La natura rescissoria del giudizio di rinvio e gli effetti della mancata riassunzione

01 Febbraio 2023

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 5260 del 27 dicembre 2022 ha statuito che il ricorso di riassunzione dovrà ritenersi inammissibile per la mancata corrispondenza al modello d'impugnazione.
Massima

Costituendo il giudizio di rinvio, avente natura integralmente rescissoria, una nuova e autonoma fase del processo, laddove venga proposto un ricorso in riassunzione con oggetto una questione contraria, o comunque non coincidente con il principio di diritto enunciato dalla Cassazione che di tale riassunzione rappresentava la causa e l'oggetto, il giudice del rinvio non potrà neppure ritenere le altre questioni implicitamente dedotte dalla parte, pena la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) e vizio, quindi, di ultrapetizione.

Il caso

Una contribuente impugnava avviso di accertamento relativo a IRPEF ed ILOR anno 1996 e l'allora Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso. Veniva, poi, dichiarato dai giudici di secondo grado l'improponibilità, per difetto di notifica, dell'appello proposto dall'Ufficio. Quest'ultimo proponeva, quindi, ricorso in Cassazione e la Suprema Corte cassava la sentenza con rinvio al secondo grado.

Il giudizio non veniva riassunto da nessuna delle parti cosicché l'avviso di accertamento diveniva definitivo (art. 63, comma 2, d.lgs. 546/1992). L'Agenzia, pertanto, notificava alla contribuente la conseguente cartella esattoriale emessa a seguito dell'iscrizione a ruolo degli importi dovuti per effetto della definitività dell'avviso di accertamento. La contribuente impugnava la cartella di pagamento deducendo la prescrizione del diritto alla riscossione essendo trascorsi più di dieci anni tra la data della notifica dell'avviso di accertamento (03/2002) e la data di notifica della cartella di pagamento (10/2012).

La Ctp accoglieva il ricorso e la Ctr rigettava l'appello dell'Ufficio. Quest'ultimo ricorreva ancora una volta in Cassazione eccependo che la Ctr avesse errato nell'applicare la norma sul termine di prescrizione in quanto esso inizierebbe a decorrere dall'estinzione del giudizio (pronunciata dalla Ctr) e non dalla notifica dell'originario avviso di accertamento. Inoltre, secondo la tesi di parte pubblica, la Ctr aveva errato nel dare rilievo al fatto che la contribuente era risultata vittoriosa in primo grado poiché, con la mancata riassunzione e la conseguente estinzione, era venuto meno l'intero giudizio (da leggersi dell'intero processo), comprese le sentenze favorevoli al contribuente, con definitività dell'avviso di accertamento.

La questione

La Suprema Corte (ordinanza n. 32152/2021 del 5/11/2021) accoglieva il primo motivo di ricorso dell'Ufficio, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla Ctr con la seguente motivazione:

“…l'omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio determina l'estinzione dell'intero processo, ai sensi dell'art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, e la definitività dell'avviso di accertamento impugnato, giacché quest'ultimo non è un atto processuale, ma l'oggetto dell'impugnazione, con la conseguenza che il termine di prescrizione (come quello di decadenza) della pretesa tributaria, incorporata nell'atto impositivo, decorre dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l'Amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione.

La contribuente, quindi, proponeva ricorso in riassunzione sollevando questioni di legittimità costituzionale, per disparità di trattamento fra contribuente e Amministrazione, dell'art. 63 d.lgs n. 546/1992 con riferimento anche all'art. 2935 c.c. ed all'art. 111 della Costituzione (“giusto processo”).

La soluzione giuridica

L'autonomia del giudizio di rinvio

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in sede di rinvio, preliminarmente osserva di non poter discutere la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla contribuente con il ricorso in riassunzione relativamente all'art. 63, comma 2, d.lgs n. 546/1992 nella parte in cui dispone che se «la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l'intero processo si estingue», con la conseguente reviviscenza dell'originario atto impositivo e indipendentemente dalle sentenze eventualmente favorevoli al contribuente o dai giudicati (interni) nelle more formatisi (in sostanza, come se il processo non fosse mai esistito).

Il giudizio di rinvio, chiosa il Collegio, non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito, ma una nuova e autonoma fase del processo, che, pur essendo soggetta, per ragioni di rito, alle norme riguardanti il corrispondente procedimento disposto dalla sentenza rescindente, ha natura integralmente rescissoria, mirando a una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, statuisce per la prima volta sulle domande proposte dalle parti secondo il principio di diritto esposto dalla Corte di Cassazione.

Nel ricorso per riassunzione, proseguono i giudici, i motivi di impugnazione devono coincidere (o comunque essere coerenti) con il principio di diritto espresso dal giudice di legittimità. Laddove (come nel caso di specie) venga proposto un ricorso in riassunzione con oggetto una questione contraria, o comunque non coincidente con il principio di diritto che di tale riassunzione rappresentava la causa e l'oggetto, i giudici “del rinvio” non potranno neppure ritenere le altre questioni implicitamente dedotte dalla parte, pena la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, fissato nell'articolo 112 del codice di procedura civile, e vizio, quindi, di ultrapetizione, dovendosi ritenere inammissibile il ricorso in riassunzione per la mancata corrispondenza al modello legale d'impugnazione.

La Corte ha, quindi, rilevato la definitività dell'originario avviso di accertamento a seguito della mancata riassunzione da parte della contribuente, non essendo più contestabile giudizialmente.

Osservazione

La norma scrutinata dai giudici, di merito e di legittimità, è ictu oculi una disposizione “favor fisci” in quanto l'onere di riassumere il giudizio in seguito al “cassa e rinvia” disposto dalla Suprema Corte incombe generalmente solo sul contribuente e non su tutte le parti processuali in virtù dell'effetto negativo (per il contribuente) e positivo (per il fisco) che scaturisce dalla mancata riassunzione in virtù della reviviscenza dell'originario atto impositivo.

Tale “sbilanciamento” tra le parti è stato in parte compensato con la riforma del processo tributario, in vigore dal 1° gennaio 2016 (art. 9, d.lgs. n. 156/2015), che ha introdotto il regime di immediata esecutività delle sentenze di condanna in favore del contribuente. Con riferimento, poi, alla decorrenza del termine di decadenza/prescrizione per l'attivazione della riscossione in seguito alla mancata riassunzione, sorge qualche dubbio rispetto a quanto statuito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza sopracitata che individua il dies a quo «dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l'Amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione». Tale termine potrebbe, invece, iniziare a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di estinzione dell'intero processo, comunicato a tutte le parti processuali dalla segreteria delle Corti.

Ciò troverebbe conferma qualora si consideri che l'intera disciplina è contenuta all'interno di una norma processuale (art. 63, d.lgs. 546/1992) e di un giudizio autonomo (come quello del rinvio) in cui la condotta delle parti (attiva o passiva) dovrebbe culminare in un provvedimento del giudice dalla cui pubblicazione/comunicazione inizierebbero a decorrere effetti giuridici. Peraltro, l'art. 2943 c.c. prevede che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo, cessando evidentemente l'effetto interruttivo con il decreto che estingue l'intero processo.

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