Detrazione IVA entro il dovuto per l'errore nella fattura

25 Gennaio 2023

In caso di operazione erroneamente assoggettata ad IVA, o ad un'aliquota eccedente quella applicabile, non è ammessa la detrazione dell'imposta pagata e fatturata atteso che, ai sensi dell'art. 19, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e in conformità dell'art. 17 della direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE, e degli artt. 167 e 63 della successiva direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE, l'esercizio del relativo diritto presuppone l'effettiva realizzazione di un'operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta.
Massima

Qualora l'operazione sia stata erroneamente assoggettata all'IVA, per la misura non dovuta sono privi di fondamento sia il pagamento dell'imposta da parte del cedente - il quale ha diritto di chiedere all'Amministrazione il rimborso di quanto versato in eccesso -, sia la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario - il quale ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell'IVA in via di rivalsa, nella parte erroneamente versata – sia, infine, la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione IVA, con conseguente potere-dovere dell'Amministrazione di escludere la detrazione dell'imposta così pagata in rivalsa.

Il caso

Una società di capitali impugnava con 16 motivi di ricorso la sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte, la quale aveva dato conferma della decisione di primo grado tributaria.

Il Primo Giudice aveva dato conferma degli avvisi di accertamento i quali riprendevano a tassazione - ai fini IRES, IVA, IRAP, per i periodi di imposta 2006, 2007 e 2008 - costi correlati a fatture passive per operazioni oggettivamente inesistenti e altri costi indeducibili/indetraibili, perché non documentati o non inerenti.

In particolare, i giudici tributari di merito avevano condiviso la prospettazione dell'ufficio finanziario, secondo cui i controlli effettuati presso gli stabilimenti della società sottoposta a verifica avevano messo in luce il seguente modus operandi: la ricorrente società, quale utilizzatrice della frode, individuava determinati macchinari (per lo più si trattava di presse industriali) tra quelli di sua proprietà, già ammortizzati o difficilmente tracciabili, e, quindi, emetteva l'ordine di acquisto nei confronti di altre imprese, le quali si rendevano disponibili a reperire sul mercato il bene con le preordinate caratteristiche.

La ricorrente acquistava quel bene direttamente dal venditore fittizio, oppure tramite una società di leasing (la quale, a sua volta, comprava lo stesso bene dal cedente fittizio), o, infine, da altra società di servizio (che agiva come intermediario), dando in pagamento cambiali che l'intermediario scontava per finanziare l'acquisto. Di fatto, però, non si verificava alcuna cessione di beni, dal momento che tutte le operazioni riguardavano macchinari che già erano di proprietà della contribuente.

Per ciò che qui interessa, con il quattordicesimo motivo, la ricorrente censurava la sentenza di secondo grado la quale ha trascurato che, per il principio di neutralità dell'IVA, l'erronea applicazione della relativa aliquota (del 20% anziché del 10%), da parte del cedente o del prestatore di servizio, non pone alcuna limitazione all'esercizio del diritto alla detrazione spettante al cessionario, dato che soltanto il cedente/prestatore, quale soggetto passivo dell'imposta sul valore aggiunto, può essere chiamato a rispondere della non corretta applicazione dell'aliquota IVA sulle operazioni che ha posto in essere.

La Suprema, pur accogliendo il sesto e il dodicesimo motivo di ricorso, rigettava, tra gli altri motivi, anche il quattordicesimo, ritenendo che la sentenza impugnata ha spiegato che la contribuente era un'industria manifatturiera e che, pertanto, l'aliquota IVA da applicare è pari al 10% e non al 20%, come invece indicato in fattura, e ciò giustificava il recupero della parte dell'IVA indebitamente detratta (v. Cass. 32900/2022).

La questione

La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se nell'ipotesi in cui una operazione sia stata erroneamente assoggettata all'IVA, per la misura non dovuta, restino privi di fondamento non solo il pagamento dell'imposta da parte del cedente e la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario, ma anche la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione IVA, con conseguente potere-dovere dell'amministrazione di escludere la detrazione dell'IVA così pagata in rivalsa.

La soluzione giuridica

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in disamina.

Il cedente o prestatore ha il diritto di detrarre, dall'ammontare dell'imposta relativa all'operazione effettuata, l'importo dell'imposta assolta o dovuta (o a lui addebitata a titolo di rivalsa) in relazione ai beni/servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione.

Tale diritto può essere esercitato nel momento in cui l'imposta (detraibile) diviene esigibile per l'Erario, ossia nel momento in cui l'imposta relativa all'operazione attiva si considera effettuata secondo le regole stabilite, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, dall'art. 6 del d.P.R. 633/72.

Il diritto alla detrazione dell'imposta “a monte” può essere esercitato dal soggetto passivo IVA, qualora l'acquisto effettuato sia inerente all'attività dell'impresa (o dell'arte o professione).

Ciò significa che il soggetto passivo può esercitare la detrazione dell'imposta relativa ai beni/servizi acquistati, anche da fornitori comunitari ovvero, importati da Paesi/territori “terzi”.

È prevista la generalizzata detraibilità dell'IVA “a monte”, purché i beni/servizi acquistati non afferiscano ad operazioni esenti o, comunque, non soggette ad imposta.

L'imposta è detraibile se il cessionario/committente è qualificabile, nel momento di effettuazione dell'operazione, come soggetto passivo ai fini IVA.

La detrazione ha ad oggetto l'imposta “dovuta o assolta” (art. 168 par. 1 lett. a) ed e) della dir. 2006/112/CE), espressione recepita nel nostro ordinamento, ove si afferma che, ai fini della determinazione dell'imposta da versare in sede di liquidazione (periodica o annuale), “è detraibile dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo (…)” (art. 19 co. 1 d.P.R. 633/72).

Non è infatti consentito recuperare, a titolo di IVA, un importo che non sia stato ancora pagato e quindi versato all'Erario, se il corrispondente credito vantato da quest'ultimo è estinto o non è più utilizzabile.

L'IVA, per i beni e i servizi utilizzati in parte per l'effettuazione di operazioni non soggette all'imposta, non è ammessa in detrazione per la quota imputabile a tali operazioni; l'ammontare detraibile deve essere determinato secondo criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e servizi acquistati (art. 19 co. 4 d.P.R. 633/72).

L'art. 19-bis1 del d.P.R. 633/72 individua le ipotesi tassative di esclusione o di riduzione della detrazione IVA.

Si tratta dell'IVA relativa all'acquisto, anche mediante contratti di leasing, di mezzi di trasporto, alle somministrazioni di alimenti e bevande (salvo il caso in cui formino oggetto dell'attività propria dell'impresa), alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sui redditi, ad eccezione di quelle sostenute per l'acquisto di beni di costo unitario non superiore a 50 euro, all'acquisto, compreso il leasing, alla manutenzione, al recupero e alla gestione di fabbricati (o di porzioni di fabbricato) a destinazione abitativa.

In quest'ultima ipotesi ne sono escluse le imprese aventi per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati (o porzioni di fabbricato) e gli esercenti attività che effettuano locazioni di immobili rientranti tra le operazioni esenti di cui all'art. 10 n. 8 del d.P.R. 633/72, qualora il soggetto passivo eserciti anche attività imponibili che comportino la riduzione del pro rata.

Il diritto di detrazione, in caso di esercizio di un'attività imponibile e di un'attività esente da IVA, spetta in misura proporzionale alle operazioni imponibili effettuate.

L'ammontare detraibile viene determinato in base ad una percentuale di detraibilità che deve essere applicata sull'intero ammontare dell'imposta “a credito”, assolta sugli acquisti di beni/servizi (e non soltanto, quindi, sull'IVA assolta per i beni/servizi ad uso promiscuo, cfr. CM 328/E/97, § 3.3).

In corso d'anno il pro rata deve essere provvisoriamente calcolato applicando la percentuale di detrazione dell'anno precedente (c.d. “pro rata provvisorio”), salvo conguaglio a fine anno, una volta acquisiti i dati relativi alle operazioni (imponibili ed esenti) relative allo stesso anno (c.d. “pro rata definitivo”).

Osservazioni

Nel caso che ci occupa la Corte di Cassazione ha affermato in modo netto che “… in caso di operazione erroneamente assoggettata ad IVA (nella specie ad un'aliquota eccedente quella applicabile) non è ammessa la detrazione dell'imposta pagata e fatturata atteso che, ai sensi dell'art. 19, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e in conformità dell'art. 17 della direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE, e degli artt. 167 e 63 della successiva direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE (come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia), l'esercizio del relativo diritto presuppone l'effettiva realizzazione di un'operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta…” (v. Cass. civ., Sez. V, Ord., 08/11/2022, n. 32900).

Da questa considerazione giuridica e preliminare ne discende che, ove l'operazione sia stata erroneamente assoggettata all'IVA, per la misura non dovuta sono privi di fondamento:

  • il pagamento dell'imposta da parte del cedente (il quale ha diritto di chiedere all'Amministrazione il rimborso di quanto versato in eccesso);
  • la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario (il quale ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell'IVA in via di rivalsa, nella parte erroneamente versata);
  • la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione IVA, con conseguente potere-dovere dell'Amministrazione di escludere la detrazione dell'imposta così pagata in rivalsa.

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