Sulla questione della decadenza dai poteri di accertamento dell'Amministrazione finanziaria in tema di crediti di imposta non spettanti si registrano due filoni giurisprudenziali.
L'orientamento tradizionale maggioritario (nel solco di Cass., Sez. 5, n. 10112/2017; Cass., Sez. 5, n. 19237/2017, Cass., Sez. 5, n. 24093/2020; Cass., Sez. 5, n. 354/2021; Cass., Sez. 5, n. 31419/2022) non distingue affatto tra credito “non spettante” e credito “inesistente” reputando applicabile, indifferentemente, il (maggior) termine di decadenza di otto anni, nel rilievo – riaffermato anche da ultimo – che «l'art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2/2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d'imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'“inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l'investimento che ha generato il credito d'imposta, indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 per il comune avviso di accertamento». (così Cass., Sez. 5, n. 25436/2022: fattispecie in cui la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva distinto, ai fini dell'individuazione del termine entro il quale notificare l'atto di recupero, tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, applicando il termine ordinario di decadenza di cui all'art. 57 del d.P.R. n. 633/1972 in luogo di quello di cui all'art. 27 cit.; in senso conforme, Cass., Sez. 5, n. 31419/2022).
Secondo un filone più recente rimasto minoritario (e richiamato, nella specie, dalla società contribuente), in tema di compensazione di crediti fiscali l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall'art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, in L. n. 2/2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633/1972» (così Cass., Sez. 5, n. 34444/2021).
Questo indirizzo – non recepito dalla giurisprudenza più recente e ripreso, da ultimo, unicamente da Cass., Sez. 5, n. 31429/2022 – propone un'interpretazione adeguatrice dell'originario tessuto normativo, letto alla luce delle successive riforme e sostiene che, nel contesto della rideterminazione del quadro sanzionatorio circa l'indebita compensazione di crediti, rileva il “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997 (introdotto dall'art. 15 del D.Lgs. n. 158/2015) il quale si spinge dettare la definizione normativa di credito “inesistente”, in una dimensione – anche fenomenicamente – priva di elementi giustificativi, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al D.L. n. 185/2008), tale essendo il credito fiscale che non è “reale” (o “non vero”), ossia quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell'anagrafe tributaria.