Il Valore in Dogana quale elemento dell'accertamento doganale
L'oggetto della verifica della Dogana ha interessato il valore doganale, il quale insieme alla quantità, alla qualità (classificazione) ed all'origine, rappresentano gli elementi che “compongono” l'accertamento doganale e la cui base giuridica è rintracciabile nel Reg. UE 925/2013 (CDU) e nei suoi regolamenti Delegato n. 2015/2446 e di Esecuzione n. 2015/2447.
La base primaria ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci è rappresentata dal prezzo pattuito tra le parti, ovvero dal “valore di transazione” di cui all'art. 70 del CDU, rappresentato dal “prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l'esportazione verso il territorio doganale dell'Unione”, eventualmente adeguato con gli elementi obbligatori di cui all'art. 71 par. 1 del CDU nella misura in cui sono a carico del compratore e non sono inclusi nel prezzo pagato o da pagare (es. commissioni e spese di mediazione, diritti di licenza/royalties, spese di trasporto, etc.).
Accanto a tale metodo principale, che secondo la costante giurisprudenza della Corte UE “deve riflettere il valore economico reale di una merce importata e tener conto di tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico” (v. ad es. C-256/07, C-306/04 p. 30, C-15/99 p. 25 e C-11/89 p. 35), qualora questo non sia utilizzabile perché l'Ufficio ad esempio ritenga che il prezzo pagato dall'acquirente/importatore non sia quello effettivamente pagato in quanto più basso rispetto ai valori comunemente rilevati per operazioni commerciali simili, sono previsti (art. 74 del CDU) alcuni metodi, alternativi o sostitutivi al criterio principale, per la valutazione del valore delle merci, da utilizzarsi in capo alla Dogana in rigoroso ordine gerarchico.
La possibilità per l'Ufficio di utilizzare un metodo secondario in sostituzione di quello principale ha la sua base giuridica nell'art. 140 del Reg. n. 2015/2447 che consente all'autorità doganale di non accettare il valore di transazione dichiarato sulla base della fattura di acquisto in presenza di fondati dubbi.
Tra i metodi secondari di determinazione del valore in dogana, l'art. 74 del CDU, al par. 2, indica nell'ordine il valore di merci identiche (lett. a)) ed il valore di merci similari (lett. b)) come strumenti per individuare il corretto valore dei beni oggetto di valutazione in dogana, ponendo tali regole tra loro in ordine consequenziale e rigorosamente gerarchico, di modo che solo ove non sia possibile individuare un valore per merce identica allora è consentito utilizzare il criterio di ricerca del valore per merci similari.
Entrambi i metodi, poi, sono articolati in ulteriori criteri gerarchici interni (v. l'art. 141, par. 1, 2 e 5, del Reg. 2015/2447), a seconda se la persona che ha prodotto le merci identiche o similari sia la medesima che ha prodotto quelle oggetto di valutazione, o meno.
In tal modo si avrà, in ordine gerarchico tra i criteri interni, un criterio:
- primario, tendente alla ricerca di merce venduta (al compratore o a terzi) dalla stessa persona che ha prodotto le merci oggetto di valutazione in linea di dogana o al medesimo livello commerciale ed in quantitativi sostanzialmente equivalenti a quelli delle merci oggetto di valutazione o, in subordine, a livelli di commercializzazione o in quantitativi diversi da quelli della merce oggetto di valutazione in dogana;
- ed uno secondario, tendente alla ricerca di merce venduta (al compratore o a terzi) da una persona diversa da quella che ha prodotto le merci oggetto di valutazione in linea di dogana o al medesimo livello commerciale ed in quantitativi sostanzialmente equivalenti a quelli delle merci oggetto di valutazione o, in subordine, a livelli di commercializzazione o in quantitativi diversi da quelli della merce oggetto di valutazione in dogana.
Qualora infine, ai sensi del par. 3 dell'art. 141 del Reg. 2015/2447, si riscontrasse più di un valore di transazione per merci identiche o similari, per determinare il valore in dogana delle merci importate si fa riferimento al più basso di questi valori.
La Corte UE da un lato evidenzia che “sebbene il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci costituisca, in linea generale, la base di calcolo del valore in dogana, detto prezzo è un dato che deve eventualmente formare oggetto di rettifiche qualora tale operazione sia necessaria per evitare di determinare un valore in dogana arbitrario o fittizio, consentendo quindi alla Dogana, ove ritenga opportuno, di rideterminare tale valore” (v. C-1/18, p. 23 e ss.).
Dall'altro, quando il valore in dogana non può essere determinato ai sensi dell'art. 70 del CDU mediante il valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale è effettuata conformemente alle disposizioni dell'art. 74 di tale codice, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del par. 2 di tale ultima disposizione.
In buona sostanza la Corte evidenzia la necessità, in capo alle autorità doganali, di prendere a riferimento le vendite di merci effettuate allo stesso livello commerciale che si avvicina sensibilmente a quello delle merci da valutare in dogana (v. C-291/15 p. 34).
Qualora l'Ufficio utilizzi come metro di paragone “merci similari”, occorre che queste siano prodotte nello stesso Paese e, pur non essendo uguali sotto tutti gli aspetti, “presentino caratteristiche analoghe e siano composte di materiali analoghi, tanto da poter svolgere le stesse funzioni e da essere intercambiabili sul piano commerciale”, sottolineando che “la qualità delle merci, la loro rinomanza e l'esistenza di un marchio di fabbrica o di commercio rientrano tra gli elementi da prendere in considerazione per stabilire se determinate merci siano similari” (C-1/18 citata, punto 26).
Tale approccio ermeneutico richiede quindi una particolare attenzione in tutti quei casi di merci classificabili con il medesimo codice NC (Nomenclatura Combinata) ma appartenenti a “classi” commerciali tra loro notevolmente differenti, pena una sovrapposizione sterile di un dato statistico di cui alle banche dati UE che, seppur riconosciuto idoneo dalla medesima Corte UE rischia di falsare il risultato di indagine.
Del resto tale esigenza era stata ben evidenziata anche dall'Avv. gen. Nils Wahl nelle sue conclusioni alla causa C-1/18 in cui si legge che “… le autorità doganali devono verificare, in primo luogo, se le merci poste a confronto svolgono le stesse funzioni e se sono intercambiabili sul piano commerciale. Ulteriori fattori da prendere in considerazione ai fini della valutazione dipendono dalle specifiche merci da valutare e dovrebbero includere tutti gli elementi di tali merci che possono incidere sul valore economico delle stesse”.
Ed ancora “…Se un'autorità doganale non dispone delle competenze e informazioni necessarie per compiere tale accertamento in relazione alle merci da valutare, sono possibili diverse linee di azione: i) l'autorità doganale può richiedere al dichiarante qualsiasi ulteriore documento o informazione che ritenga necessari per stabilire il valore in dogana ai sensi di uno qualsiasi dei metodi di valutazione di cui agli articoli 30 e 31 del codice doganale (di identico contenuto gli attuali artt. 70 e ss. del CDU); ii) l'autorità doganale può richiedere qualsiasi documento o informazione ad ogni persona direttamente o indirettamente interessata alle operazioni effettuate nell'ambito degli scambi di merci; iii) l'autorità doganale può formulare una richiesta di assistenza amministrativa ad altre autorità doganali negli Stati membri dell'Unione al fine di raccogliere le informazioni necessarie; o iv) l'autorità doganale può richiedere analisi o perizie sulle merci da valutare a spese del dichiarante”.
Quanto ancora all'osservanza di un ordine gerarchico nell'uso dei metodi di determinazione del valore in dogana, la Corte UE, in C‑46/16, p. 43, ci riferisce che “… in forza di una costante giurisprudenza, i metodi di determinazione del valore in dogana … si trovano tra loro in un rapporto di sussidiarietà. Infatti, è solo quando il valore in dogana non può essere determinato con l'applicazione di un metodo determinato che si deve far riferimento a quello immediatamente successivo secondo l'ordine stabilito da tali disposizioni. In tali circostanze, l'obbligo di motivazione che grava sulle autorità doganali nell'ambito dell'attuazione di dette disposizioni deve, da un lato, consentire di individuare in modo chiaro e non equivoco i motivi che hanno portato detta autorità a disattendere uno o più metodi di determinazione del valore in dogana. Dall'altro lato, tale obbligo implica che dette autorità siano tenute ad esporre, nella decisione che fissa l'importo dei dazi all'importazione dovuti, i dati sulla base dei quali è stato calcolato il valore in dogana delle merci, tanto per consentire al destinatario della decisione di difendere i propri diritti nelle migliori condizioni possibili e di valutare, con piena cognizione di causa, se sia utile proporre ricorso contro di essa, quanto per consentire ai giudici di esercitare un sindacato sulla legittimità di detta decisione”. (v. tra i tanti anche C-291/15, p. 29 e 36; C-116/12, p. 42 e 43).
La norma unionale che indica l'ordine dei criteri secondari di determinazione del valore in dogana ha carattere precettivo e non derogatorio, non consentendo ai verificatori di operare al di fuori del proprio perimetro applicativo.
Al riguardo anche la Cassazione, intervenuta di recente in tema (v. sent. n. 17235/2022 e n. 15540/2022,), ha ribadito che “l'Amministrazione – dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all'interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati i dubbi dell'Ufficio – è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di aver applicato, nella rideterminazione del valore in Dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 c.d.c. secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dar conto delle ragioni per cui il rispetto di detto ordine non sia stato possibile. Di conseguenza le banche dati che individuano, sulla base del valore di transazione di merci similari, un valore medio statistico per i beni importati, possono essere utilizzate dall'Amministrazione doganale a condizione che abbia fatto ricorso, in primo luogo, ai metodi di valutazione immediatamente precedenti” (v. anche Cass. n. 25724/2020, Cass. n. 22818/2020, Cass. n. 2214/2019, Cass. n. 1787/2019 e Cass. n. 1115/2019).
La rappresentanza indiretta dello spedizioniere e la responsabilità ai fini daziari
La rappresentanza in dogana, secondo la normativa UE contenuta nel CDU (v. gli artt. 18, 19 e 77, par. 3, del CDU), può articolarsi nelle due forme della rappresentanza diretta e di quella indiretta, prevedendo che il rappresentato sia sempre il dichiarante sostanziale, soggetto sul quale ai sensi dell'art. 170 del CDU grava l'onere di “presentare o far presentare le merci in dogana”, ed il rappresentante (diretto o indiretto) sia il dichiarante formale il quale sarà qualificabile come “debitore” ai sensi dell'art. 77, par. 3 del CDU, secondo il quale “Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta, è debitrice anche la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione in dogana”.
Una prima lettura della norma potrebbe portare ad individuare il rappresentante quale “primo” debitore responsabile in relazione alla dichiarazione resa, al quale si affiancherebbe, a titolo di garanzia, la responsabilità del rappresentato.
Nella realtà invece, come correttamente evidenziato in dottrina (v. P. Bellante, in “Il sistema doganale”, Torino, 2020, pag. 441 e ss.), nonostante il par. 3 dell'art. 77 del CDU affermi il contrario e fuori dai casi di concorso in fatti illeciti, ogni responsabilità per l'obbligazione doganale non può che gravare sul dichiarante sostanziale (importatore o esportatore rappresentato) al quale si aggiunge un vincolo di solidarietà in funzione di garanzia che il CDU pone a carico del rappresentante indiretto quale mero dichiarante formale.
Si sottolinea che è proprio il CDU, nel suo art. 79, par. 3, lett. b), a prevedere un “riequilibrio” nell'attribuzione della responsabilità tra rappresentante e rappresentato, scongiurando ogni ipotesi di attribuzione oggettiva della colpa, e prevedendo la solidarietà ai fini daziari tra i due soggetti solo se il primo “sapeva o avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che non era rispettato un obbligo previsto dalla normativa doganale”.
A riprova di ciò la Corte UE ha evidenziato che “l'operatore che si rivolge ad un agente doganale, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga nel contesto di una rappresentanza diretta o indiretta, è in ogni caso debitore dell'obbligazione doganale nei confronti delle autorità doganali e non può esimersi dalle sue responsabilità adducendo gli errori commessi da tale agente” (v. C-78/10 e C-38/07).
In tal modo l'agente (spedizioniere intermediario), fuori dai casi di concorso in illeciti, sarà tenuto a rispondere solo nel caso in cui venga dimostrata l'assenza di diligenza professionale, escludendosi forme di solidarietà rappresentante/rappresentato, qualora il primo abbia vigilato con la diligenza qualificata (art. 1176, c. 2, c.c.) da ragguagliare alla natura dell'attività esercitata, sull'esattezza delle informazioni fornite dall'esportatore allo Stato di esportazione (v. Cassazione 13383/2019 e 3739/2019).
Ragionando diversamente, ovvero “impegnando a prescindere” il rappresentante indiretto circa l'esattezza delle indicazioni riportate nella dichiarazione, l'autenticità dei documenti prodotti nonché l'osservanza di tutti gli obblighi inerenti al vincolo delle merci al regime doganale individuato, equivarrebbe ad imputargli una responsabilità oggettiva, avulsa dalla verifica del canone di diligenza che questi, quale operatore professionale, è tenuto pur sempre ad osservare.
Ai fini sanzionatori poi, come correttamente evidenziato (v. M. Scuffi e F. Vismara, in “Il codice doganale dell'Unione”, Milano, 2021, pagg. 251 e ss.), è del resto la stessa prassi (v. Circ. 22/D del 28.12.2015) a richiedere di dover considerare la condotta materiale della persona fisica che ha commesso l'illecito tributario escludendo che il ruolo tecnico dello spedizioniere sia espletato in modo acritico, riportando pedissequamente nella dichiarazione doganale i dati ricevuti.
Allo stesso tempo però, qualora tale soggetto “abbia operato con piena e corretta diligenza professionale, non si vede quale addebito possa essere contestato”, per cui egli dovrà ritenersi indenne da sanzione, nei casi in cui abbia presentato “dichiarazioni doganali contenenti elementi rivelatisi successivamente errati forniti dal proprietario delle merci e la cui inesattezza non poteva emergere dalla valutazione professionale operata, … con conseguente responsabilità a titolo sanzionatorio del soggetto per conto del quale essi hanno agito”.