Responsabilità del condominio per allaccio abusivo dell'impianto comune alla rete idrica e omessa vigilanza dell'amministratore
20 Dicembre 2022
Massima
L'abusivo allaccio di un impianto condominiale alla rete idrica integra un fatto illecito imputabile al Condominio nel suo complesso, rientrando tra gli obblighi dell'Amministratore, ex art. 1130, n. 4), c.c., quello di custodire le cose comuni, vigilando affinché non rechino danni a terzi e, conseguentemente, di compiere gli atti idonei ad evitare il perpetrarsi dell'illecito. Il caso
La causa originava dalla domanda, proposta da una Società gestrice di risorse idriche nei confronti del Condominio, per sentire accertare che quest'ultimo si era abusivamente allacciato alla rete idrica di proprietà del primo, approvvigionandosi illegittimamente di acqua da oltre un decennio, e per la conseguente condanna del convenuto a risarcire la Società di tutti i danni subiti ex art. 2043 c.c., o, in subordine, perché fosse accertato l'indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. che il medesimo Condominio aveva posto in essere in danno dell'attore, per aver consumato l'acqua di proprietà della stessa senza corrispondere alcunché. A fondamento della domanda, si assumeva che il convenuto era dotato di impianto idrico condominiale a servizio dei singoli appartamenti e che, nonostante non avesse un regolare contratto di somministrazione, si era approvvigionato da lungo tempo di acqua, mediante un allaccio abusivo alle condotte di proprietà della Società (circostanza, questa, constatata nel corso di due sopralluoghi effettuati congiuntamente ai Carabinieri, cui era seguito un procedimento per ATP, nel corso del quale il CTU aveva verificato il consumo medio giornaliero di acqua). Il Condominio contestava la fondatezza dell'avversa domanda, ritenendo che l'allacciamento del fabbricato all'impianto di adduzione dell'acqua era stato eseguito dal costruttore dell'edificio e che i singoli condomini, avendo ricevuto gli appartamenti con tutti i servizi funzionanti, non avevano mai apportato alcuna modifica alla condotta di allacciamento alla rete pubblica e, anzi, ignoravano l'esistenza stessa dell'allaccio abusivo, per cui non potevano ritenersi responsabili dell'illecito. Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando il Condominio a pagare una determinata somma a titolo risarcitorio. La Corte d'Appello riformava, però, la sentenza del giudice di primo grado, ritenendo che la (pur pacifica e documentata) presenza di un allaccio abusivo del fabbricato de quo alla condotta idrica della Società a servizio dei singoli appartamenti non era, di per sé, sufficiente per ritenere che l'Amministratore del Condominio e, quindi, il Condominio quale ente di gestione dei beni e servizi comuni - del quale non era stato dedotto e provato in alcun modo il diretto coinvolgimento nella condotta di utilizzo della fornitura - dovesse rispondere solidalmente del danno cagionato alla Società dai singoli condomini. Secondo la Corte territoriale, anche ammettendo che l'Amministratore del Condominio fosse consapevole dell'illecita fruizione dell'acqua da parte dei singoli condomini, lo stesso non avrebbe mai potuto vietare, per far cessare l'azione illecita, l'utilizzo delle tubature idriche condominiali; esulava, poi, dai compiti e dai doveri dell'Amministratore, come delineati dal combinato disposto degli artt. 1130 e il 1133 c.c., quello di vietare l'utilizzo di un servizio comune; infine, non era ravvisabile, nella condotta inerte e tenuta, rispetto all'illecita apprensione di acqua da parte dei singoli condomini, dai vari amministratori succedutesi nel tempo, un fatto illecito, idoneo a fondare, ai sensi dell'art. 2055 c.c., una responsabilità in solido del Condominio. La questione
Si trattava di verificare se esisteva un referente normativo che consentisse di fondare la responsabilità del Condominio, per illecita apprensione di acqua posta in essere dai singoli condomini, oppure, solo se solo nei confronti di quest'ultimi il terzo danneggiato avrebbe dovuto indirizzare le proprie istanze, considerando che, nella fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., l'Amministratore era stato evocato in giudizio non personalmente, bensì nella qualità di Amministratore di un bene di proprietà condominiale posto nella sua custodia e sotto il suo controllo. Le soluzioni giuridiche
I magistrati di Piazza Cavour hanno ritenuto fondato il ricorso per cassazione proposto dal terzo danneggiato (originario attore). Invero, aveva errato il giudice di merito a non considerare che l'allaccio abusivo costituiva, di per sé, un illecito, di cui non poteva non rispondere il Condominio nella sua interezza ai sensi dell'art. 2043 c.c., e che tale illecito si configurava come illecito permanente produttivo di danni, del quale doveva rispondere il Condominio finché non cessava l'illecito medesimo. L'Amministratore del Condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, con il conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condomini (Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25251; Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2014, n. 22179). Allorquando oggetto della lite sia l'abuso della cosa comune da parte di uno dei condomini, deve riconoscersi all'Amministratore il potere di agire in giudizio, al fine di costringere il condomino inadempiente all'osservanza dei limiti fissati dall'art. 1102 c.c.: in tale ipotesi, l'interesse, di cui l'Amministratore domanda la tutela, è un interesse comune, in quanto riguarda la disciplina dell'uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti. La denuncia dell'abuso della cosa comune, da parte di un condomino, rientra, pertanto, tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell'edificio, che spetta di compiere all'Amministratore, ai sensi dell'art. 1130, n. 4), c.c., senza alcuna necessità di autorizzazione dell'assemblea dei condomini. Nel caso di specie - ad avviso degli ermellini - il compito dell'Amministratore sarebbe stato quello di compiere gli atti idonei ad evitare il perpetuarsi dell'illecito permanente consumato, in modo determinante, attraverso l'impianto condominiale, consistente nel tratto di condotta che dipartiva dal punto in cui avvenne l'allaccio abusivo e attraverso il quale si è perpetuato l'illecito “emungimento” dell'acqua dal sistema idrico della Società. Pertanto, ai sensi dell'art. 2043 c.c., il Condominio, in persona dell'amministratore, doveva rispondere per non aver improntato la propria condotta, omettendo di compiere quelle attività che avrebbe dovuto compiere. Osservazioni
In argomento, si è, di recente, chiarito (Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2020, n. 7044) che il Condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, sicché risponde ex art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano causalmente imputabili anche al concorso del fatto di un terzo, prospettandosi, in tal caso, la situazione di un medesimo danno provocato da più soggetti per effetto di diversi titoli di responsabilità, che dà luogo ad una situazione di solidarietà impropria; nondimeno, la conseguenza della corresponsabilità in solido, ex art. 2055 c.c., comporta che la domanda del condomino danneggiato vada intesa sempre come volta a conseguire per l'intero il risarcimento da ciascuno dei coobbligati, in ragione del comune contributo causale alla determinazione del danno. Peculiare si presenta la tematica della c.d. responsabilità extracontrattuale o aquiliana, cioè della reazione dell'ordinamento, con una sorta di “sanzione”, contro un fatto illecito, che non si compie, però, nell'interno di un rapporto contrattuale o negoziale, coinvolgendo, quindi, solo una posizione di uno dei contraenti nell'interno di quel rapporto, e che trova il suo fondamento in quel più ampio principio di solidarietà civile che vieta a ciascun soggetto di laedere aliquem, di portare un ingiusto danno al diritto e alla posizione giuridica altrui. L'attenzione va posta non tanto sul comportamento dell'amministratore in tema di responsabilità extracontrattuale, quanto sulla rivalsa del Condominio relativamente al risarcimento del danno che lo stesso abbia dovuto pagare come responsabile ex artt. 2043, 2049, 2051 e 2053 c.c. del danno cagionato a terzi, ivi compreso il singolo condomino danneggiato (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1973, n. 1865). Infatti, la condotta omissiva in tanto può essere assunta come causa di un evento dannoso, in quanto l'emittente abbia violato un obbligo giuridico di impedire l'evento: per l'individuazione di tale obbligo, non può farsi riferimento al principio del neminem laedere, ma deve accertarsi, caso per caso, l'esistenza di un vincolo giuridico derivante direttamente dalla legge o da uno specifico rapporto intercorrente tra il danneggiato e il soggetto chiamato a rispondere dell'omissione per non avere impedito il danno. Siamo, infatti, in presenza della c.d. responsabilità extracontrattuale, cioè di quella responsabilità conseguente alla lesione di un diritto o di un bene altrui: qui non si richiede un'obbligazione primaria preesistente (rapporto amministratore-condominio), ma solamente un comportamento che arreca un danno. Il preponente (nel nostro caso, il Condominio) è il garante per il soggetto autore materiale del danno, e la responsabilità è sottoposta alle seguenti condizioni: a) che sussista un danno; b) che il danno sia conseguenza del comportamento illecito dell'Amministratore; c) che, tra le attribuzioni dello stesso e l'evento dannoso, sussista un rapporto eziologico, sia pure occasionale; d) che l'incombenza affidata abbia determinato una situazione tale da rendere possibile o quanto meno da agevolare la commissione del fatto illecito. Il problema riguarda anche la responsabilità dell'Amministratore verso il Condominio per quegli esborsi che ha dovuto effettuare a terzi per il danno cagionato dallo stesso: quest'ultimo, infatti, come autore dell'atto illecito, è l'unico responsabile nei confronti del terzo, verso il quale è tenuto per culpa, ma verso il Condominio è tenuto alla responsabilità contrattuale ove, con il suo comportamento, lo abbia esposto al risarcimento del danno. La tematica della responsabilità verso terzi investe, poi, non tanto la chiamata in giudizio, ad opera del terzo danneggiato, del Condominio, quale soggetto tenuto al risarcimento del danno, quanto la vocatio in ius dell'Amministratore chiamato a rispondere verso il terzo, in via aquiliana, per i danni arrecatagli dallo stesso. Nessun dubbio nel primo caso, in virtù del disposto dell'art. 2049 c.c., salvo rivalsa all'interno, mentre, in ordine alla seconda fattispecie, si è osservato che la condotta dell'amministratore deve essere configurata in relazione all'oggetto del mandato, per cui i danni derivanti dalla sua personale omissione dovranno dallo stesso essere risarciti. In giurisprudenza, si rinviene la responsabilità aquiliana dell'Amministratore, tra le altre, in relazione ai danni dall'avere omesso di riparare il tetto, nonostante apposita delibera assembleare; per la mancata cancellazione di frasi offensive poste in essere dal terzo, nonostante il sollecito della parte lesa; in ordine alla stipula di un mutuo senza autorizzazione, per cui si registra una responsabilità contrattuale dell'Amministratore verso il Condominio ed una responsabilità aquiliana di quest'ultimo verso il terzo (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1990, n. 1734). In argomento, mette punto rammentare una recente pronuncia dei magistrati del Palazzaccio - Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2022, n. 24068, coeva alla sentenza in commento ma emessa da un'altra Sezione civile della stessa Cassazione - ad avviso della quale, in tema di risarcimento danni per l'esecuzione di lavori su parti comuni di un edificio condominiale, poiché il Condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da un'omessa vigilanza da parte del Condominio nell'esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell'Amministratore, in qualità di rappresentante del Condominio, il quale, a sua volta, valuterà se agire in rivalsa contro l'Amministratore stesso. Una nuova frontiera di responsabilità risarcitoria nei confronti dei terzi potrebbe ora rinvenirsi nell'inadempimento, da parte dell'Amministratore, di comunicare, ai creditori non soddisfatti che lo interpellino, i dati dei condomini morosi - secondo il disposto del novellato art. 63, comma 1, disp. att. c.c. - incombente, quest'ultimo, indispensabile ai suddetti terzi per agire coattivamente al fine di recuperare il dovuto e propedeutico per rivolgersi poi nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti. Riferimenti
Avagliano, Responsabilità dell'amministratore: cose in custodia, in Ventiquattrore avvocato, 2017, fasc. 2, 32; Cirla, La responsabilità del condominio nei confronti dei condomini e dei terzi, in Immob. & proprietà, 2016, 429; Ribaldone, Responsabilità del condominio per danni da cose in custodia, in Immob. & proprietà, 2016, 161; Scripelliti, Danni a terzi da lavori condominiali: risponde solo l'appaltatore (di regola, ma non sempre), in Corr. merito, 2012, 1113; Cusmai, E' responsabile il condominio dei danni cagionati da cose in custodia?, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 3, 20; Scarpa, Rapporti amministratore e condominio nella responsabilità verso i terzi, in Immob. & diritto, 2009, fasc. 5, 33; Zanetti, La responsabilità del condominio per i danni derivanti da cose in custodia, in Resp. civ. e prev., 2009, 2553. |