Danno da emotrasfusione: i verbali delle Commissioni Mediche sono vincolanti nel giudizio risarcitorio?
06 Febbraio 2023
Massima
Va rimessa al Primo Presidente, perché valuti l'opportunità della sua rimessione alle Sezioni Unite, la questione, oggetto di contrasto nella recente giurisprudenza di legittimità, inerente alla rilevanza probatoria - nel giudizio di risarcimento del danno da emotrasfusione proposto nei confronti del Ministero della Salute – dell'accertamento compiuto, in ordine alla sussistenza del nesso causale tra emotrasfusione e contagio, dalla commissione medico-ospedaliera di cui all'art. 4 l. n. 210/1992, in base al quale è stato riconosciuto l'indennizzo previsto da detta legge. Il caso
Tizio conveniva, dinanzi al tribunale di Roma, il Ministero della Salute e la casa di cura alfa, chiedendo il risarcimento dei danni subiti per il contagio del virus HIV conseguente ad un'emotrasfusione cui era stato sottoposto durante il ricovero presso la predetta struttura sanitaria. La domanda veniva accolta nei confronti del solo Ministero, con condanna di questo al risarcimento dei danni accertati a seguito di CTU.
Il gravame principale proposto dal Ministero veniva rigettato dalla corte d'appello di Roma, che, in accoglimento dell'appello incidentale di Tizio, aumentava l'entità della somma oggetto di risarcimento.
Il Ministero proponeva, quindi, ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione degli artt. 2043, 2735, 2733, 2700 c.c., e 116 c.p.c., nonché dell'art. 4 l. n. 210/1992, atteso che il giudice di merito, aderendo all'orientamento espresso da Cass. 15734/2018, aveva ritenuto provato il nesso causale tra emotrasfusione e contagio unicamente sulla base dell'accertamento compiuto dalla commissione medico-ospedaliera, di cui al predetto art. 4, finalizzato al riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla l. n. 210/1992. Essendo la commissione un organo dello stesso Ministero della Salute, quest'ultimo non poteva, secondo la sentenza impugnata, contestare il nesso eziologico tra emotrasfusione e patologia, che doveva reputarsi fatto ormai indiscutibile e non bisognoso di prova. Tale tesi, secondo il ricorrente, contrastava, però, con il consolidato orientamento giurisprudenziale che, anche sulla base della differenza tra il diritto al risarcimento del danno ed il diritto all'indennizzo di cui alla l. n. 210/1992, attribuiva ai verbali delle commissioni mediche valenza meramente indiziaria in ordine agli accertamenti compiuti, compresi quelli inerenti al nesso causale, escludendo qualsiasi efficacia vincolante degli stessi nel successivo giudizio di risarcimento del danno da emotrasfusione. La questione
La questione esaminata nella pronuncia in commento è la seguente: nel giudizio di risarcimento del danno da emotrasfusione promosso nei confronti del Ministero della Salute, assume valore vincolante l'accertamento del nesso causale tra contagio ed emotrasfusione già operato dalla commissione medico-ospedaliera di cui all'art. 4 l. n. 210/1992 ai fini del riconoscimento dell'indennizzo previsto da tale legge? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, in ordine alla questione oggetto del primo motivo di ricorso, ha rilevato la sussistenza di un contrasto recentemente delineatosi nella giurisprudenza di legittimità. Invero, secondo la tesi tradizionale, recepita da Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577, i verbali della commissione medico-ospedaliera di cui all'art. 4 l. n. 210/1992 - istituita ai fini dell'indennizzo in favore di soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati - fanno piena prova, ai sensi dell'art. 2700 c.c., dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenuti costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento. In sostanza, il giudice può valutare sul piano probatorio i verbali delle predette commissioni mediche, ma non può attribuire agli stessi valore di accertamento definitivo ed indiscutibile, atteso che le deliberazioni collegiali mediche difettano di qualsiasi efficacia vincolante, di natura sostanziale e processuale, trattandosi di atti di natura non provvedimentale, strumentali al riconoscimento di prestazioni previdenziali ed espressione di mera discrezionalità tecnica (Cass. civ., 9 giugno 2015, n. 11889). Indipendentemente, quindi, dall'accertamento svolto in sede amministrativa ai fini del riconoscimento dell'indennizzo, il giudice deve raggiungere autonomamente la prova del nesso causale, potendo ricavare elementi solo presuntivi dall'accertamento di tale nesso compiuto dalle commissioni medico-ospedaliere (Cass. civ., 20 marzo 2018, n. 6843). Nel decennio successivo alla pronuncia delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità, compresa quella giuslavoristica, ha quindi rimesso al libero convincimento del giudice la valutazione dell'esito dell'accertamento effettuato dalle commissioni mediche, e ciò in generale per tutti gli accertamenti effettuati in seno ad un procedimento amministrativo finalizzato all'adozione di un dato provvedimento. Da tale consolidato orientamento ha preso le distanze Cass. civ., 15 giugno 2018, n. 15734, la quale ha, invece, statuito che nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della Salute, l'accertamento della riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, compiuto dalla commissione di cui all'art. 4 l. n. 210/1992, in base al quale è stato riconosciuto l'indennizzo ai sensi di detta legge, non può essere messo in discussione dal Ministero, quanto alla riconducibilità del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative di esso, ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la commissione organo dello Stato (come si evince dalla ricorribilità in via gerarchica contro il suo deliberato proprio al Ministro della Sanità), l'accertamento è da ritenere imputabile allo stesso Ministero. Dalla motivazione di tale innovativo arresto (confermato da Cass. civ., 5 settembre 2019, n. 22183, e Cass. civ., 30 giugno 2020, n. 13008) si evince che il principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2008, in ordine alla efficacia non vincolante e unicamente indiziaria dell'accertamento compiuto dalla commissione medica, è utilizzabile solo nel caso in cui non vi sia identità di parti tra il procedimento amministrativo e quello giudiziale, ossia nel caso in cui il giudizio risarcitorio non sia stato promosso nei confronti del Ministero della Salute, bensì nei riguardi di una struttura sanitaria pubblica o privata, alla quale non risulterebbe opponibile l'accertamento compiuto dalla commissione ministeriale. In proposito, viene richiamata Cass. civ., 16 maggio 2017, n. 12009, secondo cui la sentenza di accertamento del diritto all'indennizzo ai sensi della l. n. 210/1992, emessa nei confronti del Ministero della Salute, non ha efficacia di giudicato nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro l'azienda ospedaliera, mancando il necessario presupposto dell'identità delle parti, ma assume valore di indizio, soggetto alla libera valutazione del giudice. Nella stessa direzione la successiva Cass. civ., 5 ottobre 2018, n. 24523, ha sottolineato che il nucleo della nuova impostazione risiede nell'identità delle parti, assumendo che la pronuncia di cessazione della materia del contendere, emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell'indennizzo di cui alla l. n. 210/1992, sul presupposto dell'accoglimento del ricorso amministrativo avverso il corrispondente diniego, ha efficacia di giudicato, circa la sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni praticate al paziente e la patologia dallo stesso contratta, nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l'identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno.
Analogamente, anche la recente Cass. civ., 13 maggio 2022, n. 15379, ha sostenuto che la pronuncia emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell'indennizzo ex l. n. 210/1992 ha efficacia di giudicato circa l'acquisizione della consapevolezza del nesso causale tra la somministrazione di emoderivati e la patologia contratta - funzionale all'individuazione del dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno -, nel successivo giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l'identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno.
Non sono, inoltre, mancate pronunce che, pur aderendo al nuovo indirizzo, ne hanno in parte attenuato la portata, riconoscendo al giudice la facoltà di disattendere il giudizio positivo già espresso dalla commissione medica in ordine alla sussistenza del nesso causale, motivando in ordine alle ragioni dell'esclusione di tale nesso (Cass. civ., 17 novembre 2021, n. 34885). In considerazione della configurata discrasia giurisprudenziale, l'ordinanza interlocutoria in commento ha ritenuto di dover rimettere il ricorso al Primo Presidente perché valutasse l'opportunità della sua rimessione alle Sezioni Unite. Osservazioni
In sintesi, la questione rimessa alle Sezioni Unite attiene al valore di prova o di mero indizio da assegnarsi ai verbali delle commissioni medico-ospedaliere di cui all'art. 4 l. n. 210/1992 in ordine alla sussistenza del nesso causale tra trasfusione e malattia. Il nuovo orientamento inaugurato da Cass. n. 15734/2018 è fondato sul presupposto che la commissione medica costituisce una branca del Ministero, in essa radicalmente inserita e tale da rappresentarlo appieno. La sua valutazione positiva del nesso causale diventerebbe, quindi, più che un accertamento, una sorta di confessione, che vincolerebbe il Ministero non solo per l'emissione di un provvedimento relativo all'attribuzione di una prestazione previdenziale, ma anche in un giudizio civile risarcitorio basato proprio sul nesso eziologico tra emotrasfusione e patologia fonte di danni, essendo identico il nesso causale di cui si discuterebbe nell'uno e nell'altro caso. Il punto focale della nuova tesi attiene, quindi, alla natura da riconoscere alle commissioni mediche, ossia se queste, quali organi del Ministero della Salute, possano ritenersi rappresentative della personalità giuridica dell'intero Ministero, al punto che quest'ultimo finirebbe per esprimersi in via preventiva, nel procedimento amministrativo volto al riconoscimento dell'indennizzo ex l. n. 210/1992, in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra emotrasfusione e patologia, con un accertamento utilizzabile anche nel successivo giudizio risarcitorio intentato nei confronti dello stesso Ministero. Ne consegue che, come rilevato nell'ordinanza interlocutoria in commento, “Chi ottiene l'indennità, seguendo questa interpretazione, si deve ritenere che abbia, per così dire, ipotecato buona parte del giudizio risarcitorio, rimanendo gravato solo dell'onere probatorio vertente l'esistenza dei danni e il loro quantum”. L'orientamento tradizionale, tuttavia, ribadito col dictum di Cass. S.U. n. 577/2008, si basa sul consolidato ruolo riconosciuto dalla giurisprudenza, anche a Sezioni Unite in tema di giurisdizione, alle commissioni mediche, essendosi sottolineato che alle stesse spetta solo una discrezionalità tecnica, non amministrativa, e ciò sia che l'attività dalle stesse espletata sia finalizzata al riconoscimento o alla negazione di prestazioni previdenziali, sia che si configuri come strumentale ad altri benefici (tra le più significative, Cass., Sez. Un., 23 ottobre 2014, n. 22550, e Cass., Sez. Un., 23 novembre 2006, n. 24862). A tale conclusione è saldamente ancorata anche la giurisprudenza giuslavoristica e previdenziale, essendosi sostenuto che, nelle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, le collegiali mediche sono prive, ai sensi dell'art. 147, c. 1, disp. att. c.p.c., di qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, dovendosi ritenere la natura non provvedimentale degli accertamenti sanitari, in quanto strumentali e preordinati all'adozione del provvedimento di attribuzione della prestazione, in corrispondenza di funzioni di certazione assegnate alle indicate commissioni (Cass., sez. lav., 6 aprile 2021, n. 9235; Cass., sez. lav., 7 agosto 2015, n. 16569). Il punctum dolens del nuovo orientamento inaugurato nel 2018 attiene, in definitiva, alla difficoltà di riconoscere alle commissioni mediche, che operano nell'ambito del procedimento amministrativo ex l. n. 210/1992, un ruolo diverso da quello ordinariamente alle stesse attribuito, oltrepassando l'attività accertatoria strumentale loro affidata per farle addirittura assurgere ad organi rappresentativi del Ministero della Salute, così elevando la loro valutazione tecnica ad una stabile esternazione di natura confessoria e dispositiva da parte del Ministero stesso. |