La Suprema Corte, in ordine alla questione oggetto del primo motivo di ricorso, ha rilevato la sussistenza di un contrasto recentemente delineatosi nella giurisprudenza di legittimità.
Invero, secondo la tesi tradizionale, recepita da Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577, i verbali della commissione medico-ospedaliera di cui all'art. 4 l. n. 210/1992 - istituita ai fini dell'indennizzo in favore di soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati - fanno piena prova, ai sensi dell'art. 2700 c.c., dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenuti costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento.
In sostanza, il giudice può valutare sul piano probatorio i verbali delle predette commissioni mediche, ma non può attribuire agli stessi valore di accertamento definitivo ed indiscutibile, atteso che le deliberazioni collegiali mediche difettano di qualsiasi efficacia vincolante, di natura sostanziale e processuale, trattandosi di atti di natura non provvedimentale, strumentali al riconoscimento di prestazioni previdenziali ed espressione di mera discrezionalità tecnica (Cass. civ., 9 giugno 2015, n. 11889). Indipendentemente, quindi, dall'accertamento svolto in sede amministrativa ai fini del riconoscimento dell'indennizzo, il giudice deve raggiungere autonomamente la prova del nesso causale, potendo ricavare elementi solo presuntivi dall'accertamento di tale nesso compiuto dalle commissioni medico-ospedaliere (Cass. civ., 20 marzo 2018, n. 6843).
Nel decennio successivo alla pronuncia delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità, compresa quella giuslavoristica, ha quindi rimesso al libero convincimento del giudice la valutazione dell'esito dell'accertamento effettuato dalle commissioni mediche, e ciò in generale per tutti gli accertamenti effettuati in seno ad un procedimento amministrativo finalizzato all'adozione di un dato provvedimento.
Da tale consolidato orientamento ha preso le distanze Cass. civ., 15 giugno 2018, n. 15734, la quale ha, invece, statuito che nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della Salute, l'accertamento della riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, compiuto dalla commissione di cui all'art. 4 l. n. 210/1992, in base al quale è stato riconosciuto l'indennizzo ai sensi di detta legge, non può essere messo in discussione dal Ministero, quanto alla riconducibilità del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative di esso, ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la commissione organo dello Stato (come si evince dalla ricorribilità in via gerarchica contro il suo deliberato proprio al Ministro della Sanità), l'accertamento è da ritenere imputabile allo stesso Ministero.
Dalla motivazione di tale innovativo arresto (confermato da Cass. civ., 5 settembre 2019, n. 22183, e Cass. civ., 30 giugno 2020, n. 13008) si evince che il principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2008, in ordine alla efficacia non vincolante e unicamente indiziaria dell'accertamento compiuto dalla commissione medica, è utilizzabile solo nel caso in cui non vi sia identità di parti tra il procedimento amministrativo e quello giudiziale, ossia nel caso in cui il giudizio risarcitorio non sia stato promosso nei confronti del Ministero della Salute, bensì nei riguardi di una struttura sanitaria pubblica o privata, alla quale non risulterebbe opponibile l'accertamento compiuto dalla commissione ministeriale. In proposito, viene richiamata Cass. civ., 16 maggio 2017, n. 12009, secondo cui la sentenza di accertamento del diritto all'indennizzo ai sensi della l. n. 210/1992, emessa nei confronti del Ministero della Salute, non ha efficacia di giudicato nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro l'azienda ospedaliera, mancando il necessario presupposto dell'identità delle parti, ma assume valore di indizio, soggetto alla libera valutazione del giudice.
Nella stessa direzione la successiva Cass. civ., 5 ottobre 2018, n. 24523, ha sottolineato che il nucleo della nuova impostazione risiede nell'identità delle parti, assumendo che la pronuncia di cessazione della materia del contendere, emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell'indennizzo di cui alla l. n. 210/1992, sul presupposto dell'accoglimento del ricorso amministrativo avverso il corrispondente diniego, ha efficacia di giudicato, circa la sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni praticate al paziente e la patologia dallo stesso contratta, nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l'identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno.
Analogamente, anche la recente Cass. civ., 13 maggio 2022, n. 15379, ha sostenuto che la pronuncia emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell'indennizzo ex l. n. 210/1992 ha efficacia di giudicato circa l'acquisizione della consapevolezza del nesso causale tra la somministrazione di emoderivati e la patologia contratta - funzionale all'individuazione del dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno -, nel successivo giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l'identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno.
Non sono, inoltre, mancate pronunce che, pur aderendo al nuovo indirizzo, ne hanno in parte attenuato la portata, riconoscendo al giudice la facoltà di disattendere il giudizio positivo già espresso dalla commissione medica in ordine alla sussistenza del nesso causale, motivando in ordine alle ragioni dell'esclusione di tale nesso (Cass. civ., 17 novembre 2021, n. 34885).
In considerazione della configurata discrasia giurisprudenziale, l'ordinanza interlocutoria in commento ha ritenuto di dover rimettere il ricorso al Primo Presidente perché valutasse l'opportunità della sua rimessione alle Sezioni Unite.