A) La rilevanza della precedente menomazione, nella liquidazione del danno non patrimoniale.
Il Tribunale perviene a concludere che in applicazione dei criteri indicati dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 11 novembre 2019 n. 28986, alla luce della netta affermazione del CTU, la precedente invalidità portata dall'attore non abbia avuto incidenza alcuna sui postumi derivanti dal sinistro di causa e, pertanto, che la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere effettuata sulla base della percentuale di invalidità permanente (15%) riconosciuta dal ctu per i soli postumi derivanti dal sinistro in esame, dovendosi ritenere irrilevante la precedente menomazione.
Nel proprio percorso motivazionale, il Tribunale richiama i criteri indicati dalla Suprema corte, con la citata ordinanza, ove al riguardo, si stabilisce che: “o le forzose rinunce patite dalla vittima in conseguenza del fatto illecito sarebbero state identiche, anche se la vittima fosse stata sana prima dell'infortunio; oppure quelle conseguenze dannose sono state amplificate dalla menomazione preesistente. Nel primo caso la menomazione preesistente sarà giuridicamente irrilevante, come già detto. Se, invece, in applicazione del giudizio controfattuale, dovesse concludersi che le conseguenze del fatto illecito, a causa della menomazione pregressa, sono state più penose di quelle che si sarebbero verificate se la vittima fosse stata sana, la preesistenza diviene giuridicamente rilevante. Senza di essa, infatti, il danno ingiusto finale patito dalla vittima sarebbe stato minore”.
Dando piena adesione a tali criteri e riportati i principi elaborati nella decisione della suprema Corte quale “sorta di modello di lavoro per il giudice del merito”, il Tribunale perviene così a indicare, quale corretto parametro per la liquidazione del danno non patrimoniale subito dal danneggiato, la percentuale indicata dal CTU senza in alcun modo considerare la preesistente, ma non concorrente menomazione, di cui il de cuius già soffriva in precedenza.
Così facendo, il Tribunale liquida il danno non patrimoniale sulla base delle Tabelle elaborate dall'Osservatorio di Milano nell'edizione 2021, in quando vigenti al tempo della decisione (come stabilito da Cass. 13269/2020), distinguendone correttamente la componente biologico dinamico relazionale, da quella sofferenziale interiore (danno morale) che riconosce e valorizza, in considerazione anche delle indicazioni del CTU.
Venendo al liquidare il danno da invalidità temporanea, il Giudice prende in considerazione, sia la percentuale (score 60/100) relativo alla sofferenza morale indicato dal CTU, sia le altre circostanze sottolineate dall'ausiliario, in relazione alle rinunce quali-quantitative (astensione prolungata dall'hobby amatoriale del ciclismo) la degenza ospedaliera, intervento di anestesia generale ecc. sopportate dal de cuius.
Così facendo, ritiene equo innalzare il parametro monetario standard (pari ad euro 99,00), per il conteggio della invalidità temporanea, ad euro 120,00 e quindi liquidare il danno da IT nell'importo di complessivi euro 10.410,00, di cui euro 7.547,25 per danno dinamico-relazionale ed euro 2.862,75 per danno da sofferenza interiore.
B) La liquidazione del danno non patrimoniale da invalidità permanente, nel caso di premorienza.
Passando a valutare le problematiche relative alla liquidazione del danno non patrimoniale, in relazione alla premorienza del danneggiato, il Tribunale, con un'ampia trattazione, dopo avere dato atto dell'inquadramento ed evoluzione storica della fattispecie, prende in considerazione e analizza i differenti criteri giurisprudenziali proposti e adottati nella prassi applicativa.
Il fondamento della problematica che si pone, infatti, nel caso in cui il danneggiato deceda nel corso del giudizio per cause indipendenti dalle menomazioni riportate nel sinistro oggetto di causa, è costituito dal condivisibile principio secondo il quale, il giudice, nella quantificazione del danno, deve tener conto – in caso di premorienza – “non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta (fra le varie, si vedano, sin da tempi ormai risalenti, Cass. 4556/80; 1809/89; 489/99; 147467/03; 22338/07; 679/16; 10897/16; 12913/20).”.
Osserva correttamente, il Tribunale di Milano, che “il danno biologico, definito dinamico-relazionale, viene in generale liquidato attraverso tabelle che tengono conto, quale parametro di partenza, dell'età della vittima, ritenendosi che il danno è tanto maggiore quanto minore è l'età di chi lo subisce. Si ritiene che un conto sia convivere con la menomazione conseguente alla lesione per pochi anni, un altro sia, invece, convivere con la menomazione per la maggior parte della vita.”
Laddove il danneggiato deceda nel corso del giudizio, occorre applicare il richiamato principio della suprema Corte e, dunque, liquidare il danno non più in base ad un elemento presuntivo (la durata della vita) ma a un dato ben definito, costituito dal periodo di effettiva sopravvivenza al sinistro.
Venendo ad esaminare i criteri di liquidazione, invalsi nella giurisprudenza e a valutare la loro correttezza sotto il profilo applicativo, anche con riferimento all'equità del risultato, il tribunale ne individua principalmente tre.
Un primo criterio, ispirato ad una riduzione equitativa del valore monetario che sarebbe derivante dall'applicazione delle tabelle (Cass. 5366/98), ritenendolo non condivisibile, in quanto, lasciato alla sensibilità del singolo giudicante, presenterebbe delle evidenti criticità in relazione all'equità delle decisioni “da intendersi (v., sul punto, la nota Cass. 12408/11) come uniformità di liquidazione in casi analoghi, anche alla luce dell'art. 3 Cost.”.
Un secondo criterio, di stampo proporzionale, secondo il quale il risarcimento dovuto in caso di sopravvivenza al giudizio, sarebbe ridotto in misura corrispondente al rapporto fra il tempo in cui si è sopportato il danno e quello per il quale lo si sarebbe dovuto sopportare se la vittima fosse sopravvissuta per tutta la durata della vita media ad essa riferibile. Anche tale criterio, a parere del tribunale, sarebbe iniquo, in quanto porterebbe a risultati più sfavorevoli a soggetti giovani, rispetto agli anziani. Tale problematica si presenterebbe anche con l'applicazione del c.d. “criterio romano, che prevede un correttivo con l'attribuzione immediata al danneggiato di una maggior quota (per un valore compreso tra il 10 e il 50 %) dell'importo complessivamente dovuto e quantificato secondo le tabelle ordinarie.”.
Un terzo criterio, che pone alla base del calcolo non già il valore del punto corrispondente all'età della vittima, ma quello corrispondente ad un soggetto di età pari alla differenza fra la durata della vita media ed il numero di anni effettivamente vissuti con la menomazione. Anche tale criterio non soddisferebbe le esigenze di equità, in quanto non considererebbe l'età in cui le menomazioni conseguenti alla lesione hanno inciso sugli aspetti dinamico relazionali della vittima né il sesso (diverse essendo le aspettative di vita per donne e uomini).
Infine e per completezza, viene riportato un criterio liquidativo costituito dall'applicazione del valore monetario tabellare giornaliero (personalizzato) previsto per la invalidità temporanea assoluta per gli 810 giorni di effettiva sopravvivenza del danneggiato (ndr. si trattava di un coma irreversibile), validato dalla Suprema Corte (Cass. 12913/20), ritenendolo esente da censura, nell'ambito discrezionale delle diverse possibili tecniche risarcitorie per equivalente del danno biologico in caso di premorienza.
Fatta tale premessa, il Tribunale si pone ad analizzare i criteri di liquidazione del danno definito da premorienza sulla base dei criteri proposti dalle Tabelle di Milano 2018-2021 dando rilievo al fatto che a fronte di tale eterogeneo panorama giurisprudenziale, l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha proposto un criterio di riferimento che possa tenere conto delle criticità rilevate rispetto ai diversi meccanismi di liquidazione del danno in esame, escludendo il ricorso a modelli puramente equitativi o matematici, elaborando un criterio che si fonda su differenti principi.
Il primo consiste nell'inidoneità del dato anagrafico, ai fini della differenziazione dei risarcimenti, poiché tale fattore è funzionale a calcolare l'aspettativa di vita, ossia il probabile tempo durante il quale la lesione subita dispiegherà i suoi effetti dannosi e, pertanto, rileva solo nel caso in cui non sia nota la data del decesso.
Il secondo si rinviene nella determinazione di un valore risarcitorio medio annuo, mediante il rapporto fra la media matematica per ogni percentuale di invalidità (tra il quantum liquidabile ad un soggetto di anni 1 ed uno di anni 100) e il valore ricavato dalla media matematica tra le aspettative di vita di ogni soggetto compreso fra 1 e 100 anni.
Il terzo si individua nel riconoscimento di un'evoluzione in senso decrescente del risarcimento, per cui il danno non è una funzione costante nel tempo ma è ragionevolmente maggiore in prossimità dell'evento, quando più intense sono le rinunce sotto il lato dinamico-relazionale e più gravi le sofferenze interiori, per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi (così come evidenziato, in passato, da Cass. 2297/2011).
La tabella prevede poi un incremento del risarcimento nel primo e secondo anno dal sinistro, oltre ad una possibilità di ulteriore personalizzazione, in considerazione del caso concreto e di una adeguata valorizzazione dell'età del danneggiato.
Illustrati i criteri posti alla base della tabella, la sentenza passa ad analizzare due recenti pronunce della Suprema Corte (Cass. 41933/2021 e 12060/2022), rispettivamente in tema di liquidazione del danno da premorienza e del danno morale, che si discostano significativamente dal modello milanese, anche in senso critico, al fine di valutarne un'eventuale condivisione.
Con l'ordinanza 41933/2021 il supremo Collegio si era posto in aperta critica con il modello tabellare proposto da Milano, ritenendo preferibile il metodo proporzionale. La Corte, ponendosi il problema di stabilire se la tabella milanese fosse “equa” si era risolta in senso negativo, così escludendo che la stessa potesse essere assunta come valido parametro, in quanto in contrasto con l'art. 1226 c.c.
La suprema Corte aveva ritenuto non condivisibile la tabella milanese sotto diversi aspetti, in particolare laddove disancorava il dato anagrafico dalla quantificazione del risarcimento e laddove, a parere della Corte, si diminuiva nel tempo il valore del risarcimento, quando invece il danno biologico da invalidità permanente, in quanto tale, non può decrescere nel tempo, ma “permane” inalterato, affermava la Corte, per la durata della vita dell'individuo.
Di qui la non equità di tali criteri, a fronte invece dell'adozione di un criterio proporzionale, che consenta di liquidare il danno corrispondente agli anni di vita effettivamente vissuti, nella stessa misura in cui sarebbero stati risarciti, laddove il danneggiato fosse rimasto in vita.
Nell'ordinanza 12060/2022, la Corte aveva invece affermato che “la liquidazione del danno morale, quale sofferenza interiore patita dalla vittima dell'illecito, deve effettuarsi con riferimento al momento dell'evento dannoso ed alle caratteristiche dello stesso, mentre non incidono su di essa fatti ed avvenimenti successivi, quale la morte del soggetto leso”, così che, secondo la Corte, la liquidazione del danno morale dovrebbe essere integralmente riconosciuta al soggetto leso e, per esso, nel caso, ai suoi eredi, a prescindere dall'eventuale premorienza.
Nonostante tali pronunce, il tribunale perviene alla conclusione di non doversi discostare, nella propria attività di liquidazione del danno, nei casi di premorienza, dalle tabelle di Milano.
Secondo il Tribunale infatti, il modello proporzionale indicato nell'ordinanza 41933/2021 non appare condivisibile sotto una pluralità di profili.
“In primo luogo, perché rinviene nell'aspettativa di vita del danneggiato, al momento del fatto dannoso il punto di partenza per il computo dell'importo da liquidare, invece di valorizzare il periodo della vita effettivamente vissuta. Per quanto poi la somma ottenuta dalla tabella "ordinaria” sia ridotta in proporzione alla durata “reale” della vita del danneggiato, è evidente che tale computo resta pur sempre inquinato dal fatto che la base di partenza è rappresentata da un parametro che è stato elaborato sull'aspettativa di vita.”
In secondo luogo, perché l'impiego di un criterio proporzionale puro porta a “premiare” – a pari misura di invalidità – il soggetto più anziano rispetto a quello più giovane, circostanza che non appare meritevole di condivisione.
In terzo luogo, in quanto il criterio auspicato dalla Suprema Corte sembra poi porsi in contrasto con il parametro dell'equità, poiché pretende di uniformare due ipotesi di fatto tra loro evidentemente eterogenee: il caso in cui il danneggiato sia morto in corso di causa e quello in cui, sopravvivendo al giudizio, il danno deve conteggiarsi anche in proiezione futura.
La morte del danneggiato è invece un elemento determinante, poiché, proprio come ha sempre evidenziato la giurisprudenza di legittimità: “segna un orizzonte certo con il quale il giudice del merito deve necessariamente confrontarsi nel momento della liquidazione del danno ed esclude che la monetizzazione del danno debba avere una proiezione nel futuro”.
Fatta tale premessa, la sentenza evidenza come l'applicazione del criterio proporzionale, indicato dalla Corte, possa condurre a risultati davvero iniqui.
Raffrontando infatti il caso di premorienza a distanza di cinque anni dall'evento, con la medesima invalidità permanente del 62 %, di due soggetti di sesso femminile di 72 e 16 anni, applicando il criterio proporzionale suggerito dalla Corte, sulla base dell'aspettativa di vita (pari ad 85 anni), si raggiunge il risultato secondo cui, nel patrimonio relitto dalla persona danneggiata residuerebbe un diritto risarcitorio pari ad euro 168.484,60 per la settantaduenne, mentre in quello della sedicenne, proprio in forza della proporzione con la maggiore aspettativa di vita, residuerebbe l'importo di gran lunga inferiore, pari ad euro 45.793,75.
Un risultato, osserva il Tribunale, “incompatibile con il canone di equità che la giurisprudenza di legittimità pone a fondamento della quantificazione del danno non patrimoniale e che contraddice il criterio di fondo cui le tabelle si ispirano, ovvero il rapporto di proporzionalità inversa tra età del danneggiato ed entità del risarcimento.”.
Applicando invece la tabella milanese in tema di premorienza si perverrebbe in entrambi i casi all'importo liquidabile di euro 95.472,00, “oltre alla possibilità di adeguamento, sulla base delle concrete circostanze, fino al 50% della misura. Nel caso della vittima sedicenne, si potrebbe dunque pervenire alla liquidazione di un importo complessivo pari a euro 143.208,00.”.
Del pari non condivisibile, per il Tribunale, il contenuto della statuizione contenuta nell'ordinanza della n. 12060/2022, Suprema Corte, laddove afferma che in caso di decesso del danneggiato, il danno morale liquidabile iure successionis agli eredi, dovrebbe comprendere l'intero importo dovuto per la sofferenza interiore, senza considerare l'effettiva durata della vita del danneggiato, in quanto lo stesso si realizzerebbe nel momento stesso in cui si realizza l'evento dannoso.
Tale affermazione, afferma il Tribunale, “non trova riscontro in considerazioni ulteriori, che ne approfondiscano e illustrino i presupposti logico-giuridici e medico-legali, specie se si tiene conto che di regola tutti i meccanismi di liquidazione del danno tengono conto di una permanenza delle sofferenze interiori nel corso del tempo, senza risolversi nell'immediatezza dell'evento dannoso. Del resto, proprio la medesima sezione della Suprema Corte, con l'ordinanza n. 41933/2021 (pubblicata pochi mesi prima), ha insistito sulla necessità di una quantificazione proporzionale del danno non patrimoniale sulla base dei criteri tabellari, che, come noto, commisurano sia la voce dinamico-relazionale, sia la voce legata alla sofferenza interiore.”.
Tale statuizione, secondo la quale, non appena verificatosi il vulnus all'integrità fisica, per ciò solo – e in modo istantaneo – si consumerebbe la sofferenza interiore, senza che questa si sviluppi nel tempo, potrebbe porsi in contraddizione con il principio per cui non può assumersi la sussistenza di un danno in re ipsa (ex multis., Cass. 21649/2021), ma – soprattutto – colliderebbe con il punto di partenza su cui si costruiscono i sistemi “tabellari” di risarcimento del danno non patrimoniale.
Di qui, secondo il Tribunale, la perdurante utilizzabilità della tabella milanese posto che all'esito di tale disamina, ritiene che “– in difetto di una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte o, ancor più auspicabilmente, di un intervento normativo – il sistema di liquidazione del danno da premorienza così come elaborato, da ultimo, nelle tabelle di Milano, edizione 2021, non debba essere abbandonato. A questa considerazione si perviene sia perché tutti gli altri criteri – nessuno escluso – non hanno dato prova di essere esenti da criticità, sia perché è la stessa Suprema Corte a ritenere che, in fin dei conti, sia il giudice del merito a dover individuare le modalità di liquidazione, anche con riguardo alle peculiarità della fattispecie”.
C) Premorienza del danneggiato nel corso del giudizio a causa delle lesioni subite nel sinistro e utilizzabilità delle tabelle milanesi per la liquidazione del danno da premorienza.
In via incidentale, il Tribunale perviene poi ad affermare come le tabelle in questione possano essere impiegate a prescindere dal fatto che la morte, nel corso del giudizio, derivi o meno dall'illecito che ha causato, in precedenza, una menomazione al danneggiato, non potendosi condividere l'affermazione del Supremo Collegio contenuta nella recentissima ordinanza n. 32916/22 (pubblicata il 9 novembre 2022), in cui si legge che “il principio secondo cui l'ammontare del danno biologico spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non già a quella probabile […] si applica […] solo nel caso in cui la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, e non anche allorquando come nella specie la morte sia stata viceversa direttamente cagionata dall'illecito”.
Secondo il Tribunale, infatti, il criterio da impiegare per la quantificazione del danno in caso di premorienza del danneggiato rispetto al giudizio, prescinde dalla causa della morte, trovando invece la ragione della propria applicazione nel solo fatto del decesso prima della definizione della causa, osservando che, come altrettanto recentemente stabilito dalla stessa Sezione della Corte, con l'ordinanza 31574/2022, pubblicata il 25/10/2022, nel caso in cui la morte costituisca la conseguenza dell'illecito, il danneggiante sarà chiamato a rispondere (anche) del danno iure proprio patito dai familiari per la perdita del congiunto, che andrà ad aggiungersi all'importo liquidato, iure successionis, per il danno che fu patito dalla persona offesa.”.
Passando alla liquidazione del danno non patrimoniale per l'invalidità permanente, in base all'applicazione della tabella di Milano sul danno da premorienza (edizione 2021) il tribunale perviene a quantificare il risarcimento in euro 7.586,00, di cui euro 4.085,00 (così ripartiti: euro 3.119,00 per danno dinamico relazionale ed euro 966,00 per danno da sofferenza interiore) per il primo biennio dal sinistro ed euro 1.167,00 (di cui euro 891,00 per danno dinamico-relazionale ed euro 276,00 per danno da sofferenza interiore) per ciascuna annualità successiva (2019, 2020, 2021).
A tale complessivo importo di euro 7.586,00 il giudice ritiene equo applicare un incremento del 15% (come da colonna n. 5 della tabella milanese sulla liquidazione del danno da premorienza) in considerazione dell'età del danneggiato al momento del sinistro (51 anni) così che l'importo risulta elevato ad euro 8.724,00.
Nulla invece, riconosce il Tribunale, per la sollecitata personalizzazione del danno, in quanto: “non risultano provate circostanze o condizioni che giustifichino esigenze di adeguamento ad personam (sul punto, v. la nota Cass. n. 7513/18, c.d. ordinanza-decalogo”) in merito all'invalidità permanente; quanto alla pratica dell'hobby di cicloamatore, il c.t.u. ha concluso nel senso che il danno biologico permanente accertato non ha compromesso lo svolgimento di tale attività, che M.O. non ha più potuto effettuare soltanto per un successivo e ulteriore infortunio, patito nel luglio-agosto 2017 (v. in proposito la testimonianza resa dal fratello, cap. 21)”.
D) Il conteggio complessivo del danno non patrimoniale e la compensatio con quanto già percepito dall'ente previdenziale da parte del danneggiato.
Il Tribunale dopo avere dato atto che per il ristoro del complessivo danno non patrimoniale sono stati quantificati euro 10.410,00 per il risarcimento dell'invalidità temporanea ed euro 8.274,00 per il risarcimento dell'invalidità permanente e così complessivamente euro 19.134,00, stabilisce che da detto complessivo importo si debba detrarre: “per il noto principio della compensatio lucri cum damno (da ultimo, Cass. S.U. n. 12565/2018) – i ratei già versati da INAIL fino al 29.10.2021, con riguardo alle sole componenti corrisposte a ristoro del danno biologico (euro 8.328,58)”, rivalutando poi tale somma, in via equitativa, in euro 9.200,00, tenuto conto che la stessa è stata erogata in ratei.
Fatta tale premessa, il danno non patrimoniale liquidato dal tribunale è pari alla differenza tra 19.134,00 ed euro 9.200,00, da dividersi, poi, della metà, ricorrendo i presupposti dell'art. 2054, c. 2, c.c. pervenendo così alla somma di euro 4.967,00 oltre interessi compensativi dell'1% al tasso annuale medio della data del sinistro ed interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo effettivo oltre alle spese legali con parziale compensazione, escluse altre voci di danno patrimoniale richieste.