La pronuncia in esame è di interesse, poiché arresta la propria disanima sulle sollevate eccezioni del difetto di legittimazione attiva del condominio per carenza di autorizzazione dell'assemblea condominiale a proporre l'azione, e per carenza del potere rappresentativo del condominio.
Quanto alla prima eccezione, il Tribunale risolve speditamente la questione affermando che l'assenza della delibera assembleare di autorizzazione alla proposizione dell'azione giudiziaria viene superata dalla allegazione da parte del condominio della delibera assembleare del 15 giugno 2021confermativa dell'assemblea.
A mente dell'art. 1131, comma 1, c.c., l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti il condominio e può agire in giudizio nei confronti dei singoli condòmini e dei terzi, nei limiti delle attribuzioni previste dall'art. 1130 c.c., o eventualmente dei maggiori poteri assegnatigli dal regolamento di condominio.
L'articolo è da considerarsi inderogabile in forza della previsione espressa dell'art. 1138, comma 4, c.c. sicchè né l'assemblea dei condomini, né il regolamento (assembleare o contrattuale) possono legittimamente ridurre i poteri di rappresentanza attribuiti per legge all'amministratore.
In ogni caso, dunque, l'amministratore di condominio è legittimato ad agire nei confronti dei singoli condomini e dei terzi, senza la previa necessità di una deliberazione assembleare ad hoc, nei casi espressamente previsti dall'art. 1130 c.c. (attribuzioni dell'amministratore) ovvero nelle situazioni in cui debba: 1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condòmini; 2) disciplinare l'uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio; 3) riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea; 4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.
La l. 11 dicembre 2012, n. 220 di riforma del condominio ha lasciato immutati i primi quattro punti della citata disposizione codicistica ed ha aggiunto altri sei punti che, sempre per il richiamo effettuato dall'art. 1131, comma 1, c.c., ampliano l'ampiezza della legittimazione attiva autonoma dell'amministratore.
Precisamente, egli può agire autonomamente in giudizio, sempre senza la necessità di alcuna delibera in proposito, per le controversie che ineriscano alla esecuzione degli adempimenti fiscali cui l'amministratore è chiamato, alla tenuta dei registri di anagrafe condominiale (punti nn. 6 e 7), alla conservazione della documentazione condominiale, sia per quel che attiene al rapporto con i condomini che allo stato tecnico amministrativo del fabbricato, alle attestazioni da fornire ai condomini relative allo stato dei pagamenti e alle liti eventuali in corso, alla redazione del rendiconto annuale della gestione e alla convocazione della assemblea per la relativa approvazione.
Invece, il potere di agire, anche in via monitoria, senza necessità di alcuna autorizzazione per la riscossione dei contributi condominiali è sempre stato riconosciuto all'amministratore dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 29) mentre oggi viene espressamente sancito dall'art. 63, comma 1, disp. att. c.c.
E' evidente, quindi, che la proposizione di un'azione giudiziaria - in questo caso di risarcimento del danno e di pagamento delle penali a seguito del ritardo nella conclusione di un contratto di appalto - necessita di una specifica autorizzazione assembleare che, nel caso di specie, era sussistente e veniva prodotta in atti.
In tal senso, si colloca, giustappunto, anche l'azione volte al risarcimento del danno derivato da vizi nell'appalto per lavori straordinari svolti nel condominio.
Sia consentita, sul punto, una breve disanima: è opportuno primariamente verificare quale delle due fattispecie previste dagli artt. 1667 e 1669 c.c. interessa il condominio.
Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, se i difetti del fabbricato sono riconducibili alla categoria di cui all'art. 1667 c.c., “difformità e vizi dell'opera”, la relativa azione di natura contrattuale spetta soltanto al committente e non all'amministratore del condominio (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2021, n. 7875; Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 2009, n. 3040).
Diversamente, se si considera la situazione come “rovina e difetti di cose immobili”, l'amministratore del condominio è legittimato a proporre l'azione di cui all'art. 1669 c.c. relativa ai gravi difetti di costruzione che possano porre in pericolo la sicurezza dell'edificio condominiale, anche senza preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale (Cass. civ., sez. II, 1° agosto 2006, n. 17484).
Quindi, secondo quest'ultima interpretazione, sussiste la legittimazione dell'amministratore a proporre l'azione intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi, col determinare un'alterazione che incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile, riguardino l'intero edificio condominiale e i singoli appartamenti e, ciò sul rilievo di cui all'art. 1130, n. 4), c.c.
Nella fattispecie de qua, il condominio lamenta “l'esistenza di vizi e difetti, consistenti nella comparsa di divere bolle, sfarinamenti e distacco della pittura e degli intonaci lungo il perimetro nord ed est del fabbricato”, con ciò intendendo ricondurre la situazione denunciata nell'àmbito delle difformità e vizi dell'opera ex art. 1667 c.c.
In aggiunta a quanto sopra, le Sezioni Unite hanno composto un contrasto giurisprudenziale consentendo all'amministratore di condominio, nelle materie che esorbitano l'ordinaria gestione del condominio, di costituirsi in giudizio anche senza la previa autorizzazione dell'assemblea, a condizione che l'amministratore ottenga la successiva ratifica dell'assemblea con effetto sanante, pena l'inammissibilità della costituzione in giudizio (Cass. civ., sez. un., 6 agosto 2010, nn. 18331 e18332).
In applicazione di tale principio generale, sempre la Suprema Corte, chiamata a decidere in ordine a numerosi ipotesi applicative, ha successivamente statuito non essere necessaria alcuna autorizzazione nel caso di costituzione in giudizio a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2012, n. 19533); a seguito di impugnativa di delibera assembleare (Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2014, n. 1451); per azioni di risarcimento del danno per infiltrazioni d'acqua (Cass. civ., sez. III, 4 gennaio 2010, n. 20); per la riscossione dell'indennizzo di un contratto di assicurazione stipulato dal condominio (Cass. civ., sez. III. 28 febbraio 2017, n. 5832).
Desta maggiore interesse, invece, il contenuto della seconda eccezione sollevata dalla difesa dei convenuti in ragione della quale il Tribunale dichiara il difetto di legittimazione attiva del condominio rispetto alle domande da esso proposte, essendo il soggetto che amministra il condominio non la persona fisica che ha sottoscritto la procura, bensì la società di cui egli è titolare.
In assenza della spendita del potere rappresentativo della società da parte del suo titolare, la procura è rilasciata da un soggetto non legittimato.
Appurata la circostanza che il rapporto di mandato costituito con persone giuridiche può essere caratterizzato dagli stessi indici di affidabilità che contrassegnano il mandato conferito ad una persona fisica, quanto all'adempimento delle obbligazioni ed alla relativa imputazione della responsabilità, e quindi pienamente legittimo (Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 2006, n. 22840), risulta d'evidenza che le generalità dell'amministratore che sottoscrive la procura alle liti devono essere desumibili dalla procura.
Qualora emergano contradditorie informazioni in merito alle reali generalità del firmatario del mandato, essa risulta una eccezione sollevabile dalla controparte solo nella prima difesa e che determina una nullità relativa ex art. 157 c.p.c., sanabile; diversamente la procura alle liti risulterà invalida e, conseguentemente, l'atto giudiziario dovrà essere dichiarato inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la procura alle liti è valida anche se la persona fisica che la conferisce non indichi espressamene la qualità di rappresentante della persona giuridica per la quale agisce, purché tale qualità risulti dall''intestazione o anche dal contesto dell'atto cui inerisce, in considerazione del collegamento materiale dei due atti ed attesa la possibilità che nel conferimento della procura alle liti la spendita del nome assuma forme implicite (Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2014 n. 17493).
A maggior ragione, nei giudizi in cui è parte il condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica, nella procura rilasciata al difensore deve essere identificabile o, comunque, correttamente manifestata l'identità di colui il quale sottoscrive la procura alle liti in qualità di amministratore del condominio.
L'attribuzione dell'incarico di amministratore di condominio ad una società, come nel caso di specie, determina lo svolgimento delle mansioni specifiche da parte dei soggetti incaricati che operano all'interno della società.
La società detiene così la rappresentanza del condominio in quanto nominata mandataria amministratrice della stessa.
La particolarità consiste, appunto, nel fatto che, al tempo stesso, le persone fisiche che svolgono l'attività di amministrazione condominiale agiscono rappresentando la società amministratrice di condominio per la quale prestano i propri servizi; essa, pertanto, possiede anche la rappresentanza in giudizio del condominio, sia contro i condomini che contro i terzi.
Si può dire che avviene una doppia attribuzione dell'incarico: i condomini, attraverso la delibera di nomina, assegnano l'incarico alla società, la quale esercita l'attività di amministrazione attraverso la coordinazione delle persone fisiche, a loro volta professioniste che operano nell'ambito del condominio.
Ad ogni buon conto, il soggetto legittimato a conferire una procura alle liti non può che rinvenirsi nel legale rappresentante della società di amministrazione, nominata dal condominio, non certo quale persona fisica ma in qualità di legale rappresentante pro tempore della società medesima, indipendentemente dalla circostanza che sia proprio questa persona che attenda, personalmente, all'attività gestoria del condominio.
Nel caso di specie, non essendo stato sanato il lamentato della carenza di legittimazione attiva nella prima difesa utile del condominio all'eccezione ex adverso sollevata, con una coerente quanto lapidaria esposizione, il Tribunale di Venezia ha ritenuto inammissibili le domande formulate dall'attore per difetto di legittimazione attiva.
Sul punto, sia di insegnamento la pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 4 marzo 2016, n. 4248), che ha affermato che “il difetto di rappresentanza o autorizzazione può essere sanato ex art. 182 c.p.c. (come nella specie) in sede di legittimità, dando prova della sussistenza del potere rappresentativo o del rilascio dell'autorizzazione, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., sempre che il rilievo del vizio nel giudizio di cassazione sia officioso, e non provenga dalla controparte, come invece appunto qui fatto dal controricorrente, giacché, in tal caso, l'onere di sanatoria sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine da parte del giudice (a meno che lo stesso non sia motivatamente richiesto, il che neppure risulta avvenuto, nella specie), in quanto sul rilievo di parte l'avversario è chiamato prima ancora a contraddire” (v. già Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2011, n. 2179).
Viene ancora richiamato il principio secondo il quale, “in tema di rappresentanza processuale, qualora una parte sollevi tempestivamente l'eccezione di difetto di rappresentanza, sostanziale o processuale, ovvero un vizio della procura ad litem, è onere della controparte interessata produrre immediatamente, con la prima difesa utile, la documentazione necessaria a sanare il difetto o il vizio, senza che operi il meccanismo di assegnazione del termine ai sensi dell' art. 182 c.p.c. , prescritto solo in caso di rilievo officioso” (Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2012, n. 29244).
Ne consegue che, in assenza di un'immediata reazione all'eccezione, la nullità della procura diventa insanabile e la concessione del termine perentorio di cui all'art. 182 c.p.c. per sanare il difetto di procura alle liti è applicabile solo nel caso in cui lo stesso venga sollevato d'ufficio dal giudice.