusione e a riportare gli estremi nella cartella clinica. La conservazione dei dati, in specie, l'obbligo di conservare il nominativo del donatore per cinque anni era stato introdotto solo successivamente all'emotrasfusione del 1987.

La questione

Come anticipato, la questione di principale interesse posta alla Suprema Corte riguarda la determinazione del danno non patrimoniale iure hereditatis, che poi si compone di due profili:

1) se la corresponsione vada limitata alla durata effettiva della vittima primaria;

2) se bisogna defalcare per intero (ossia con riferimento anche ai ratei futuri non ancora percepiti) l'indennizzo previsto dalla l. n. 210/1992.

Indubbiamente la particolarità e l'importanza della decisione annotata attiene al primo profilo, come vedremo, ossia come vada parametrato l'ammontare del danno biologico spettante agli eredi iure successionis: alla durata effettiva della vita del danneggiato, oppure a quella probabile, oppure al concreto danno effettivamente prodottosi?

Le soluzioni giuridiche

In generale, in tema di determinazione del danno biologico spettante agli eredi iure successionis spesso si pone la questione della vittima primaria del danno alla salute che sia deceduta prima della conclusione del giudizio.

Nel caso specifico, ad ulteriore qualificazione della fattispecie, viene in considerazione che la vittima primaria è deceduta per causa dell'illecito, ossia in conseguenza della patologia contratta all'esito dell'emotrasfusione con sangue infetto e non per cause da essa indipendenti.

Così, a fronte della questione generale di determinazione del danno biologico, si possono presentare due soluzioni interpretative, che poggiano su un presupposto diverso ben preciso:

1) qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella statisticamente probabile; il giudice di merito è tenuto a liquidare tale danno seguendo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio, e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti (Cassazione civile sez. III, 29 dicembre 2021, n.41933; Cassazione civile sez. III, 15 febbraio 2019, n.4551 con nota di De Giovanni C., Morte sopravvenuta del danneggiato per cause indipendenti dal fatto oggetto del giudizio e liquidazione del danno biologico, in IUS Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it)15 luglio 2019;Cassazione civile sez. III, 11 ottobre 2018, n.25157; Cassazione civile sez. III, 18 gennaio 2016, n.679); si precisa anche che assume rilevanza la sofferenza effettivamente patita per il residuo tempo di durata della vita, nel rispetto del fondamentale principio di contenimento di qualunque forma di risarcimento all'effettivo pregiudizio arrecato (Cassazione civile sez. III, 26 maggio 2016, n.10897).

2) quando la morte sia stata viceversa direttamente cagionata dall'illecito, in conseguenza della patologia contratta all'esito della subita trasfusione con sangue infetto e non per cause da essa indipendenti, la menomazione non reversibile dell'integrità della persona presuppone che la persona sopravviva almeno temporaneamente al fatto lesivo e, presentandosi con i connotati del danno permanente, va risarcita con le corrispondenti tecniche di valutazione probabilistica (Cassazione civile sez. III, 11 luglio 2003, n.10942; Cassazione civile sez. III, 7 aprile 1998, n.3561; Cassazione civile sez. III, 2 marzo 1995, n. 2450).

Osservazioni

La sentenza in esame risulta apprezzabile ed importante perché evidenzia due orientamenti che non sono affatto contrapposti, ma che esprimono due principi diversi applicabili a fattispecie diverse, ove l'elemento distintivo è se la morte è causalmente o meno legata alla menomazione ricevuta a seguito dell'illecito.

Infatti, in termini generali la menomazione non reversibile dell'integrità della persona - idonea, cioè, ad incidere stabilmente e continuativamente sull'esplicazione della personalità lungo il presumibile arco della vita futura del soggetto che la patisce - presuppone che la persona stessa sopravviva almeno temporaneamente al fatto lesivo e, presentandosi con i connotati del danno permanente, va risarcita con le corrispondenti tecniche di valutazione probabilistica.

Nel caso in cui successivamente e al momento della liquidazione la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, alla valutazione probabilistica va sostituita quella del concreto danno effettivamente prodottosi e richiesto dagli eredi iure successionis, cosicché la morte della persona, sopravvenuta prima della liquidazione del risarcimento, rende misurabile e rapportabile alla durata della vita successiva alla menomazione l'incidenza negativa da questa arrecata. La ragione è semplice: la durata della vita futura, in questo caso, non costituisce più un valore ancorato alla mera probabilità statistica ma è un dato noto.

Diversa è l'ipotesi di decesso ricollegabile alla menomazione risentita. In questo caso, vale il principio sopra visto secondo cui l'ammontare del danno biologico spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata probabile della vita del danneggiato e non già a quella effettiva.

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte la morte era stata, appunto, direttamente cagionata dall'illecito, essendo la persona deceduta proprio in conseguenza della patologia contratta all'esito della subita trasfusione con sangue infetto, e non già per cause da essa indipendenti.

Il problema sta nel fatto che il Ministero ricorrente si doleva che si fosse "rideterminato il danno non patrimoniale iure hereditatis" senza limitare la corresponsione alla durata di vita effettiva della vittima primaria e senza scomputare "per intero", e cioè con riferimento "anche ai ratei futuri non ancora percepiti", l'indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

Occorreva, secondo il ricorrente, riliquidare il danno nel periodo di vita stimato in più che la vittima primaria avrebbe ottenuto e lucrato continuando a percepire l'indennizzo".

Come detto, però, il principio secondo cui l'ammontare del danno biologico spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non già a quella probabile, si applica solo nel caso in cui la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito.

Quando invece, come nella fattispecie concreta, la morte sia stata direttamente cagionata dall'illecito, essendo la persona deceduta proprio in conseguenza della patologia contratta all'esito della subita trasfusione con sangue infetto, e non già per cause da essa indipendenti, si applica il principio in base al quale la menomazione non reversibile dell'integrità della persona (idonea, cioè, ad incidere stabilmente e continuativamente sull'esplicazione della personalità lungo il presumibile arco della vita futura del soggetto che la patisce) presuppone che la persona sopravviva almeno temporaneamente al fatto lesivo e, presentandosi con i connotati del danno permanente, va risarcita con le corrispondenti tecniche di valutazione probabilistica.

Come vedremo successivamente per non spezzare il ragionamento della Cassazione, l'assunto lascia irrisolta l'ulteriore spinosa questione della quantificazione del danno.

L'aver delineato questa distinzione (tra i casi di decesso eziologicamente o meno collegabile alla menomazione) consente, infatti, di affrontare la seconda questione, che assume un ruolo apparentemente marginale, ossia il defalco dell'indennizzo ex l. n. 210/1992.

Secondo la tesi della ricorrente si doveva tener conto del lucro che nel periodo di vita stimato in più la vittima primaria avrebbe ottenuto continuando a percepire l'indennizzo e si sarebbe dovuto detrarre non già la sola somma quale percepita stimata alla data del decesso, ma l'ulteriore somma che avrebbe percepito sino all'epoca di stimata vita media, in quanto "ai fini della scomputabilità dell'indennizzo già riconosciuto e soggetto nella sua materiale erogazione a periodicità […] lo scomputo deve essere per intero (come pure in S.U. del 2008: "integralmente scomputato"), cioè riferito anche ai ratei futuri non ancora percepiti, in quanto solo così si assicura l'omogeneità dei termini del raffronto tra poste risarcitorie liquidate anche in relazione alle conseguenze dannose prevedibili per la aspettativa futura e le poste indennitarie in detrazione la cui attribuzione patrimoniale è causalmente e funzionalmente collegata all'illecito".

In effetti, come espresso dalle Sezioni Unite, “dal risarcimento del danno complessivamente dovuto dal Ministero della salute a persona contagiata in seguito a trasfusioni con sangue infetto vanno detratti gli importi già ricevuti dalla vittima a titolo di indennizzo ex legge n. 210 del 1992, perché altrimenti il danneggiato realizzerebbe un ingiustificato arricchimento, percependo due diverse attribuzioni patrimoniali dal medesimo soggetto e scaturenti dal medesimo fatto materiale” (Cass. civ. sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584).

Proprio in considerazione della diversità di fattispecie (decesso causalmente legato all'illecito) non può trovare accoglimento "la decurtazione": quando la morte sia stata direttamente cagionata dall'illecito, la persona va risarcita con le corrispondenti tecniche di valutazione probabilistica. Sul punto la motivazione della Cassazione non è articolata e avrebbe meritato un maggior approfondimento sull'esatta portata dell'applicazione del giudizio probabilistico in relazione al rapporto tra risarcimento ed indennizzo, per non arrivare all'assolutizzazione del principio, come vedremo in seguito.

In astratto pare di capire che la valutazione probabilistica escluda il rischio di “locupletazione”.

Aggiunge la Suprema Corte che, per altro verso, non può farsi nella specie luogo al defalco dell'indennizzo ex l. n. 210/1992 con riferimento non solo al "percepito stimato alla data del decesso" ma anche ai percipiendi ratei futuri, giacché con il decesso del beneficiario cessa l'obbligo di relativa corresponsione, e il danneggiante verrebbe in quest'ultimo caso a trarre inammissibilmente vantaggio dal proprio illecito.

Come accennato, la decisione annotata non affronta la spinosa questione della concreta liquidazione o quantificazione del danno non patrimoniale.

Posto che il danno biologico alla salute o dinamico-relazionale viene di regola liquidato attraverso tabelle che tengono conto anche dell'età della vittima, viene in rilievo l'età della vittima al momento del sinistro e si presuppone che vivrà per la durata media di vita, con quella menomazione.

È evidente la differenza con l'ipotesi in cui la vittima deceda per cause diverse dalla lesione: in tal caso, il periodo di tempo in cui la vittima ha convissuto con i postumi conseguenti alla lesione costituisce un dato noto e non più probabilistico, per cause diverse dalla menomazione subita.

Questo perché la morte della persona sopravvenuta prima della liquidazione del risarcimento rende misurabile e rapportabile alla durata della vita successiva alla menomazione l'incidenza negativa da questa arrecata.

Nel caso in cui, invece, la vittima venga mancare a causa della lesione stessa, la valutazione del danno non patrimoniale va commisurata alla speranza di vita futura, e quindi alla durata della vita media rimanendo priva di rilievo la durata effettiva della vita.

I principi generali sono chiari e pacifici.

Ma in caso di premorienza, quali criteri di liquidazione adottare? Come liquidare il danno nel caso di morte sopraggiunta nel corso del processo a causa della menomazione subita?

È evidente che interviene il fatto “morte” idoneo a determinare astrattamente l'esatta durata effettiva della vita.

I criteri utilizzati sono tre cui aggiungere quello dell'Osservatorio milanese:

1) il criterio della riduzione equitativa del valore monetario risultante dall'applicazione pura e semplice delle tabelle, che però rischia di diventare arbitrario e disomogeneo;

2) il criterio della proporzione, tra il tempo in cui si è sopportato il danno e quello per il quale si sarebbe dovuto sopportare se la vittima fosse sopravvissuta. Il criterio non appare coerente, perché tende ad avvantaggia paradossalmente le persone le più anziane rispetto alle più giovani, portando al riconoscimento di risarcimenti maggiori ai primi a parità di condizioni;

3) il criterio che pone alla base del calcolo non il valore del punto corrispondente all'età della vittima, ma quello corrispondente ad un soggetto di età pari alla differenza fra la durata della vita media ed il numero di anni effettivamente vissuti.

Come noto, l'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha elaborato un criterio che è stato inserito nella Tabella pubblicata nel 2018 e aggiornata nell'edizione del 2021. Per liquidare il danno c.d. da premorienza, si osserva che:

1. il mero dato anagrafico è inidoneo a differenziare i risarcimenti poiché questo fattore è funzionale a calcolare l'aspettativa di vita e non è utile nel caso in cui sia nota la data del decesso;

2. occorre individuare il risarcimento annuo mediamente corrisposto ad ogni percentuale invalidante secondo i valori monetari individuati dalle Tabelle di Milano; esso corrisponde al rapporto tra il risarcimento medio e l'aspettativa di vita media;

3. occorre procedere con una funzione decrescente del risarcimento: il danno non è una funzione costante nel tempo ma esso è ragionevolmente maggiore in prossimità dell'evento per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi.

Sulla base di tali principi è stato elaborato un criterio che individua per ogni percentuale di invalidità, un importo uguale per tutti, a prescindere dall'età e dal sesso, valevole per il primo anno, al quale ne segue un altro di importo inferiore che vale per i primi due anni, superati i quali si aggiunge per ogni anno successivo un risarcimento fisso di importo ancora inferiore rispetto ai precedenti.

Occorre, poi, tener presente l'importante aspetto della personalizzazione, che consente di aumentare il risultato ottenuto fino al 50%.

Nessuno dei criteri proposti è andato esente da critiche, per cui la questione è aperta e molto dibattuta. Anche le c.d. tabelle milanesi sono state oggetto di critica da parte della Cassazione che ha ritenuto, ad esempio, non conforme al criterio dell'equità l'applicazione delle tabelle milanesi sul c.d. danno da premorienza, in quanto basate sull'attribuzione al danno biologico permanente di un valore economico decrescente nel corso del tempo, per un caso, però, di decesso non ricollegabile alla menomazione risentita a causa dell'illecito (Cass. civ., sez. III, 29 dicembre 2021, n. 41933).

A fronte di una eterogeneità di criteri, non essendo questa la sede per la disamina, si rinvia per una migliore ricognizione a BERTI L., Morte non causata dalle lesioni: i criteri di liquidazione del danno da premorienza fra tabelle pretorie e principi giurisprudenziali dopo la Cass. 41933/2021, in IUS Responsabilità civile 8 marzo 2022; DE GIOVANNI C., Morte sopravvenuta del danneggiato per cause indipendenti dal fatto oggetto del giudizio e liquidazione del danno biologico, in IUS Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it)15 luglio 2019; SERPETTI DI QUERCIARA A., Sulla liquidazione del danno biologico in ipotesi di danno non contemplato dalle tabelle, in IUS Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it) 31 luglio 2020; LOVATO A., La Cassazione boccia la tabella milanese del danno non patrimoniale da premorienza perché ritenuta non conforme al parametro dell'equità, in IUS Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it) 8 febbraio 2022. A completamente è doveroso il rinvio a Trib. Milano, sez. X, G.I. dott. D. Spera, 16 novembre 2022, n. 9042 che affronta compiutamente la questione e le critiche mosse alle Tabelle milanesi da parte della Suprema Corte.

In questa sede, preme sottolineare che la sentenza annotata non entra nel merito dei concreti criteri liquidativi, a patto di riconoscere che il criterio probabilistico affermato si contrappone al diverso criterio “secco” del tempo del decesso effettivo.

Se non si condividesse tale precisazione, si dovrebbe prendere atto che il principio giunge al paradosso di non considerare il dato temporale certo: anche in caso di premorienza, si applicherebbe il criterio probabilistico come se non fosse avvenuta la morte. Questo non è condivisibile.

Infatti, sembra evidente che il parametro di partenza è l'età della vittima poiché ciò incide sulla sua durata media della vita in cui dovrà convivere con la menomazione conseguente alla lesione (valutazione probabilistica di un danno permanente).

Ma è altrettanto evidente il dato certo del decesso intervenuto, il quale consente di calcolare l'esatto lasso di tempo in cui la vittima ha convissuto con la menomazione, causa del decesso.

È lapalissiano che il danno si è verificato in tutta la sua gravità, tanto da essere causa del successivo decesso.

Senza arrivare a dire che si dovrebbe liquidare l'intero danno non patrimoniale secondo il criterio probabilistico, è ineludibile il fatto che si è in presenza di una massima lesione della salute, che deve essere ristorata adeguatamente.

Il rischio potrebbe essere che divenga “più economicamente sostenibile” sperare in lesioni che portino successivamente al dato certo della morte il prima possibile, per avere un orizzonte temporale di valutazione del danno più limitato.

È importante, invece, riconoscere e valorizzare l'evento lesivo e le sue conseguenze, che hanno compromesso l'aspettativa di vita, riducendola, essendo causa del successivo decesso (in questo senso si ritiene diversa l'ipotesi di decesso non causato dalla menomazione, ove viene a mancare il nesso causale, ma fermo che la lesione può aver ridotto l'aspettativa di vita il cui danno non patrimoniale andrà comunque valutato, sia pure tenendo conto dell'evento morte sopraggiunto per cause diverse).

È indubbio che la menomazione oltre a portare ad una invalidità con cui convivere per un certo numero di anni (quantificabile temporalmente rispetto al successivo evento “morte” divenuto noto) ha ridotto l'aspettativa di vita, che pure deve essere valutata ai fini del risarcimento del danno.

Ma non si giunga alla conclusione che tale aspetto del danno vada risarcito autonomamente e secondo il criterio probabilistico.

Infatti, accertata la causa della morte nella menomazione subita e in presenza del danno fatto valere iure hereditatis (oltre che iure proprio) dai congiunti, non vi è spazio per la risarcibilità anche del danno da perdita di chance di maggiore (e migliore) sopravvivenza.

Difatti, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che - nel premettere come "la domanda giudiziale che configuri una ipotesi di danno da perdita di chance di sopravvivenza (fatto valere dai congiunti della vittima iure hereditario)", nonché "un danno da perdita di "chance" di godere del rapporto parentale fatto valere dai parenti iure proprio, ripeta "il suo autonomo fondamento (e la autonomia del conseguente petitum processuale) in ragione della incertezza sull'anticipazione dell'evento morte - quelle "stesse pretese si tramutano, di converso, in domanda di risarcimento tout court" del danno da perdita anticipata del rapporto parentale, ove sia certo e dimostrabile, sul piano eventistico, che la condotta illecita abbia cagionato l'anticipazione dell'evento fatale".

In tale ipotesi, infatti, costituisce "un evidente paralogismo l'evocazione della fattispecie della chance(in quanto "fondato sull'equivoco lessicale indotto dalla locuzione "perdita della possibilità di vivere meglio e più a lungo""), giacché, qui, "l'evento di danno è specularmente costituito dalla perdita anticipata della vita e dall'impedimento a vivere il tempo residuo in condizioni migliori e consapevoli". In altri termini, "nei casi in cui l'evento di danno sia costituito non da una possibilità sinonimo di incertezza del risultato sperato - ma dal (mancato) risultato stesso, non di chance perduta par lecito discorrere, bensì di altro e diverso evento di danno (in ambito sanitario, la perdita anticipata della vita, rigorosamente accertata come conseguenza dell'omissione sul piano causale)" (così, in motivazione, Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993; Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2020, n. 13870; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641; Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2018, n. 16919; Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2018, n. 3691).

Sulla scorta di tali rilievi, in un simile caso "l'evento sarà attribuibile interamente al sanitario, chiamato a rispondere del danno biologico cagionato al paziente e del danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari" (così, nuovamente, Cass. n. 28993/2019, cit.).

In tema di danno alla persona, la perdita di chance, ovvero di una concreta possibilità di conseguire un determinato bene della vita, integrante la lesione di un'entità patrimoniale attuale suscettibile di autonoma valutazione economica, non può coesistere con il danno alla salute (e con il correlato danno non patrimoniale), il quale presuppone l'accertamento che l'illecito si sia concretizzato in una menomazione dell'integrità psicofisica, e che, di conseguenza, l'inadempimento del sanitario abbia non soltanto privato il paziente di una possibilità di cura, ma concretamente inciso sullo stato di salute.

In questo senso si comprende la differenza tra l'ipotesi di decesso eziologicamente collegato o meno alla menomazione subita. Nel primo caso si configura un danno alla salute derivante dalla condotta. Nel secondo viene a mancare tale elemento causale, quindi si dovrà valutare quale danno ha effettivamente recato la menomazione secondo le regole proprie, potendo al più il fattore decesso essere valutato diversamente sui diversi aspetti del danno non patrimoniale, come sopra detto.

Qui si inserisce la diatriba sul'individuazione dei concreti criteri di liquidazione del danno.

Indubbiamente i criteri milanesi, nel vuoto normativo, apprestano una soluzione che può rivelarsi utile e sicuramente meno aleatoria di altre, in quanto corrisponde al rapporto tra il risarcimento medio e l'aspettativa di vita media.

Astrattamente pare non condivisibile l'idea che un danno permanente venga liquidato diversamente tra i primi anni e i successivi, diminuendo la liquidazione dal secondo anno. In concreto, però, le Tabelle milanesi operano diversamente. Secondo il testo delle Tabelle, si ritiene che il pregiudizio sofferto nel primo e nel secondo annuo abbiano una intensità maggiore rispetto a quello sofferto dal terzo anno in avanti, sicché i valori risarcitori relativi a quell'arco temporale devono essere più elevati: si è ritenuto dunque equo un incremento del risarcimento medio annuo nella misura del 100% per il primo anno e del 50% per il secondo.

È chiaro che la prospettiva è diversa: non vi è una decurtazione negli anni successivi, ma un aumento nei primi anni.

Infine, la valutazione individuale caso per caso deve essere attentamente allegata e valutata, perché la possibilità di aumentare l'importo quantificato fino al 50% costituisce un imprescindibile strumento di valorizzazione del danno e di correzione.

Soprattutto tale aumento rappresenta un valido mezzo per superare le obiezioni mosse alle c.d. tabelle milanesi.

Infatti, si deve ricordare che “in tema di risarcimento del danno biologico, laddove il giudice di merito si trovi di fronte ad un'ipotesi non contemplata dalle tabelle ritenute idonee per la liquidazione, è tenuto a fornire specifica indicazione degli elementi della fattispecie concreta considerati, ritenuti essenziali alla valutazione del danno e giustificativi del criterio di stima adottato, ben potendo ricorrere anche al sistema tabellare come base di calcolo e dando congrua rappresentazione delle modifiche apportate” (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2020, n. 12913).

Dunque, è fondamentale individuare i criteri concreti di liquidazione del danno alla salute, anche nei termini probabilistici come si è cercato di spiegare.

Naturalmente non è questa la sede per approfondire ulteriormente le questioni, ma sicuramente il tema è aperto, soprattutto in relazione alla questione che il giudizio probabilistico esclude il defalco, che richiedeva una maggiore chiarezza di motivazione.

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