La diligenza professionale dell'operatore doganale indiretto e l'esclusione da responsabilità ai fini daziari ed IVA
16 Febbraio 2023
Il caso
La vicenda trae origine dall'accertamento in rettifica di due bollette doganali redatte dalla società ricorrente in qualità di spedizioniere doganale in rappresentanza indiretta dell'importatore, mediante il quale la Dogana contestava essenzialmente un “rischio” di sottofatturazione della merce oggetto di importazione a seguito della comparazione dei valori unitari dichiarati delle merci importate (valore/kg) e del 50 % del “Fair place” ricavato dalla banca dati di cui portale UE “Theseus”. L'Ufficio eccepiva inoltre l'assenza di qualsiasi documentazione bancaria e contabile a supporto delle operazioni di import, nonché la veridicità dei valori statistici rilevabili dalla banca dati Theseus, vieppiù anomali se confrontati con la clausola commerciale Incoterms utilizzata in import (CFR - Cost and Freight) la quale, addebitando i costi di trasporto in capo al venditore, avrebbe reso l'importazione oltremodo non giustificabile perché anti economica.
Di conseguenza riformulava il valore in Dogana utilizzando il metodo secondario di determinazione del valore di transazione per merci similari di cui all'art. 74, par. 2, lett. b), del Reg. UE 952/13 (Codice Doganale dell'Unione - CDU), sulla base dei dati di cui alla banca dati Theseus.
Con l'avviso di accertamento suppletivo e di rettifica e contestuale irrogazione della sanzione, l'Ufficio sosteneva altresì l'inattendibilità dei prezzi di merci similari rinvenibili sul mercato online rispetto a quelle oggetto di importazione, l'incongruenza dei valori dichiarati all'importazione quando questi si discostino di oltre il 50% dai prezzi medi statistici, l'inattendibilità del dato contabile della rimessa bancaria a favore del fornitore extra UE, nonché l'assenza di diligenza da parte dello spedizioniere con derivata sua responsabilità, in qualità di dichiarante, tanto dei dazi quanto dell'IVA all'importazione. La questione
La Corte ha innanzitutto ragionato intorno all'eventuale responsabilità dello spedizioniere operante in rappresentanza indiretta ed alla possibilità, da parte della Dogana, di contestare il pagamento dei dazi sulla base di una sua responsabilità oggettiva che potesse prescindere dalla sua buona fede nonché dalla diligenza operata. Da un'analisi in punto di fatto dell'attività dell'operatore doganale e sulla base delle argomentazioni contenute nei numerosi precedenti in argomento sia della Cassazione sia della Corte di giustizia UE, i giudici hanno riscontrato che l'attività fosse stata svolta in maniera “diligente ed accorta” sulla base dei principi dell'art. 1176 c.c., avendo il soggetto operato “tenendo conto di tutte le informazioni che erano a sua disposizione o delle quali egli avrebbe dovuto, secondo ragione, avere conoscenza, in considerazione in particolare dei suoi obblighi contrattuali”, avendo egli analizzato attentamente tutti i dati relativi all'importazione.
Gli addebiti della Dogana, ai fini daziari, sono stati depotenziati dai giudici nella misura in cui l'evidenza della non “integrità” degli elementi, forniti direttamente dall'importatore/acquirente, rivelatisi successivamente errati (eventuale sottofatturazione), “non poteva emergere dalla valutazione professionale operata con diligenza” e secondo buona fede dallo spedizioniere, e nemmeno la loro “riconoscibilità” da parte del rappresentante indiretto “nonostante l'utilizzo della piena diligenza professionale”. Così ragionando, in uno al divieto d'ingresso di forme di responsabilità oggettiva ed alla necessità di ricerca caso per caso degli eventuali profili di colpevolezza, i giudici hanno, viceversa, riscontrato una responsabilità sanzionatoria in capo al soggetto importatore per conto del quale si era agito, ai sensi dell'art. 10 del D.Lgs. 472/1997, per mezzo del meccanismo dell'autore mediato, per effetto del quale è chiamato a rispondere della violazione, in luogo dell'autore materiale, colui il quale abbia indotto altri in errore incolpevole.
Quanto all'IVA, ne è stata esclusa la debenza sia per l'impossibilità, in capo al soggetto spedizioniere, di poter operare la detrazione quand'anche volesse versarla volontariamente non essendo egli l'acquirente, sia sulla base delle argomentazioni contrarie (alla tesi erariale) più volte sviluppate dalla Corte UE nonchè da ultimo nella causa C-714/20, su rinvio italiano, nel quale si è preso atto della mancanza nella normativa interna (d.P.R n. 633/1972) di un'indicazione specifica del soggetto intermediario nelle operazioni doganali quale responsabile solidale ai fini IVA. La soluzione giuridica
Il Valore in Dogana quale elemento dell'accertamento doganale L'oggetto della verifica della Dogana ha interessato il valore doganale, il quale insieme alla quantità, alla qualità (classificazione) ed all'origine, rappresentano gli elementi che “compongono” l'accertamento doganale e la cui base giuridica è rintracciabile nel Reg. UE 925/2013 (CDU) e nei suoi regolamenti Delegato n. 2015/2446 e di Esecuzione n. 2015/2447.
La base primaria ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci è rappresentata dal prezzo pattuito tra le parti, ovvero dal “valore di transazione” di cui all'art. 70 del CDU, rappresentato dal “prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l'esportazione verso il territorio doganale dell'Unione”, eventualmente adeguato con gli elementi obbligatori di cui all'art. 71 par. 1 del CDU nella misura in cui sono a carico del compratore e non sono inclusi nel prezzo pagato o da pagare (es. commissioni e spese di mediazione, diritti di licenza/royalties, spese di trasporto, etc.).
Accanto a tale metodo principale, che secondo la costante giurisprudenza della Corte UE “deve riflettere il valore economico reale di una merce importata e tener conto di tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico” (v. ad es. C-256/07, C-306/04 p. 30, C-15/99 p. 25 e C-11/89 p. 35), qualora questo non sia utilizzabile perché l'Ufficio ad esempio ritenga che il prezzo pagato dall'acquirente/importatore non sia quello effettivamente pagato in quanto più basso rispetto ai valori comunemente rilevati per operazioni commerciali simili, sono previsti (art. 74 del CDU) alcuni metodi, alternativi o sostitutivi al criterio principale, per la valutazione del valore delle merci, da utilizzarsi in capo alla Dogana in rigoroso ordine gerarchico.
La possibilità per l'Ufficio di utilizzare un metodo secondario in sostituzione di quello principale ha la sua base giuridica nell'art. 140 del Reg. n. 2015/2447 che consente all'autorità doganale di non accettare il valore di transazione dichiarato sulla base della fattura di acquisto in presenza di fondati dubbi. Tra i metodi secondari di determinazione del valore in dogana, l'art. 74 del CDU, al par. 2, indica nell'ordine il valore di merci identiche (lett. a)) ed il valore di merci similari (lett. b)) come strumenti per individuare il corretto valore dei beni oggetto di valutazione in dogana, ponendo tali regole tra loro in ordine consequenziale e rigorosamente gerarchico, di modo che solo ove non sia possibile individuare un valore per merce identica allora è consentito utilizzare il criterio di ricerca del valore per merci similari.
Entrambi i metodi, poi, sono articolati in ulteriori criteri gerarchici interni (v. l'art. 141, par. 1, 2 e 5, del Reg. 2015/2447), a seconda se la persona che ha prodotto le merci identiche o similari sia la medesima che ha prodotto quelle oggetto di valutazione, o meno.
In tal modo si avrà, in ordine gerarchico tra i criteri interni, un criterio:
Qualora infine, ai sensi del par. 3 dell'art. 141 del Reg. 2015/2447, si riscontrasse più di un valore di transazione per merci identiche o similari, per determinare il valore in dogana delle merci importate si fa riferimento al più basso di questi valori.
La Corte UE da un lato evidenzia che “sebbene il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci costituisca, in linea generale, la base di calcolo del valore in dogana, detto prezzo è un dato che deve eventualmente formare oggetto di rettifiche qualora tale operazione sia necessaria per evitare di determinare un valore in dogana arbitrario o fittizio, consentendo quindi alla Dogana, ove ritenga opportuno, di rideterminare tale valore” (v. C-1/18, p. 23 e ss.).
Dall'altro, quando il valore in dogana non può essere determinato ai sensi dell'art. 70 del CDU mediante il valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale è effettuata conformemente alle disposizioni dell'art. 74 di tale codice, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del par. 2 di tale ultima disposizione.
In buona sostanza la Corte evidenzia la necessità, in capo alle autorità doganali, di prendere a riferimento le vendite di merci effettuate allo stesso livello commerciale che si avvicina sensibilmente a quello delle merci da valutare in dogana (v. C-291/15 p. 34).
Qualora l'Ufficio utilizzi come metro di paragone “merci similari”, occorre che queste siano prodotte nello stesso Paese e, pur non essendo uguali sotto tutti gli aspetti, “presentino caratteristiche analoghe e siano composte di materiali analoghi, tanto da poter svolgere le stesse funzioni e da essere intercambiabili sul piano commerciale”, sottolineando che “la qualità delle merci, la loro rinomanza e l'esistenza di un marchio di fabbrica o di commercio rientrano tra gli elementi da prendere in considerazione per stabilire se determinate merci siano similari” (C-1/18 citata, punto 26).
Tale approccio ermeneutico richiede quindi una particolare attenzione in tutti quei casi di merci classificabili con il medesimo codice NC (Nomenclatura Combinata) ma appartenenti a “classi” commerciali tra loro notevolmente differenti, pena una sovrapposizione sterile di un dato statistico di cui alle banche dati UE che, seppur riconosciuto idoneo dalla medesima Corte UE rischia di falsare il risultato di indagine.
Del resto tale esigenza era stata ben evidenziata anche dall'Avv. gen. Nils Wahl nelle sue conclusioni alla causa C-1/18 in cui si legge che “… le autorità doganali devono verificare, in primo luogo, se le merci poste a confronto svolgono le stesse funzioni e se sono intercambiabili sul piano commerciale. Ulteriori fattori da prendere in considerazione ai fini della valutazione dipendono dalle specifiche merci da valutare e dovrebbero includere tutti gli elementi di tali merci che possono incidere sul valore economico delle stesse”.
Ed ancora “…Se un'autorità doganale non dispone delle competenze e informazioni necessarie per compiere tale accertamento in relazione alle merci da valutare, sono possibili diverse linee di azione: i) l'autorità doganale può richiedere al dichiarante qualsiasi ulteriore documento o informazione che ritenga necessari per stabilire il valore in dogana ai sensi di uno qualsiasi dei metodi di valutazione di cui agli articoli 30 e 31 del codice doganale (di identico contenuto gli attuali artt. 70 e ss. del CDU); ii) l'autorità doganale può richiedere qualsiasi documento o informazione ad ogni persona direttamente o indirettamente interessata alle operazioni effettuate nell'ambito degli scambi di merci; iii) l'autorità doganale può formulare una richiesta di assistenza amministrativa ad altre autorità doganali negli Stati membri dell'Unione al fine di raccogliere le informazioni necessarie; o iv) l'autorità doganale può richiedere analisi o perizie sulle merci da valutare a spese del dichiarante”.
Quanto ancora all'osservanza di un ordine gerarchico nell'uso dei metodi di determinazione del valore in dogana, la Corte UE, in C‑46/16, p. 43, ci riferisce che “… in forza di una costante giurisprudenza, i metodi di determinazione del valore in dogana … si trovano tra loro in un rapporto di sussidiarietà. Infatti, è solo quando il valore in dogana non può essere determinato con l'applicazione di un metodo determinato che si deve far riferimento a quello immediatamente successivo secondo l'ordine stabilito da tali disposizioni. In tali circostanze, l'obbligo di motivazione che grava sulle autorità doganali nell'ambito dell'attuazione di dette disposizioni deve, da un lato, consentire di individuare in modo chiaro e non equivoco i motivi che hanno portato detta autorità a disattendere uno o più metodi di determinazione del valore in dogana. Dall'altro lato, tale obbligo implica che dette autorità siano tenute ad esporre, nella decisione che fissa l'importo dei dazi all'importazione dovuti, i dati sulla base dei quali è stato calcolato il valore in dogana delle merci, tanto per consentire al destinatario della decisione di difendere i propri diritti nelle migliori condizioni possibili e di valutare, con piena cognizione di causa, se sia utile proporre ricorso contro di essa, quanto per consentire ai giudici di esercitare un sindacato sulla legittimità di detta decisione”. (v. tra i tanti anche C-291/15, p. 29 e 36; C-116/12, p. 42 e 43).
La norma unionale che indica l'ordine dei criteri secondari di determinazione del valore in dogana ha carattere precettivo e non derogatorio, non consentendo ai verificatori di operare al di fuori del proprio perimetro applicativo. Al riguardo anche la Cassazione, intervenuta di recente in tema (v. sent. n. 17235/2022 e n. 15540/2022,), ha ribadito che “l'Amministrazione – dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all'interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati i dubbi dell'Ufficio – è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di aver applicato, nella rideterminazione del valore in Dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 c.d.c. secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dar conto delle ragioni per cui il rispetto di detto ordine non sia stato possibile. Di conseguenza le banche dati che individuano, sulla base del valore di transazione di merci similari, un valore medio statistico per i beni importati, possono essere utilizzate dall'Amministrazione doganale a condizione che abbia fatto ricorso, in primo luogo, ai metodi di valutazione immediatamente precedenti” (v. anche Cass. n. 25724/2020, Cass. n. 22818/2020, Cass. n. 2214/2019, Cass. n. 1787/2019 e Cass. n. 1115/2019).
La rappresentanza indiretta dello spedizioniere e la responsabilità ai fini daziari La rappresentanza in dogana, secondo la normativa UE contenuta nel CDU (v. gli artt. 18, 19 e 77, par. 3, del CDU), può articolarsi nelle due forme della rappresentanza diretta e di quella indiretta, prevedendo che il rappresentato sia sempre il dichiarante sostanziale, soggetto sul quale ai sensi dell'art. 170 del CDU grava l'onere di “presentare o far presentare le merci in dogana”, ed il rappresentante (diretto o indiretto) sia il dichiarante formale il quale sarà qualificabile come “debitore” ai sensi dell'art. 77, par. 3 del CDU, secondo il quale “Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta, è debitrice anche la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione in dogana”.
Una prima lettura della norma potrebbe portare ad individuare il rappresentante quale “primo” debitore responsabile in relazione alla dichiarazione resa, al quale si affiancherebbe, a titolo di garanzia, la responsabilità del rappresentato. Nella realtà invece, come correttamente evidenziato in dottrina (v. P. Bellante, in “Il sistema doganale”, Torino, 2020, pag. 441 e ss.), nonostante il par. 3 dell'art. 77 del CDU affermi il contrario e fuori dai casi di concorso in fatti illeciti, ogni responsabilità per l'obbligazione doganale non può che gravare sul dichiarante sostanziale (importatore o esportatore rappresentato) al quale si aggiunge un vincolo di solidarietà in funzione di garanzia che il CDU pone a carico del rappresentante indiretto quale mero dichiarante formale.
Si sottolinea che è proprio il CDU, nel suo art. 79, par. 3, lett. b), a prevedere un “riequilibrio” nell'attribuzione della responsabilità tra rappresentante e rappresentato, scongiurando ogni ipotesi di attribuzione oggettiva della colpa, e prevedendo la solidarietà ai fini daziari tra i due soggetti solo se il primo “sapeva o avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che non era rispettato un obbligo previsto dalla normativa doganale”.
A riprova di ciò la Corte UE ha evidenziato che “l'operatore che si rivolge ad un agente doganale, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga nel contesto di una rappresentanza diretta o indiretta, è in ogni caso debitore dell'obbligazione doganale nei confronti delle autorità doganali e non può esimersi dalle sue responsabilità adducendo gli errori commessi da tale agente” (v. C-78/10 e C-38/07).
In tal modo l'agente (spedizioniere intermediario), fuori dai casi di concorso in illeciti, sarà tenuto a rispondere solo nel caso in cui venga dimostrata l'assenza di diligenza professionale, escludendosi forme di solidarietà rappresentante/rappresentato, qualora il primo abbia vigilato con la diligenza qualificata (art. 1176, c. 2, c.c.) da ragguagliare alla natura dell'attività esercitata, sull'esattezza delle informazioni fornite dall'esportatore allo Stato di esportazione (v. Cassazione 13383/2019 e 3739/2019). Ragionando diversamente, ovvero “impegnando a prescindere” il rappresentante indiretto circa l'esattezza delle indicazioni riportate nella dichiarazione, l'autenticità dei documenti prodotti nonché l'osservanza di tutti gli obblighi inerenti al vincolo delle merci al regime doganale individuato, equivarrebbe ad imputargli una responsabilità oggettiva, avulsa dalla verifica del canone di diligenza che questi, quale operatore professionale, è tenuto pur sempre ad osservare.
Ai fini sanzionatori poi, come correttamente evidenziato (v. M. Scuffi e F. Vismara, in “Il codice doganale dell'Unione”, Milano, 2021, pagg. 251 e ss.), è del resto la stessa prassi (v. Circ. 22/D del 28.12.2015) a richiedere di dover considerare la condotta materiale della persona fisica che ha commesso l'illecito tributario escludendo che il ruolo tecnico dello spedizioniere sia espletato in modo acritico, riportando pedissequamente nella dichiarazione doganale i dati ricevuti. Allo stesso tempo però, qualora tale soggetto “abbia operato con piena e corretta diligenza professionale, non si vede quale addebito possa essere contestato”, per cui egli dovrà ritenersi indenne da sanzione, nei casi in cui abbia presentato “dichiarazioni doganali contenenti elementi rivelatisi successivamente errati forniti dal proprietario delle merci e la cui inesattezza non poteva emergere dalla valutazione professionale operata, … con conseguente responsabilità a titolo sanzionatorio del soggetto per conto del quale essi hanno agito”.
Osservazioni
La responsabilità ai fini IVA L'esclusione in radice dell'addebito dell'IVA all'importazione in capo al rappresentante indiretto deriva innanzitutto dalla “semplice” constatazione dell'impossibilità di operare la detrazione dell'imposta anche quandanche si decidesse “volontariamente” di versarla, con evidente violazione del principio di neutralità dell'imposta, come si evince altresì dal costante orientamento delle nostre Corti di merito e di legittimità oltre che della Corte di Giustizia (v. tra i tanti C-226/14, C-248/09, C-322/99, C-299/86 e C-15/81).
I giudici del Kirchberg ricordano che l'IVA in dogana non rientra nella nozione di dazi all'importazione, tra i quali rientrano, ai sensi dell'art. 5, n. 20), del CDU, solo “i dazi doganali dovuti all'importazione delle merci”. Del resto è la medesima Agenzia delle entrate, nella risposta ad interpello n. 4/2020, ad aver ribadito (richiama coerentemente la R.M. n. 431354/1990) che l'unico soggetto legittimato a recuperare l'IVA assolta al momento dell'importazione è il destinatario (acquirente) delle merci impiegate nell'esercizio della propria attività il quale, previa registrazione della bolletta doganale nel registro degli acquisti di cui all'art. 25 del DPR IVA 633/1972, può procedere a detrarre l'IVA assolta.
L'Agenzia riferisce che “… agli effetti IVA il debitore dell'imposta è sempre l'effettivo proprietario della merce e non l'intermediario che agisce come rappresentante indiretto obbligato al pagamento dei diritti doganali al momento dell'entrata nel territorio doganale. Ciò in quanto ...l'art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, espressamente dispone che è ammesso in detrazione, dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta «assolta o dovuta» dal contribuente in relazione ai beni importati, ove con la locuzione «contribuente» non può che riferirsi all'effettivo importatore, vale a dire al destinatario delle merci, quale risulta dalla fattura estera di acquisto, unico soggetto legittimato all'esercizio del diritto di detrazione della relativa imposta. Pertanto, la facoltà del proprietario effettivo delle merci all'esercizio del diritto di detrazione dell'imposta pagata dal mandatario senza rappresentanza, incaricato dell'effettuazione delle operazioni doganali di importazione di beni, trova legittimazione tutte le volte in cui la sua identità venga verificata attraverso il collegamento soggettivo tra il documento doganale e la fattura estera”. La risposta ad interpello, confermando ancora una volta che l'IVA all'importazione ha la medesima natura di quella interna (v. anche CGUE C-272/13 e C-226/14), esclude la natura di debitore dell'imposta in capo al rappresentante doganale, vietandoli di fatto di detrarsi l'IVA su beni di proprietà altrui e, di conseguenza, ogni ipotesi di solidarietà passiva da parte di soggetti che non siano i proprietari delle merci, ossia diversi dai soggetti titolari del corrispondente diritto alla detrazione d'imposta.
Tali conclusioni sono state condivise anche dalla Cassazione la quale, dopo aver correttamente ribadito che le differenze tra l'IVA all'importazione e quella interna sono meramente procedurali, riguardando le sole modalità di riscossione, hanno evidenziato che “in caso di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati a essere introdotti in un deposito fiscale, l'autore della dichiarazione doganale non risponde del mancato versamento dell'imposta relativa all'estrazione del beni” (Cass. n. 23674/2019 e n. 29195/2019; v. anche CTR Milano n. 4676/2016 e CTR Milano n. 1035/2019).
Se da un lato il CDU prevede la responsabilità solidale del rappresentante con il rappresentato (pur con le dovute cautele evidenziate nel tempo della Corte UE che esclude forme di responsabilità oggettiva in caso di comprovata diligenza professionale dell'operatore), analoga previsione è del tutto assente nella Direttiva IVA 112/2006 e nel suo Reg. di esecuzione 282/2011, nella misura in cui è, invece, consentito agli Stati membri di indicare il soggetto responsabile solidalmente che però, nella nostra normativa, non viene qualificato specificamente.
Proprio su tale “mancanza” si è di recente espressa la Corte di giustizia UE in C-714/20, su rinvio tra l'altro del giudice italiano in relazione al DPR IVA 633/1972, evidenziando che, se dalla formulazione dell'art. 77, par. 3, del CDU, tanto il rappresentante doganale indiretto (quale dichiarante) quanto l'importatore hanno la qualità di debitori, è però vero che “il contesto e gli obiettivi della normativa in cui si inserisce detta disposizione rivelano che quest'ultima riguarda esclusivamente l'obbligazione doganale e non anche l'IVA all'importazione”. Ha così concluso nel senso che “l'IVA all'importazione non fa parte dei «dazi all'importazione», ai sensi dell'articolo 5, punto 20, di detto codice, che riguarda i dazi doganali dovuti all'importazione delle merci”.
Tali argomentazioni, del resto, erano state formulate dalla medesima Corte UE già sotto la vigenza del Reg. CEE n. 2913/92 (CDC - codice doganale comunitario, sostituito dal CDU) in ulteriori precedenti (v. C‑248/09, p. 47 e C‑226/14, p. 81).
La Corte UE in C-714/20 ha proseguito evidenziando che, dal momento che “la normativa dell'UE in materia di IVA, in particolare l'articolo 201 della direttiva IVA, non opera un rinvio alle disposizioni del codice doganale per quanto riguarda l'obbligo di pagare tale imposta, bensì prevede che tale obbligo incombe alla persona o alle persone designate o riconosciute dallo Stato membro di importazione”, non è di conseguenza possibile sostenere “in forza del solo art. 77, par. 3, di tale codice, la responsabilità del rappresentante doganale indiretto, in solido con l'importatore che gli ha conferito un mandato e che esso rappresenta”.
Pur riconoscendo che dall'art. 201 della Dir. IVA (per cui l'IVA “è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d'importazione”) emerge che è consentito agli Stati membri sia di designare i soggetti debitori di tale imposta sia di prevedere che i debitori dei dazi doganali lo siano anche per l'IVA all'importazione (responsabilità solidale), occorre però che le disposizioni di una direttiva siano attuate “con un'efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto” (v. C‑151/12, p. 26).
Occorre, in altri termini, che la “situazione giuridica derivante dalle misure nazionali di trasposizione di una direttiva sia sufficientemente precisa e chiara da permettere ai singoli interessati di conoscere l'ampiezza dei loro diritti e obblighi” (v. C‑204/09, p. 60, C‑611/17, p. 111 e C‑496/18, p. 93). Da ciò deriva l'obbligo per gli Stati membri sia di designare in maniera sufficientemente chiara e precisa la persona o le persone debitrici dell'IVA all'importazione sia di stabilire, in modo altrettanto esplicito ed inequivocabile, l'eventuale responsabilità solidale del rappresentante doganale indiretto anche per il pagamento dell'IVA all'importazione.
L'assenza di una disposizione interna di tal genere nel d.P.R. n. 633/1972, ha osservato la Corte UE in C-714/20, non consente, quindi, di riconoscere la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell'IVA all'importazione, in solido con l'importatore. |