La previsione contenuta all'art. 1598 c.c. - ai sensi del quale “le garanzie prestate da terzi non si estendono alle obbligazioni derivanti da proroghe della durata del contratto” - concerne le garanzie prestate da terzi per l'adempimento delle obbligazioni contrattuali del conduttore e sembra indirizzata, essenzialmente, a disciplinare la sorte delle garanzie “personali” prestate da terzi, generalmente di tipo fideiussorio (anche se una parte della dottrina ritiene che la norma regolamenti sia le garanzie personali che quelle reali).
Ad ogni buon conto, si conviene che l'inserimento, nel contratto di locazione, contratto di una serie di clausole relative alla garanzia non può considerarsi comportamento in mala fede, né possono considerarsi vessatorie le clausole, quali la sottoscrizione di una polizza assicurativa a garanzia dell'immobile o una fideiussione bancaria (v., nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 3 settembre 2018).
Esula, invece, dal campo di applicabilità della norma l'ipotesi di sostituzione del deposito cauzionale - previsto dagli artt. 11 e 41 della l. n. 392/1978 - con una fideiussione bancaria a prima richiesta: invero, tale fideiussione - più propriamente da qualificarsi, peraltro, in termini di cauzione o polizza fideiussoria - ha funzione di garanzia di un obbligo immediato, certo, liquido ed esigibile e equivalente del denaro contante (Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2014, n. 6517).
Non si nasconde, tuttavia, l'incerto àmbito applicativo della norma de qua, atteso che, nell'oggettiva ambiguità della sua formulazione, ci si interroga se l'art. 1598 c.c. faccia riferimento alle sole ipotesi di rinnovazione contemplate dal precedente art. 1597 c.c. oppure se essa riguardi anche (o solo) le proroghe legali del contratto.
Orbene - secondo Cass. n. 15781/2016, richiamata nella motivazione della sentenza in commento - la norma trova applicazione in riferimento ad una fase di fisiologica attuazione del rapporto locatizio, rinnovatosi tacitamente in un nuovo rapporto avente il contenuto del primo oppure di prosecuzione (convenzionale o legale) del rapporto originario, intendendo il legislatore tutelare il garante (salvo diversa volontà delle parti contraenti la garanzia) affinché non rimanga astretto nella propria obbligazione (distinta da quella delle parti del contratto di locazione), nonostante che la garanzia stessa sia stata convenuta in riferimento alle obbligazioni del solo rapporto originario, anche nella sua durata ab initio temporalmente delimitata o delimitabile ex lege.
Ne dovrebbe conseguire, per un verso, che risulta superato l'originario orientamento, il quale legava l'articolo in esame alle sole “proroghe legali”, escludendo, dunque, dall'àmbito di operatività della previsione, l'ipotesi in cui la rinnovazione sia stata già originariamente prevista dalle parti (ipotesi non diversa da quella di proroga considerata ab initio quale effetto automatico), sia pure come conseguenza del mancato invio della disdetta.
Per altro verso, che esula dal campo di operatività della stessa norma l'ipotesi in cui il conduttore, dopo la scadenza del contratto, è rimasto in mora nel restituire la cosa locata ed è, pertanto, tenuto a pagare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, in forza della mera detenzione della cosa e non già del suo godimento: una tale obbligazione ex lege - che prescinde del tutto dall'attuazione fisiologica del rapporto locatizio (rinnovato o prorogato), originandosi dall'inadempimento del rapporto originario, vive in stretto collegamento con il contratto di locazione originario, cosicché non è dato giovarsi del concetto di “proroga del contratto”, rilevando semplicemente un ritardo nella consegna della cosa locata alla cessazione del contratto.
In quest'ordine di concetti, la sentenza impugnata si rivelava in linea con gli insegnamenti nomofilattici - espressi dalla Corte regolatrice anche nella sua massima composizione - in base ai quali, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione, ai sensi degli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge” e non da una manifestazione di volontà negoziale (v., in tal senso, Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2013, n. 11830, secondo cui, da tale principio, consegue che, in caso di pignoramento dell'immobile e di successivo fallimento del locatore, la rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dal comma 2 dell'art. 560 c.p.c.; più di recente, nello stesso senso, per l'applicabilità della disciplina dettata dai citati artt. 28 e 29 in tema di rinnovazione, con riferimento ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978, v. Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2019, n. 34162).
I magistrati del Palazzaccio hanno aggiunto che, nel caso da loro scrutinato, in cui la fideiussione è stata convenzionalmente posta a garanzia delle obbligazioni del conduttore in una locazione ad uso diverso da quello abitativo, senza una puntuale previsione contrattuale in relazione alle modalità di determinazione della durata del contratto prevista per tale fattispecie, l'art. 1598 c.c. si pone proprio perché riferito ad “ipotesi fisiologiche di rinnovazione o prosecuzione del rapporto”, quale norma generale applicabile e rilevante (come già ritenuto, peraltro, da Cass., sez. un., n. 11830/2013, cit., e Cass. Sez. III, n. 15781/2016, cit.).
Invero, la richiamata disposizione, basata sul concetto di “proroga” e negli ambiti in cui la disciplina civilistica ha ancora vigore, va letta congiuntamente alla precedente di cui all'art. 1597 c.c., che, sotto la rubrica “rinnovazione tacita del contratto”, regola la durata del contratto e ne prevede la rinnovazione sia nel caso di locazione a tempo determinato, in cui, seppur scaduto il termine, il conduttore rimanga o sia stato lasciato nella detenzione dell'immobile, sia nel caso di locazione a tempo indeterminato, in cui non è stata comunicata la disdetta inviata a norma del comma 2 dell'art. 1596 c.c.
In entrambi i casi, la continuazione della locazione è ancorata a “comportamenti meramente potestativi e liberi delle parti”: nel primo, dal rimanere ed essere lasciati nella detenzione della cosa locata, e, nel secondo, dalla mancata comunicazione della disdetta.
In tale contesto, una previsione, come quella stabilita nella fattispecie de qua, recante una fideiussione “a garanzia del pagamento dei canoni e dell'adempimento del contratto medesimo”, ossia senza alcuna specificazione in ordine alle vicende del rinnovo del contratto, una volta posta in relazione con il disposto dell'art. 1598 c.c., evocativo del concetto di “proroga”, implicava che la fideiussione non potesse estendersi - salvo una previsione contrattuale espressa in senso diverso - alle ipotesi di rinnovazione di cui all'art. 1597 c.c. ed eventualmente a proroghe sopravvenute, comunque non derivanti dalla volontà delle parti, come nel caso di una proroga disposta ex lege.
La ragione è che, per elementari ragioni coerenza, la disciplina codicistica non poteva che comprendere, nel concetto di proroga, le fattispecie disciplinate dal precedente art. 1597, e semmai, in aggiunta il factum principis, attribuendo alla volontà positiva delle parti nel primo caso (rimanere e lasciare) ed alla volontà negativa delle parti nel secondo caso (mancata disdetta), la permanenza e la rinnovazione tacita del contratto. La proroga, quindi, veniva basata su un “comportamento sopravvenuto e, dunque, futuro” rispetto alla stipula del contratto e della fideiussione, e, sotto tale profilo, l'art. 1598 c.c. doveva spiegarsi nel senso indicato, semplicemente perché coerente con il disposto dell'art. 1938 c.c., in punto di estensione della fideiussione ad un'obbligazione futura: disposto che esige, appunto, una pattuizione in tale senso.
Solo la stipula della fideiussione con espressa estensione alla rinnovazione, come concepita dall'art. 1597 c.c., poteva consentire una deroga all'applicazione del l'art. 1598 c.c., e ragionamento identico doveva essere fatto per il factum principis.
Viceversa, con riferimento alle locazioni ad uso diverso, la situazione relativa alla durata del contratto, se apprezzata considerando la logica del rapporto fra la disciplina generale codicistica di cui agli artt. 1598, 1597 e 1938 c.c. e quella speciale di cui agli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978, conduce a ritenere che, solo alla scadenza del secondo sessennio di durata, la locazione può cessare per un comportamento meramente potestativo del locatore e del conduttore, mentre, alla scadenza del primo sessennio, la cessazione può avvenire solo per disdetta da comunicarsi all'altra parte nei termini previsti oppure - ed è l'ipotesi che qui rileva - per esercizio della facoltà di diniego di rinnovo da parte del locatore per i motivi previsti dall'art. 29 e, dunque, con un comportamento caratterizzato da particolari modalità e termini, non meramente potestativo.
Pertanto, la fideiussione prestata a garanzia di una o più obbligazioni si protrae, salva diversa volontà negoziale, per lo stesso termine entro il quale la prestazione garantita va eseguita, sicché, nell'ipotesi di locazione in cui sia garantito l'obbligo del pagamento del canone nonché l'adempimento del contratto - come convenuto nel caso di specie - il fideiussore può recedere anticipatamente solo se, nel contratto di locazione e in quello di fideiussione, le parti abbiano espressamente convenuto il diritto del garante di recedere in qualunque momento dalla prestazione di garanzia o se ricorra altra causa idonea a giustificarne il recesso (Cass. civ., sez. VI/III, 26 novembre 2014, n. 25171; in senso conforme, v., altresì, Cass. civ., sez. I, 7 gennaio 2016, n. 20244).
Ne consegue, dunque, che, quando un terzo assume un impegno fideiussorio a garanzia delle obbligazioni del conduttore con riferimento alle obbligazioni del medesimo nascenti dal contratto di locazione ad uso diverso, in mancanza di limitazione alla durata per il primo sessennio, assume l'impegno per una durata che, dal punto di vista del locatore garantito, non è disponibile sulla base della mera volontà delle parti, come nella logica dell'art. 1597 c.c., ma deve intendersi individuata nella durata ex lege di sei anni più sei anni.