Nessuna preclusione al patteggiamento anche per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti

08 Febbraio 2023

Il socio unico e amministratore di una società di capitali veniva rinviato a giudizio per avere utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nelle dichiarazioni dei redditi dell'ente giuridico, nonché per essersi interposto fittiziamente tra le società cartiere e i rivenditori attraverso l'emissione di fatture false, mettendo così a disposizione dello schema fraudolento la propria società al fine di consentire a soggetti terzi l'evasione delle imposte dirette e l'indebita detrazione dell'IVA.
Massima

L'accesso al patteggiamento, previsto dall'art. 13-bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, non è precluso dalla mancata estinzione del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento nel caso del reato di emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 8 dello stesso decreto legislativo.

Il caso

Il socio unico e amministratore di una società di capitali veniva rinviato a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74/2000, vale a dire per avere utilizzato, in relazione a più annualità (dal 2015 al 2017), fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nelle dichiarazioni dei redditi dell'ente giuridico, nonché per essersi interposto (c.d. buffer) fittiziamente tra le società cartiere e i rivenditori attraverso l'emissione di fatture false, mettendo così a disposizione dello schema fraudolento la propria società al fine di consentire a soggetti terzi l'evasione delle imposte dirette e l'indebita detrazione dell'IVA. Un meccanismo, quest'ultimo, utilizzato per nascondere la frode fiscale o, comunque, per diluire il disegno criminoso, rendendo più lunga e complessa la ricostruzione della catena nella fase di verifica e di accertamento.

Il difensore, con il consenso del Pubblico Ministero, formalizzava al giudice la richiesta di definizione del procedimento mediante il rito di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p, richiamato in ambito penale tributario dall'art. 13-bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, con l'applicazione della pena ridotta (1 anno e 6 mesi) conseguente appunto al patteggiamento, oltre alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Il giudice monocratico, rilevata la richiesta concorde delle parti, nonché ritenuto sussistente il vincolo della continuazione tra i delitti contestati ed operata la riduzione di pena derivante, da un lato, dal riconoscimento in favore dell'imputato delle circostanze attenuanti generiche e, dall'altro, dalla scelta del rito (i.e. patteggiamento), ha applicato la pena finale concordata, condizionalmente sospesa per la durata di cinque anni e senza menzione della sentenza nel certificato del casellario giudiziale.

La questione

Per meglio inquadrare sia la vicenda giudiziaria che la frattura nomofilattica della Cassazione, nel cui solco si è inserita la sentenza in commento, varrà richiamare nella loro essenzialità le norme di riferimento e le problematiche esegetiche ad esse sottese.

In particolare, il legislatore, con l'art. 1, rubricato “Definizioni”, D.Lgs. n. 74/2000, ha dedicato una specifica norma per fornire le definizioni di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di elementi attivi e passivi, di imposte evase, di soglie di punibilità, di operazioni oggettivamente e soggettivamente simulate, di mezzi fraudolenti, nonché di cosa debba intendersi per dichiarazioni e di cosa comprenda il fine di evadere le imposte. Una disposizione, come osservato dalla stessa Relazione al d.Lgs. n. 74/2000, mirata a fornire opportuni chiarimenti in ordine alla valenza dei termini impiegati nel decreto, con la duplice finalità di prevenire dubbi e incertezze interpretative e di rendere più asciutta e meglio leggibile, grazie all'utilizzo di espressioni contratte, la formulazione dei singoli prescritti normativi, in modo da evitare possibili e pericolose lacune.

Per quanto qui di immediato interesse, con la definizione relativa alle fatture o ad altri documenti per operazioni inesistenti viene offerta la descrizione dell'oggetto materiale dei delitti contemplati dai successivi artt. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) del decreto legislativo in parola. L'ambito di applicabilità della inesistenza attiene ai soli documenti rispetto ai quali le norme tributarie assegnano una funzione probatoria analoga a quella fiscale e, quindi, tipicamente destinati ad attestare fatti aventi una valenza fiscale.

In merito alla condotta illecita ex art. 8, essendo un reato di pericolo avente natura istantanea, rileva il momento di consegna, invio o trasmissione, ovvero il momento in cui la fattura o un altro documento rilevante ai fini del reato escono dalla sfera soggettiva dell'emittente, risultando integrata la fattispecie illecita anche se il destinatario del documento fiscale decida poi di non utilizzarlo o di non tenerne conto in sede di dichiarazione, vale a dire allorquando il cessionario decida di non integrare il reato di cui all'art. 2. In sostanza, l'illecito legato all'emissione, compiuto dal cedente, è sempre ancillare rispetto a quello consumato dal cessionario a seguito dell'utilizzo del documento falso in contabilità e in dichiarazione, che è naturalmente consequenziale al primo, ma pur sempre eventuale. Inoltre, la falsità documentale è da intendersi sotto il profilo ideologico e non anche materiale.

In base all'art. 9 d.Lgs. n. 74/2000, al fine di evitare che la stessa condotta sostanziale finisca per essere punita due volte, è espressamente previsto che l'emittente di fatture false non sia punibile a titolo di concorso nel reato di utilizzazione e viceversa.

Invece, quanto alle specifiche previsioni dell'art. 13-bis, comma 2, d.Lgs. n. 74/2000, oggetto della pronuncia in parola, occorre definirne l'esatto perimetro di applicabilità, anche in rapporto all'art. 13 dello stesso decreto, in modo da meglio comprendere quali siano gli elementi che “giustificano” le difformità interpretative da parte della giurisprudenza di vertice.

Innanzi tutto, il d.Lgs. n. 74/2000 - riformato nel tempo dalla L. n. 148/2011, dal d.Lgs. n. 158/2015 e, da ultimo, dal D.Lgs. n. 157/2019 - prevede degli istituti premiali differenziati a seconda del reato contestato e del momento in cui interviene l'adempimento (spontaneo o meno) da parte dell'imputato. Si tratta delle cause di non punibilità (art. 13), delle circostanze attenuanti ad effetto speciale (art. 13-bis, comma 1) e dell'ammissione al patteggiamento (art. 13-bis, comma 2).

Il combinato disposto degli artt. 13 e 13-bis del decreto legislativo consente di schematizzare le diverse e articolate possibili ipotesi:

  • non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater (comma 1) in caso di pagamento del debito tributario, delle sanzioni e degli interessi effettuato prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso (art. 13, comma 1);
  • non punibilità per i reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 ove il pagamento del debito tributario, delle sanzioni e degli interessi, mediante ravvedimento operoso o presentazione della dichiarazione omessa entro il termine della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, avvenga prima che l'autore dell'illecito abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali (art. 13, comma 2);
  • attenuante speciale per i reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, con riduzione delle pene fino alla metà e disapplicazione di quelle accessorie, allorquando il pagamento integrale del debito, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, intervenga successivamente alla tempistica imposta dall'art. 13, comma 2, ma comunque prima dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 13-bis, comma 1);
  • attenuante speciale per i reati di cui agli artt. 8, 10 e 11, rispetto ai quali non esiste una causa di non punibilità, con riduzione delle pene fino alla metà e disapplicazione di quelle accessorie, allorquando il pagamento integrale del debito intervenga prima dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 13-bis, comma 1), anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie (contra Cass. pen. 4 febbraio 2020, n. 9883);
  • fuori dai casi di non punibilità (rispetto ai quali non ha senso il patteggiamento), applicazione del rito speciale previsto dall'art. 444 e ss. c.p.p. ai reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 solo quando vi sia stato l'integrale pagamento del debito tributario, anche con ravvedimento operoso, dopo la formale conoscenza, ma comunque prima dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 13-bis, comma 2);
  • applicazione del rito speciale previsto dall'art. 444 e ss. c.p.p. ai reati di cui agli artt. 8, 10 e 11 solo quando vi sia stato l'integrale pagamento del debito tributario, anche con ravvedimento operoso, dopo la formale conoscenza, ma comunque prima dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 13-bis, comma 2).

L'elemento di criticità, sul quale si è creato il contrasto giurisprudenziale, è dato dal fatto che gli illeciti puniti dagli artt. 8 (emissione di fatture false) e 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) rilevano anche in assenza di evasione d'imposta, vale a dire senza un debito tributario da estinguere prima dell'apertura del dibattimento.

Ed è proprio in relazione a questa peculiarità che la Cassazione non ha trovato, ad oggi, una interpretazione univoca rispetto all'applicabilità dell'art. 13-bis, comma 2, d.Lgs. n. 74/2000 ai reati appena richiamati e, in particolare, per quanto qui di interesse, all'art. 8 del decreto disciplinante gli illeciti tributari.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice monocratico perugino, dopo aver ricordato il contrasto giurisprudenzialetra l'orientamento favorevole all'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 e ss. c.p.p. anche al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (Cass. pen. 14 dicembre 2021, n. 1582) e quello contrario (Cass. pen. 27 maggio 2022, n. 25656), nonché la circostanza che l'art. 13-bis, comma 2, testualmente sancisce il patteggiamento “per i delitti di cui al presente decreto”, ha aderito al primo.

Infatti, con la sentenza in commento, il giudice ha ribadito che l'operatività della preclusione di cui all'art. 13-bis, comma 2, “presupponga ontologicamente la commissione di una condotta delittuosa suscettibile di determinare un debito tributario non già nei confronti del quisque de populo, bensì proprio nei riguardi dello specifico autore della fattispecie di reato, con la conseguenza che la condizione di ammissibilità del patteggiamento di cui alla disposizione denunciata non è applicabile in relazione ai reati, quali l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, che sussistono pur in assenza di un'evasione di imposta”.

Inoltre, la sentenza evidenzia che, attesa la praticabilità del patteggiamento rispetto al delitto di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, “risulterebbe a dir poco irragionevole l'asserita preclusione in relazione a quello di cui all'art. 8, il quale dipinge, con ogni evidenza, una fattispecie prodromica, funzionale e in qualche misura servente rispetto all'evasione fiscale vera e propria compiuta, con oggettivo pregiudizio per l'Erario, da colui il quale abbia concretamente ad utilizzare le fatture o i documenti per operazioni inesistenti precedentemente emessi”.

Osservazioni

La decisione oggetto del presente commento, pur non aderendo alle conclusioni dell'orientamento incarnato dalla sentenza n. 25656/2022, evidenzia tuttavia di dover concordare “circa l'indubitabile attitudine dell'emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti a generare, in concreto, un debito tributario”. Circostanza che, anche in considerazione dell'art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972, rappresenta la motivazione principale della tesi opposta, secondo la quale la preclusione al patteggiamento posta dall'art. 13-bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000 per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento opera anche con riferimento al reato di emissione di fatture false.

Probabilmente su questo terreno, attraverso una verifica che occorre eseguire caso per caso, ci potrebbe essere un criterio di convergenza, rappresentato dalla legittima applicazione del patteggiamento anche per l'illecito di cui all'art. 8 allorquando venga riscontrato che la fattura emessa per operazioni inesistenti sia stata dal cedente regolarmente contabilizzata, prima, e confluita in dichiarazione, poi, con pagamento delle imposte dirette e dell'IVA. Peraltro, nonostante non esista una specifica sanzione amministrativa per l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, secondo non isolata dottrina l'obbligo di versamento del tributo indicato in fattura può essere inteso alla stregua di una sanzione. Quanto detto senza che venga meno il “principio di simmetria” rispetto al reato di cui all'art. 2, anzi.

Ad ogni modo, la frattura nomofilattica creatasi nell'ambito della III Sezione penale della Corte di Cassazione, rispetto al tema oggetto del presente contributo, induce ad auspicare un intervento a Sezioni Unite, al fine di scongiurare che medesime fattispecie possano trovare, tempo per tempo, soluzioni interpretative tra loro difformi: ipotesi deprecabile in generale, ma ancora più quando si decide in merito alle limitazioni delle libertà personali.

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