Cessione intracomunitaria: l'onere della prova del trasporto merci all'estero spetta al cedente
16 Marzo 2023
Massima
In tema di cessioni intracomunitarie, inoltre, in mancanza dei modelli Intrastat o in caso di mancata sottoscrizione delle lettere di vettura da parte dei cessionari, spetta al contribuente fornire la prova dell'effettivo invio delle merci in altro Stato comunitario. Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza 3565 del 6 febbraio 2023, con cui ha rigettato il ricorso della contribuente. Il caso
Confermata la pronuncia del giudice di appello che aveva ritenuto legittimo l'accertamento dell'Agenzia delle entrate innanzitutto con riguardo all'indeducibilità dei costi per la genericità dell'indicazione della causale dei costi riportati nelle fatture. Infatti, era impossibile individuare con esattezza le relative prestazioni, attesa la generica dizione «addebito spese per servizi vari» riportata nelle fatture. Invero i giudici di primo grado avevano esaminato il contratto di locazione stipulata dalla ricorrente con la società proprietaria e locatrice del capannone industriale, il quale prevede l'addebito dei consumi relativi ad energia, gas, acqua e utenze telefoniche alla società ricorrente, fino a quando quest'ultima non avesse provveduto a volturare a proprio nome tutte le utenze. Tuttavia, la generica descrizione del servizio reso riportata nella fattura è idonea a legittimare l'accertamento del fisco (cfr. Cass. 9912/2020 e 29290/2018). Le questioni
La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la deducibilità del costo in caso di fattura con indicazioni generiche e gli elementi per dimostrare la natura intracomunitaria della cessione in caso di contestazione da parte dell'Agenzia delle entrate. Le soluzioni giuridiche
Con riguardo, poi, all'omessa applicazione dell'Iva alle operazioni commerciali, per la mancata dimostrazione del carattere intracomunitario delle stesse, attesa la carenza dei modelli Intrastat, dei codici fiscali identificativi (Iso), della sottoscrizione dei cessionari della merce e delle lettere di vettura, la società ricorrente deduceva di avere assolto il proprio onere probatorio in ordine alle cessioni all'estero, sia attraverso l'emissione di fatture relative ad addebiti di spese e servizi inerenti alla propria attività d'impresa, sia mediante la produzione di copie di lettere di vettura allegate alle stesse.
Tuttavia, i risultati delle verifiche, descritti nel pvc richiamato nell'accertamento e prodotto nel giudizio in primo grado, evidenziano, in primo luogo, che la società, per tutte le cessioni intracomunitarie indicate in fattura, aveva omesso la presentazione dei modelli Intrastat, aveva indicato erroneamente i numeri di identificazione dei cessionari Ue per alcuni clienti, non aveva fornito alcun documento che comprovasse l'effettiva uscita dei beni dal territorio nazionale per tutte le fatture, esibendo esclusivamente fotocopie di lettere di vettura, in cui era riportato il nominativo del trasportatore, senza alcuna indicazione del codice identificativo fiscale dello stesso, né tale società di trasporto risultava essere residente in Italia con la suddetta denominazione.
In presenza della disciplina che prevede in via ordinaria l'assoggettamento a Iva delle cessioni, incombe sul soggetto che intende fruire del regime di non imponibilità, previsto per la cessione intracomunitaria, la prova della sussistenza dei requisiti, sebbene non siano stati osservati gli obblighi formali relativi alle dichiarazioni Intrastat ed alle indicazioni del codice Iso. In assenza di tali adempimenti, legittimamente l'ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell'Iva, restando onere del contribuente provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr. Cass. 10355/2022 e 15871/2016).
Osservazioni
In tema di imposte sui redditi, l'irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed in particolare la sua estrema genericità (nel caso di specie “Fattura per lavori di muratura) fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo e alla detrazione dell'Iva, per cui l'Amministrazione finanziaria può contestare l'effettività delle operazioni ad essa sottese (cfr. Cass. 9912/2020). Nella pronuncia da ultimo indicata la Cassazione ha precisato che la fattura che faccia riferimento contenutisticamente vago e cronologicamente indefinito, a non meglio identificati lavori - nella specie di muratura – eseguiti presso un cantiere si palesa irregolare, in quanto non consente d'identificare l'oggetto della prestazione, di cui deve indicare natura, qualità e quantità, e non risponde alle finalità di trasparenza e conoscibilità di cui all'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, funzionali alle attività di controllo e verifica dell'amministrazione finanziaria. Ne discende l'inidoneità del documento in parola a fondare la presunzione di veridicità di quanto rappresentato e a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione dei costi riportati e alla detrazione dell'Iva (cfr. Cass. 21980/2015, 29290/2018). Nel caso di specie le fatture per cui è stato confermato il difetto del requisito dell'inerenza riportavano la seguente dicitura: “Fatture per lavori di muratura eseguiti presso vs. cantiere”). Sul punto, a favore del contribuente, si ricorda un recente arresto (cfr. 1468/2020) con cui la Cassazione ha stabilito che è legittima la deduzione del costo e la detrazione dell'iva anche in caso di fatture generiche purché sorrette da altri riscontri come i sottostanti contratti. Infatti, l'Amministrazione finanziaria non si può limitare all'esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d'altronde, dall'art. 219 della direttiva 2006/112/CE, che assimila alla fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale, incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell'Iva l'onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l'amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere o no la detrazione richiesta (cfr. Cass. 13882/2018). Quanto alle cessioni intracomunitarie, introdotte dal d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, allo scopo di evitare doppie imposizioni e affinché l'imposta fosse pagata nello Stato della Comunità europea nell'ambito del quale il bene è destinato al consumo, la non imponibilità dell'operazione ai sensi dell'art. 41 non è condizionata all'indicazione in fattura del codice identificativo del cessionario estero (cfr. Cass. 20575/2011). Atteso che la legge si limita a prescrivere, per il non assoggettamento a imposta sul territorio italiano, che il detto cessionario estero intracomunitario abbia trasmesso al cedente il proprio numero di partita Iva, e cioè che quello si identifichi come soggetto passivo del tributo nel proprio Stato di residenza (art. 50, comma 1). Va pertanto esclusa l'imponibilità delle operazioni di cessione per il solo fatto che la società cedente abbia omesso di indicare in fattura il codice identificativo del cessionario estero intracomunitario, perché una siffatta sanzione si pone in contrasto sia con gli artt. 41, comma 1, lettera a), e 50, comma 1, della legge, che una esplicita comminatoria in tal senso non contengono, sia con i principi del diritto comunitario, secondo i quali non può la medesima operazione essere assoggettata a imposizione tanto nel paese di origine dei beni che in quello di destinazione degli stessi, con un'inammissibile duplicazione d'imposta. Insomma, nel caso di cessioni intracomunitarie l'omessa o erronea indicazione del codice identificativo del cessionario non può essere una ragione che tolga la possibilità di applicazione del regime di non imponibilità, “non essendo requisito sostanziale, che è invece costituito dall'effettività dell'operazione, intesa come fuoriuscita della merce dall'Italia” (cfr. Cass. 15871/2016). In generale, comunque, l'onere di provare l'esistenza dei presupposti della deroga al regime della territorialità IVA è a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è sempre a carico di chi invoca detta deroga (cfr. Cass. 10355/2022).
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