Abbandono del figlio alla nascita: modalità di calcolo del danno non patrimoniale

Giuseppe Chiriatti
Maria Augusta Anelli
09 Febbraio 2023

Il Tribunale di Napoli ha chiarito se il danno non patrimoniale patito dal figlio, abbandonato dal padre sin dalla nascita, possa essere calcolato in base ai parametri utilizzati in materia di perdita del rapporto parentale ricorrendo alle tabelle del Tribunale di Milano, edizione 2022.
Massima

La liquidazione del danno non patrimoniale patito dal figlio che sia stato abbandonato dal padre sin dalla nascita può essere effettuata in base ai parametri utilizzati in materia di perdita del rapporto parentale ricorrendo alle tabelle del Tribunale di Milano attualmente in vigore, approvate sulla scorta dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla sentenza n. 10579/2021 relative al danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale e nel caso di specie per perdita del genitore con valore punto di 3.365,00 in favore del figlio.

Il caso

L'attrice conveniva in giudizio i figli legittimi del proprio padre naturale (nel frattempo deceduto) al fine di ottenere la dichiarazione di paternità del de cuius nonché la loro condanna solidale – in qualità di eredi - al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in conseguenza dell'abbandono sin dalla nascita.

In giudizio si costituivano solo alcuni dei convenuti, che da un lato confermavano di essere sempre stati a conoscenza dell'esistenza della sorella nata fuori dal matrimonio (e di aver spesso contribuito alla sua sussistenza anche successivamente alla morte del padre); al contempo, chiedevano il rigetto della domanda risarcitoria nei loro confronti, avendo rinunciato all'eredità del de cuius.

Disposta la consulenza tecnica d'ufficio volta a verificare la compatibilità biologica tra il DNA dei convenuti e quello dell'attrice, il Tribunale pronunciava in favore di quest'ultima la dichiarazione di paternità. Quanto poi alla domanda risarcitoria, rilevato che:

  • “non vi è stata alcuna assidua relazione tra il de cuius e la figlia attrice e che il genitore assente ha praticamente condannato la stessa a vivere senza una figura paterna, salvo sporadiche occasioni, e con tutte le conseguenze oggettive di tale sua scelta”;
  • “deve ritenersi provato il lamentato danno non patrimoniale ovvero il grave pregiudizio causato dalla condotta dell'A.D. ai danni dell'attrice sia per l'assoluta violazione dei doveri che per la lunghissima durata della loro inottemperanza”

il Tribunale condannava in solido gli eredi contumaci al pagamento dell'importo di euro 100.950,00 euro.

In particolare, ai fini della quantificazione risarcimento, il Tribunale ricorreva alla nuova tabella milanese per la liquidazione del danno parentale (così come pubblicata in data 29 giugno 2022 e poi “approvata” dalla Corte di Cassazione nella recentissima ordinanza n. 37099 del 16 dicembre 2022), limitandosi ad applicare il punteggio previsto:

  • dalle lettere a) e b) per l'età del padre e della figlia al momento della nascita di quest'ultima;
  • dalla lettera d) per la sopravvivenza di un altro congiunto (e cioè la madre da cui l'attrice era stata allevata).

L'importo così ottenuto veniva poi decurtato del 50% in quanto il pregiudizio patito dall'attrice è “ovviamente inferiore al danno da perdita del genitore cui si è affettivamente legati”.

La questione

Almeno ad una primissima lettura, la scelta del Tribunale di Napoli di ricorrere alla nuova tabella milanese potrebbe apparire condivisibile: ed infatti, l'evidente assonanza tra danno da perdita del rapporto parentale e quello lamentato dall'attrice (che potremmo anche definire come “danno da negazione del rapporto genitoriale”) induce a ritenere che ci si trovi al cospetto di due pregiudizi pressoché simili (i quali differiscono principalmente per un aspetto, e cioè che il danno da abbandono è determinato non dall'illecito terzo ma dalla scelta del genitore medesimo).

Ed è proprio sulla base di tale assonanza che, già in passato, la Cassazione ha ritenuto pienamente applicabile alla fattispecie, sia pur con gli opportuni adattamenti, la vecchia tabella milanese “a forbice” (Cass. n. 16657/2014).

In effetti, la soluzione suggerita dalla Suprema Corte era resa possibile proprio dalla struttura della tabella “storica”, che – prevedendo un mero range entro cui graduare il risarcimento – poteva quantomeno fornire al Giudice un valore monetario di riferimento per liquidare anche altre tipologie di pregiudizio (quale, appunto, quello di cui si discorre in questa sede e, ancora, quello derivante dalla grave lesione del rapporto parentale come peraltro richiamato nei medesimi criteri orientativi elaborati dall'Osservatorio milanese).

È tuttavia noto come, a fronte delle censure espresse dalla Cassazione nella sentenza n. 10579 del 21 aprile 2021, la vecchia tabella “a forbice” sia stata sostituita da un nuovo meccanismo a punti che valorizza le seguenti circostanze:
a) età vittima primaria;
b) età vittima secondaria;
c) convivenza;
d) sopravvivenza di altri superstiti;
e) qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto (per una ricognizione dei lavori condotti dal Gruppo 3 dell'Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano si legga SPERA D., Tabelle milanesi integrate a punti per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale – Edizione 2022, 29 giugno 2022).

A fronte di tale significativa modifica occorre dunque chiedersi se la nuova tabella a punti – per come strutturata - costituisca uno strumento idoneo per liquidare (come appunto ha ritenuto il Tribunale di Napoli) il danno da abbandono genitoriale.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha da tempo chiarito che la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione e educazione della prole così come previsti dagli artt. 147 e 148 c.c.

  • “determina un'immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale (in part., articoli 2 e 30) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela”;
  • di conseguenza, “non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia [ma può altresì] integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi enucleatati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella nota decisione n. 26972 del 2008” (così Cass. n. 3079/2015).

Diremmo, dunque, che il discrimine tra danno da perdita del rapporto parentale e danno da abbandono non si manifesta sul piano sistematico, ma attenga piuttosto alla fenomenologia delle due fattispecie, le quali differiscono per due aspetti particolarmente significativi (oltre al fatto che, lo si ripete, il danno da abbandono è determinato non dall'illecito terzo ma dalla scelta del genitore medesimo).

In primo luogo, dovremmo intanto considerare come il danno da abbandono genitoriale, a differenza del danno parentale, non consista nella perdita di un rapporto effettivo (almeno nei limiti in cui il disinteresse del genitore si sia manifestato ininterrottamente sin dalla nascita, come appunto nel caso deciso dalla sentenza in commento). Ed è proprio muovendo da tale rilievo che il Tribunale di Napoli giunge ad affermare – come già anticipato - che il danno da mancato assolvimento dei doveri genitoriali è “ovviamente inferiore al danno da perdita del genitore cui si è affettivamente legati. Per quanto grave, infatti, possa essere la sofferenza subita dall'attrice (per le ragioni prima descritte) non è, in ogni caso, paragonabile a quella subita a causa del decesso”.

Potrebbe invero dibattersi sulla correttezza di una simile conclusione, atteso che gli effetti dell'abbandono sulla vita del figlio meriterebbero di essere valutati mediante un attento esame di tutte le circostanze allegate e provate dal danneggiato. D'altro canto, non vi è dubbio che le conseguenze derivanti dalla perdita di un rapporto effettivo siano qualitativamente differenti da quelle determinate dalla negazione di qualsivoglia relazione e già solo questo marca un primo e significativo elemento di discrimine tra il danno da abbandono genitoriale e il danno parentale.

In secondo luogo, noteremo come il danno da abbandono, a differenza di quello parentale (che consiste nella perdita “futura” del rapporto col de cuius), si atteggi piuttosto come un danno “passato”.

Ed infatti, se, da un lato, è possibile affermare che il danno da abbandono consiste “nelle ripercussioni personali e sociali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stato desiderato ed accolto come figlio” (così Cass. sez. 1, 22 novembre 2013, n. 26205) e che la sofferenza prodotta da tale consapevolezza potrebbe protrarsi anche a lungo nella vita del figlio, dall'altro, non potremmo neppure omettere di considerare che, sovente, la scelta di quest'ultimo di tutelare giudizialmente i propri diritti nei confronti del genitore venga assunta a distanza di molti anni quando la sofferenza determinata dall'abbandono è stata in qualche modo elaborata (nel caso deciso dal Tribunale di Napoli l'attrice si è determinata ad agire giudizialmente all'età di 52 anni).

Tale specifico aspetto è stato attentamente vagliato dalla Cassazione anche al fine di individuare il termine da cui inizia a decorrere la prescrizione del diritto risarcitorio (Cass. n. 11097/2020). E proprio in tal prospettiva la Suprema Corte ha chiarito che “la natura della condotta illecita, quanto meno nel caso in cui il disinteresse completo inizia dalla nascita del figlio, ha la peculiarità di ledere la formazione della personalità del figlio stesso, e quindi incidere sull'acquisizione della capacità di percepire correttamente e reagire conseguentemente. Occorre, infatti, per acquisirla che la vittima dell'abbandono si svincoli dall'incidenza percettiva e comportamentale del notorio istintivo desiderio filiale di un rapporto positivo con il genitore, per raggiungere una maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso”; laddove per “maturità personale” deve intendersi la capacità di “percepire la reale situazione a sé pregiudizievole e di assumere reattive decisioni di contrasto con la persona desiderata. Ovvero, accettare psicologicamente la illiceità della condotta del genitore e chiedere il risarcimento dei danni subiti quale figlio rifiutato del genitore che l'ha posta in essere”.

Ebbene, da tali cristallini passaggi consegue non solo che il dies a quo della prescrizione dev'essere individuato “nel momento in cui la vittima della condotta di abbandono genitoriale è pervenuta nelle concrete condizioni di esercizio del diritto risarcitorio quali sopra ampiamente illustrate”, ma altresì che le conseguenze dell'illecito – al momento in cui l'azione risarcitoria viene esercitata – potrebbero addirittura ritenersi esaurite.

Così identificati gli elementi di discrimine tra le due fattispecie, occorre dunque comprendere se e in quali termini le circostanze di cui alla nuova tabella milanese possano rilevare al fine di graduare il risarcimento del danno da abbandono.

Ebbene, intanto è da escludersi fermamente che nella fattispecie di nostro interesse possano trovare applicazione le circostanze di cui alle lettere c) ed e), atteso che - a fronte di una provata convivenza e/o di una relazione caratterizzata da particolare intensità e qualità - non si potrebbe certo discorrere di abbandono. Tant'è che il Tribunale di Napoli, come anticipato, si è limitato ad un'applicazione parziale della nuova tabella valorizzando le sole circostanze a), b) e d) (ovvero: età del padre e della figlia al momento della nascita di quest'ultima nonché esistenza della madre che ha allevato l'attrice).

D'altro canto, la soluzione approntata dalla sentenza in commento non convince.

Si consideri, infatti, come tutte le circostanze contemplate dalla nuova tabella (ivi comprese quelle previste dalle lettere a), b) e d) costituiscano i fatti noti da cui è possibile inferire - in via presuntiva – l'entità della sofferenza che il congiunto patirà in futuro per la perdita del de cuius.

In particolare, si osservi come il punteggio di cui alle circostanze a) e b) venga attribuito in funzione decrescente rispetto dell'età della vittima primaria e della vittima secondaria, in modo da parametrare il risarcimento a quella che sarebbe stata la presumibile durata del rapporto parentale in assenza di illecito. Al contrario, lo si è detto, il danno da abbandono è piuttosto rappresentato dalle conseguenze non patrimoniali patite dal figlio nel periodo che è realmente intercorso tra l'abbandono e l'effettivo raggiungimento della “maturità personale” che gli consente di “accettare psicologicamente la illiceità della condotta del genitore”.

Date tali premesse, è dunque evidente che ai fini della liquidazione del danno da abbandono:

  • l'età del genitore (circostanza a) potrebbe risultare pressoché irrilevante (salvo il caso di genitorialità talmente tardiva da poter comunque escludere che il figlio avrebbe potuto confidare sulla presenza del genitore per tutto il periodo del suo sviluppo psicofisico);
  • quanto alla circostanza b), occorrerebbe tener conto dell'età del figlio non solo al momento dell'abbandono ma altresì a quello dell'effettivo raggiungimento della “maturità personale” sopra richiamata (in modo da poter misurare il periodo in cui il danno si è effettivamente manifestato nella vita del figlio).

L'unica circostanza che – per come valorizzata nella nuova tabella di Milano – potrebbe rilevare anche ai fini della liquidazione del danno da abbandono genitoriale è la “sopravvivenza” (nel nostro caso sarebbe più corretto discorrere di “presenza” o “esistenza”) di altri congiunti quale, appunto, l'altro genitore e/o eventuali fratelli.

Nondimeno, proprio in ragione della particolarissima fenomenologia del danno da abbandono, noteremo come – nella fattispecie in esame - l'assenza di altri familiari (e in particolare dell'altro genitore) possa produrre conseguenze ancor più gravi sullo sviluppo psicofisico del figlio e, pertanto, tale circostanza meriterebbe comunque di assumere un rilievo ben maggiore nella liquidazione del danno.

Osservazioni

Alla luce di quanto sopra, par dunque a chi scrive che la nuova tabella milanese non sia suscettibile di applicazione per la liquidazione del danno da abbandono genitoriale, dal momento che – nel suo complesso – il meccanismo a punti non coglie (e, dunque, non è idoneo a valorizzare) le peculiarità di un pregiudizio che si atteggia in modo ben differente rispetto a quello per cui la nuova tabella è stata concepita.

Al limite (e ferme le criticità sopra evidenziate), uno spazio di applicazione potrebbe residuare nel caso in cui sia l'altro genitore ad agire in nome e per conto del figlio minorenne (cfr. Trib. Napoli 12 luglio 2022 n. 7032): ed infatti, in una simile ipotesi ci troveremmo al cospetto di un danno che è ancora in fieri e che, pertanto, potrebbe giustificare l'applicazione - oltreché della lettera d (sopravvivenza di altri congiunti) - anche della circostanza b (età del danneggiato), non potendosi prevedere con esattezza il momento in cui il figlio perverrà a quella già richiamata “maturità personale” che gli consente di elaborare l'illiceità della condotta del genitore (e, dunque, proiettando le conseguenze dell'abbandono lungo tutta la vita del danneggiato).

D'altro canto, una simile applicazione della nuova tabella non consentirebbe di attribuire un punteggio superiore a 44 su 100: in altri termini, il Giudice (anche a fronte di situazioni particolarmente gravi) potrebbe liquidare in favore del danneggiato fino a 148.060,00 euro e, cioè, un importo di gran lunga inferiore al risarcimento che potrebbe essere quantificato nel massimo.

In definitiva, pare a chi scrive che per la liquidazione del danno da abbandono genitoriale sia tuttora preferibile ricorrere alla vecchia “forbice”, sia pur con gli opportuni accorgimenti richiesti dalla già sopra citata giurisprudenza di legittimità (Cass. 16657/2014). In ogni caso, la sentenza in commento conferma ancora una volta la vocazione nazionale - già a suo tempo riconosciuta dalla sentenza Amatucci (Cass. 12408/2011) – dei valori monetari espressi dalle tabelle milanesi. Ed è proprio da tali valori monetari, così come concretamente declinati dalla giurisprudenza di merito, che dovranno muovere eventuali proposte di tabellazione del danno da abbandono genitoriale.

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