Contrasto giurisprudenziale sul regime di esenzione da ogni imposta e tassa previsto dalla Convenzione di Vienna per i dipendenti del consolato
13 Marzo 2023
Massima
Con la sentenza n. 2474 dello scorso 10 giugno 2022, l'allora Commissione Tributaria Regionale della Lombardia affermava a chiare lettere la supremazia sulla disciplina domestica della Convenzione di Vienna con riferimento alle relazioni consolari al fine del riconoscimento del regime di esenzione da ogni imposta e tassa dei dipendenti del consolato e loro familiari.
Le norme a confronto Da un lato, l'art. 49 della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata con legge 9 agosto 1967 n. 804, stabilisce che «i funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri della loro famiglia viventi nella loro comunione domestica sono esenti da ogni imposta e tassa, personali o reali, nazionali regionali e comunali". Dall'altro lato, la normativa domestica (art. 4, d.P.R. n. 601/73) prevede che «i redditi degli ambasciatori e degli agenti diplomatici degli Stati esteri accreditati in Italia, derivanti all'esercizio della loro funzione, sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche e dall'imposta locale sui redditi. L'esenzione stabilita nel comma precedente si applica, a condizione di reciprocità, anche ai consoli, agli agenti consolari e agli impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati esteri, che non siano cittadini italiani né italiani non appartenenti alla Repubblica».
Il caso
Nel caso esaminato dai giudici tributari ambrosiani, deciso con la sentenza in premessa, si trattava di un contribuente con doppia cittadinanza (italiana e brasiliana); elemento che, secondo la tesi erariale, non lo escludeva dagli obblighi dichiarativi e dal pagamento delle imposte in Italia in quanto l'art. 3 TUIR prevede, come principio generale, la tassazione in Italia di tutti i redditi percepiti da parte dei soggetti ivi fiscalmente residenti; al contrario, i non residenti fiscalmente, sono assoggettati a tassazione soltanto per i redditi ivi prodotti.
I giudici, contrariamente alla tesi di parte pubblica, ritenevano che entrambe le disposizioni sopracitate hanno un fattor comune ovvero l'esenzione da ogni imposta e tassa dei redditi degli impiegati delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri: la prima in assoluto, la seconda a condizione che questi ultimi non siano cittadini italiani né italiani non appartenenti alla Repubblica.
La questione
Con riferimento a tale ultima condizione, i giudici sottolineavano come, nel caso concreto, la cittadinanza brasiliana creava un collegamento con il Brasile non fondato solo sul mero rapporto di lavoro, bensì su un rapporto di vera e propria appartenenza territoriale, in base al quale risultava corretto far rivivere la regola generale secondo cui i compensi pagati dal Brasile ad un suo dipendente, che è anche suo cittadino, devono essere assoggettati ad imposizione solo in tale ultimo Stato: l'art. 19 della Convenzione Italia-Brasile non fa rientrare nell'eccezione di cui al primo comma, lettera b) , il caso di dipendenti con doppia cittadinanza.
Sulla base di tali considerazioni, l'allora Ctr aveva concluso per l'illegittimità dell'accertamento opposto in virtù della «prevalenza della Convenzione di Vienna che non condiziona ad una specifica nazionalità l'esenzione de quo spettante al personale consolare». La soluzione giuridica
Il recente “cambio di rotta” Con la recentissima pronuncia, la medesima Corte (sentenza n. 163 del 18 gennaio 2023) rammenta che la soggettività passiva al pagamento delle imposte in Italia non dipende dalla nazionalità ma dalla residenza fiscale e che l'art. 3 TUIR prevede, come principio generale, la tassazione in Italia di tutti i redditi percepiti da parte dei soggetti ivi fiscalmente residenti mentre, al contrario, i non residenti fiscalmente sono assoggettati a tassazione soltanto per i redditi ivi prodotti.
Con riferimento, poi, allo specifico ambito delle relazioni consolari, i giudici hanno evidenziato, completando il quadro normativo di riferimento, come l'art. 71 della stessa Convenzione di Vienna (rubricato “Cittadini o residenti permanenti dello Stato di residenza”) al comma 2 preveda che: “gli altri membri del posto consolare che sono cittadini o residenti permanenti dello Stato di residenza (...), godono delle agevolezze, dei privilegi e delle immunità solamente in quanto siano loro accordati da questo Stato” e che l'art. 4 del d.P.R. n. 601/73 (rubricato “Rappresentanze estere”), prevede che, a condizione di reciprocità, sono esclusi dall'imposizione diretta i redditi percepiti solo dai soggetti non cittadini italiani che svolgono l'attività di consoli, di agenti consolari, nonché di impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati esteri.
A ciò i giudici aggiungevano che la previsione di cui all'art. 19 della Convenzione contro le doppie imposizioni fra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica Federale del Brasile del 1978, ratificata con L. n. 844/1980, (titolato “Funzioni Pubbliche”) dispone che: “Le remunerazioni, diverse dalle pensioni, pagate da uno stato contraente o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da un suo ente locale a una persona fisica, in corrispettivo di servizi resi a detto Stato o a detta suddivisione o ente locale, sono imponibili soltanto in questo Stato. Tuttavia, tali remunerazioni sono imponibili soltanto nell'altro Stato contraente qualora i servizi siano resi in detto Stato e la persona che è residente di detto Stato: … abbia la nazionalità di detto Stato … o non sia divenuta residente di detto Stato al solo scopo di rendervi i servizi”.
Dal complesso normativo di riferimento, la Corte, nel caso di specie, ha desunto che il cittadino brasiliano persona fisica che sia residente in Italia e percepisca redditi dal Consolato brasiliano per servizi resi in Italia (luogo di esecuzione dell'attività lavorativa) a favore dello stesso Consolato, è soggetto a imposizione fiscale Irpef in Italia, laddove non abbia acquisito la residenza solo in funzione della prestazione lavorativa a favore del Consolato, ma per altre ragioni e motivi. I giudici hanno considerato dirimente il fatto che il contribuente non risultava aver acquisito la residenza fiscale in Italia solo in relazione ed in funzione del rapporto di lavoro con il Consolato Brasiliano ma ben prima e, evidentemente, per ragioni, motivi e cause del tutto diverse.
Osservazioni
I giudici tributari, tuttavia, pur respingendo l'originario ricorso del contribuente, hanno deciso per l'annullamento del carico sanzionatorio dovendosi tenere in debita considerazione la complessità della normativa di riferimento, i possibili esiti interpretativi e applicativi, il dibattito anche istituzionale che sviluppatosi sul tema (interlocuzioni con i Ministeri, interrogazioni parlamentari, etc…) a dimostrazione della non immediata ricostruibilità della disciplina rilevante. |