La sentenza in commento interviene su una previsione normativa particolarmente delicata e discussa, ossia la c.d. “Spending Review” che ha coinvolto le locazioni delle pubbliche amministrazioni di tipo passivo (ovvero i contratti di locazione da cui deriva una spesa per l'amministrazione, in quanto conduttrice), emanata a seguito della crisi finanziaria del 2011.
L'art. 3 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 è parte di un coacervo di interventi legislativi, stratificatisi nel tempo (peraltro di non sempre agevole ricostruzione sistematica) volti, almeno dichiaratamente, a razionalizzare l'utilizzo di immobili di proprietà privata da parte di enti pubblici e contenere il relativo esborso a carico delle casse pubbliche (solo per citare i principali interventi normativi: la l. 23 dicembre 2009, n. 191 (Legge Finanziaria 2010); la l. 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014); il d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito in l. 23 giugno 2014, n. 89; la l. 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020), il d.l. 21 ottobre 2021, n. 146).
Tale corpus normativo, centrato attorno ad un ruolo preponderante dell'Agenzia del Demanio per le amministrazioni statali, prevede, da un lato, regole di evidenza pubblica (sia pure attenuate rispetto alle gare d'appalto) e precisi parametri tecnico-economici per la selezione del contraente-locatore privato e, dall'altro, limitazioni all'autonomia privata nella determinazione dei termini e condizioni contrattuali, anche mediante modifica d'imperio dei contratti che erano in corso nel 2012.
La spending review di cui all'art. 3 del d.l. n. 95/2012 costituisce il “pilastro” di questa seconda parte e individua, “in considerazione dell'eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica”, diversi strumenti per ridurre i costi dell'uso di immobili privati da parte di entri pubblici: la sospensione dell'adeguamento ISTAT, inizialmente disposta per gli anni 2012, 2013 e 2014 e, a seguito di immancabili proroghe annuali (da ultimo, a opera del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito con modificazioni in Legge n. 14 del 24 febbraio 2023), attualmente prorogata sino al 31 dicembre 2023, e la riduzione lineare del 15% dei canoni di locazione e delle indennità di occupazione senza titolo.
L'art. 3 riguarda praticamente tutte le Amministrazioni Pubbliche (amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della P.A. ex art. art. 1, comma 3, l. n. 196/2009 – ossia quelle inserite negli elenchi ISTAT - nonché le altre amministrazioni individuate all'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, cui le disposizioni sulla spending review si applicano in quanto compatibili) e quindi si ripercuote su un gran numero di rapporti locativi; inoltre, il blocco agli aggiornamenti ISTAT e la riduzione del canone ovvero dell'indennità di occupazione si applicano sin dal 2012; infine, la riduzione ex lege opera automaticamente nei contratti in corso, anche in deroga a clausole difformi, fatto salvo il diritto di recesso del locatore, previsto nel caso in cui ovviamente tra le parti ci fosse ancora un contratto in vigore.
Va immediatamente precisato che le locazioni de quibus, come qualsiasi locazione ad uso diverso dall'abitazione, sono regolate dalla Legge n. 392/1978, il cui art. 42 prevede proprio la fattispecie in cui gli enti pubblici rivestono il ruolo di conduttori, parificandole ai conduttori non residenziali privati, anche in tema di aggiornamento ISTAT e di libera contrattazione tra le parti del canone di locazione. La pubblica amministrazione conduttrice, pertanto, una volta selezionato l'immobile di proprietà privata del quale intende usufruire e stipulato il relativo contratto di locazione, dovrebbe (almeno in teoria), agire con personalità giuridica di diritto privato e, quindi, in maniera paritaria rispetto alla propria controparte contrattuale.
Nel 2012, tuttavia, in un contesto (innegabile) di emergenza finanziaria, il legislatore ha ben pensato di colpire la proprietà immobiliare con una pesante prestazione patrimoniale, una sorta di “tributo anomalo”, decurtando d'imperio del 15% la misura dei canoni contrattualmente previsti nelle locazioni passive pubbliche e impedendo l'adeguamento della misura del canone al costo della vita. Come era lecito attendersi, un intervento di tale portata sulla “carne viva” dei rapporti locativi ha dato luogo ad un variegato contenzioso, promosso dai locatori privati incisi dalla legge di contenimento della spesa pubblica, nel quale non sono mancate costanti invocazioni di una declaratoria di illegittimità costituzionale delle misure di contenimento dell'art. 3, d.l. 95/2012, rimaste sostanzialmente immutate per oltre dieci anni e tuttora vigenti.
La giurisprudenza si è quindi più volte pronunciata sulla spending review; vale la pena ripercorrere le tappe principali di questo ormai lungo cammino, in cui la pronuncia in commento si inserisce, onde evidenziare come nelle pronunce rese in materia delle locazioni passive pubbliche coesistano, da un lato, altissime e nobili dichiarazioni di principio per difenderne la legittimità costituzionale e, dall'altro lato, effetti pratici difficilmente conciliabili con un sistema democratico, fondato sul principio pacta sunt servanda.
Il primo arresto che merita di essere menzionato è quello del Tribunale di Torino (Cass. sez. VIII, sent., 28 gennaio 2016, n. 528). Quella pronuncia fu la prima ad affrontare in maniera compiuta il tema del recesso straordinario attribuito dall'art. 3 comma 4 del d.l. n. 95/2012 al locatore privato, quale rimedio alla decurtazione del canone (peraltro in una vicenda avente ad oggetto un immobile particolarmente "sensibile”, ossia lo storico Palazzo Stabri, ex sede degli uffici del T.A.R. per il Piemonte e dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato).
In quella pronuncia, per salvare la compatibilità costituzionale delle disposizioni, il Giudice sabaudo richiama i principi di legittimità delle norme di origine “emergenziale”, chiarendo che una decurtazione d'imperio è ragionevole e legittima se limitata nel tempo e circoscritta, e che la temporaneità delle misure deve essere valutata in un'ottica non annuale, ma di programmazione pluriennale, che è quella tipica delle politiche di bilancio, sì che la protrazione nel tempo delle stesse non contraddice, in sé, la sussistenza della necessità ed urgenza (Corte cost. n. 310/2013), se non è imposta ad una sola categoria di cittadini (Corte cost. n. 113/2013; Corte cost. n. 223/2012), a meno che, in quest'ultimo caso, non sia controbilanciata da una misura a favore di chi la subisce, ove sorretta da una causa normativa adeguata (Corte cost. n. 92/2013). In questo quadro, il Tribunale di Torino aggiunge, per smentire la tesi dell'Avvocatura dello Stato - secondo cui il recesso sarebbe stato efficace dalla data di scadenza naturale del contratto - che, qualora si interpretasse l'art. 3, comma 4, d.l. n. 95 del 2012 “nel senso di obbligare il privato proprietario di un immobile concesso in locazione alla Pubblica Amministrazione a percepire soltanto l'85% dell'importo liberamente concordato in sede di stipulazione del contratto di locazione, addirittura senza rivalutazione Istat dal 2012 al 2014, fino alla data di scadenza del contratto, ossia per un arco temporale che in astratto potrebbe durare sino ai sei anni (durata minima del contratto a norma dell'art. 27, comma primo, della l. n. 392/1978), allora vi sarebbe il fondato sospetto della sua illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3 e 42 della Costituzione”, in quanto il sacrificio imposto ai proprietari degli immobili locati alle pubbliche amministrazioni per agevolare il risanamento della finanza pubblica sarebbe eccessivo.
Peccato però che la pronuncia del Tribunale di Torino in commento sia stata resa ben dopo la scadenza naturale del contratto (31 maggio 2015), costringendo (in maniera del tutto paradossale) il proprietario privato – che aveva receduto dal contratto con efficacia dal 30 giugno 2014, ultimo giorno in cui avrebbe avuto diritto al canone in misura piena – a subire la decurtazione del 15% sino alla data del rilascio (fissata dal giudice di prime cure al 30 aprile 2016 e comunque disattesa), senza riconoscimento del maggior danno e con compensazione delle spese di lite. Secondo le notizie di stampa del tempo( in https://www.torinotoday.it/cronaca/tar-piemonte-corso-stati-uniti-sfratto.html, link consultato il 3 marzo 2023. ), il Presidente del T.A.R., in caso di mancato accoglimento delle difese statali in ambito civilistico, confidava “nell'esercizio del potere autoritativo di requisizione temporanea dell'immobile da parte degli organi competenti fermo restando l'impegno a reperire altre idonee sistemazioni", di fatto quindi vanificando il rimedio concesso al proprietario.
La seconda pronuncia che vale la pena richiamare, citata anche in motivazione dalla sentenza in commento e sopra menzionata, è quella resa dalla Corte di Cassazione (Cass., sez. III, 15 marzo 2018, n. 6389) con riferimento ad un altro immobile privato adibito a caserma dei Carabinieri e occupato dal Ministero dell'Interno successivamente alla risoluzione giudiziale del contratto di locazione per inadempimento. In quella vicenda, la locazione era stata risolta per inadempimento dal Pretore di Firenze nell'anno 2000 e, come sovente accade, l'Arma aveva continuato ad occupare l'immobile, sino a che il proprietario aveva ottenuto decreto ingiuntivo per l'indennità di occupazione nel periodo ottobre 2013 – aprile 2014 (si noti, quattordici anni di occupazione senza titolo). Il decreto ingiuntivo era stato opposto, vittoriosamente, dal Ministero, che aveva invocato l'applicazione della decurtazione del 15%, in forza dell'art. 3 del d.l. 95/2012.
Il trend giurisprudenziale “double-face” ha poi trovato confermanella sentenza emessa il 14 marzo 2018 dal Tribunale di Milano (sez. XIII), con cui è stato affermato che “la riduzione del canone di locazione nella misura prevista dall'art. 3, comma 4, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 inserita automaticamente ai sensi dell'art. 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, nei contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale stipulati dalle amministrazioni centrali individuate dall'Istituto nazionale di statistica, è legittima, attesa la concessione ex lege della facoltà per il locatore di recedere dal contratto di locazione”. Anche in questo caso, la Corte meneghina – nel rigettare l'eccezione di illegittimità costituzionale dei commi 1 e 4 dell'art. 3, d.l. n. 95 del 2012 – pone l'accento sulla caratteristica di temporaneità e generalità delle misure eccezionali di contenimento della spesa, nonché sulle limitazioni all'iniziativa economica ed alla proprietà privata di cui agli artt. 41 e 42 Cost. e al principio di pareggio del bilancio. Nella vicenda in esame, peraltro, il privato proprietario aveva visto doppiamente frustrate le proprie aspettative economiche, avendo originariamente locato il bene (nell'anno 2001) ad un soggetto originariamente privato (Esatri S.p.A.); solo dopo anni dall'avvio del rapporto locatizio, lo stesso è confluito nel Gruppo Equitalia e, per l'effetto sottoposto a controllo pubblico e conseguentemente assoggettato alle disposizioni dell'art. 3, d.l. 95/2012.
In questo solco, è poi nuovamente intervenuta la Corte di Cassazione, con due arresti del 2019 (Cass., sez. III, 24 settembre 2019, n. 23635 e 13 novembre 2019, n. 29330). Nella prima, il rigetto della q.l.c. del d.l. 95/2012 viene motivato con il richiamo ad una certa giurisprudenza costituzionale. Secondo la S.C., infatti “Lo stesso giudice delle leggi … ha affermato come nel nostro sistema costituzionale non sia "affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall'art. 25 Cost., comma 2). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto" (sentenza n. 264 del 2005, e, in senso conforme, sentenze n. 236 e n. 206 del 2009): presupposti ostativi, nella specie, del tutto insussistenti”. Nella successiva pronuncia n. 29330 (resa, vale la pena evidenziare, in merito ad un contratto di locazione stipulato …nel 1997!), poi, in aggiunta alla consueta difesa, con ampie argomentazioni, della legittimità costituzionale dell'art. 3, d.l. 95/2012 (incluso il richiamo a Corte cost. 24 marzo 2016, n. 64, che era intervenuta nella specifica materia, sia pure al diverso fine di dirimere un conflitto di attribuzioni tra lo Stato e la Regione Veneto), ha negato al proprietario dell'immobile il risarcimento del danno ex art. 1591 c.c., così sostanzialmente legittimando la P.A. occupante ad avvalersi di un comportamento scorretto, fruendo in più del vantaggio economico derivante dallo jus superveniens.
Pare a chi scrive che le decisioni contenute negli arresti appena citati si commentino da sé: di fatto, dietro gli appelli (sacrosanti) alla solidarietà sociale e tutela della tenuta finanziaria dello Stato, sui quali viene fondata la prognosi di costituzionalità dell'art. 3, d.l. 95/2012, appare innegabile che la spending review abbia avuto l'effetto di dare una copertura normativa addizionale ai frequenti abusi commessi dalle P.A. conduttrici o occupanti di immobili privati.
Come si può conciliare, difatti, il rimedio del recesso attribuito al locatore privato dall'art. 3, d.l. 95/2012 con i tempi (biblici) della giustizia civile, sia in fase di accertamento che di esecuzione? E come può il privato proprietario porre in esecuzione un provvedimento di rilascio contro quella stessa “forza pubblica” che di tale esecuzione dovrebbe farsi garante? E più in generale, come si può pretendere un cospicuo sacrificio patrimoniale nei confronti di un'ampia categoria di cittadini (al netto di deprecabili situazioni di privilegio, sia chiaro), quando nei confronti delle PP.AA. utilizzatrici vengono tollerate endemiche inefficienze, ritardi e incapacità nell'osservanza delle norme sulla gestione dei fabbisogni allocativi?
In un contesto del negare, appare difficile negare che la compressione della libertà negoziale e dei diritti dei proprietari privati che locano immobili a fini istituzionali alle pubbliche amministrazioni, derivante dall'applicazione dell'art. 3, d.l. n. 95/2012, sia notevole e difficilmente giustificabile, comportando di fatto uno squilibrio ormai strutturale nel rapporto (teoricamente “alla pari”, posto che nella specie la pubblica amministrazione agirebbe iure privatorum, come chiarito da Cass. civ., SS.UU., sentenza 8 luglio 2015, n. 14185) tra locatore privato e conduttore pubblico: l'impossibilità di aggiornare il canone all'aumento del costo della vita perdura da ormai 11 anni (peraltro interessati anche da fenomeni inflattivi importanti, come dal 2022 a oggi), e determina per il locatore una perdita che, dal 2012 a tutto il 2022, arriva a circa il 15,75% (considerando, sulla base dei dati ISTAT, il 75% dell'aumento del costo della vita dal gennaio 2012 a dicembre 2022), a cui si aggiunge un'altra perdita, di un ulteriore 15%, sulle somme percepite a titolo di canone o di indennità di occupazione, peraltro applicabile anche ai contratti stipulati post 2012, nei quali, sempre a mente dell'art. 3 in commento, le decurtazione del 15% viene applicata sul canone congruito dall'Agenzia del Demanio anteriormente alla stipula del contratto.
Alla luce di tali principi e della effettiva situazione di perdurante compromissione dei diritti dei proprietari di immobili locati alle pubbliche amministrazioni, ci si chiede se l'art. 3, d.l. n. 95/2012 possa fondatamente ritenersi ancora legittimo sotto il profilo costituzionale. È ancora sostenibile giustificare tale disposizione in quanto “eccezionale”, a 11 anni di distanza dal momento in cui si sono manifestate la situazione economica nazionale e le conseguenti esigenze prioritarie di contenimento della spesa pubblica che ne hanno determinato l'emanazione?
E con specifico riferimento alla decurtazione del 15% dell'indennità di occupazione disposta dal comma 4, è a tutt'oggi sostenibile affermare – come fa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29330/2019 – che tale decurtazione, anche se non controbilanciata dal riconoscimento in favore del conduttore del diritto di recesso (che, ricordiamo, viene invece riconosciuto al locatore nel caso in cui vi sia ancora un contratto di locazione in essere), sia comunque ragionevole anche dopo tanti anni dalla sua introduzione, in considerazione del diritto del locatore di ottenere il risarcimento dell'eventuale maggior danno ex art. 1591 c.c. (nella prassi quasi mai riconosciuto)?
A parere di chi scrive, in considerazione dei principi espressi dalla Consulta in punto di emergenza e compressione del diritto di proprietà sopra richiamati, l'immobilità del legislatore e le “giustificazioni” rese a riguardo in giurisprudenza (in particolare in Cass. n. 29330/2019, con ampia in motivazione) non convincono.
A rendere ancora più contraddittorio il quadro descritto, è intervenuta una pronuncia della Corte Costituzionale (Corte cost. sent. n. 213/2021), emessa in tema di eccezionalità della situazione economica che aveva determinato la proroga della sospensione delle procedure di rilascio di immobili per morosità durante l'emergenza sanitaria derivante dal diffondersi delle infezioni da Covid-19, con la quale è stata sottolineata, in considerazione del perdurare dell'emergenza, la necessità di adattare progressivamente le misure adottate per farvi fronte all'evolversi della situazione di fatto, al fine di garantire sempre la proporzionalità delle misure emergenziali rispetto a tale situazione. Per la Consulta, in particolare, se all'inizio della pandemia la sospensione era generalizzata, con le successive proroghe, su cui si erano sollevati dubbi di costituzionalità, il legislatore ne ha via via ristretto l'ambito di applicazione, operando un progressivo aggiustamento del bilanciamento degli interessi e dei diritti in gioco. La Consulta ha infine evidenziato la natura intrinsecamente temporanea della misura e l'impossibilità che venga prorogata oltre una determinata scadenza, “avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando la sua funzione sociale (art. 42, secondo comma, Cost.)”.
Ebbene, proseguire nella specie lungo il percorso tracciato dalla “eccezionalità”, senza curarsi di riadattare progressivamente la normativa in discussione alle mutate circostanze fattuali e in spregio del diritto di proprietà, non può che avere effetti negativi, in termini sia di minore disponibilità dei privati a concedere immobili in locazione alle pubbliche amministrazioni, sia di sfiducia del cittadino nella certezza dell'ordinamento giuridico.
Pare evidente, in conclusione, come sia ormai improcrastinabile un intervento del legislatore volto a eliminare l'attuale situazione di squilibrio e incertezza, nonché di sostanziale ingiustizia per i proprietari privati di immobili locati alla P.A., che persegua, a un tempo, gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica e di tutela della proprietà privata, ma nell'ottica di un contemperamento equo e che soprattutto agisca “a monte”, nella programmazione e gestione delle esigenze allocative pubbliche e nella efficienza della macchina giudiziaria, nel caso cui una P.A., come chiunque altro, acquisti la qualifica di occupante abusivo. “Dove non c'è legge, non c'è libertà” (John Locke).