In tema di imposte sui redditi, l'irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed in particolare la sua estrema genericità (nel caso di specie “Fattura per lavori di muratura) fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo e alla detrazione dell'Iva, per cui l'Amministrazione finanziaria può contestare l'effettività delle operazioni ad essa sottese (cfr. Cass. 9912/2020).
Nella pronuncia da ultimo indicata la Cassazione ha precisato che la fattura che faccia riferimento contenutisticamente vago e cronologicamente indefinito, a non meglio identificati lavori - nella specie di muratura – eseguiti presso un cantiere si palesa irregolare, in quanto non consente d'identificare l'oggetto della prestazione, di cui deve indicare natura, qualità e quantità, e non risponde alle finalità di trasparenza e conoscibilità di cui all'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, funzionali alle attività di controllo e verifica dell'amministrazione finanziaria. Ne discende l'inidoneità del documento in parola a fondare la presunzione di veridicità di quanto rappresentato e a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione dei costi riportati e alla detrazione dell'Iva (cfr. Cass. 21980/2015, 29290/2018).
Nel caso di specie le fatture per cui è stato confermato il difetto del requisito dell'inerenza riportavano la seguente dicitura: “Fatture per lavori di muratura eseguiti presso vs. cantiere”).
Sul punto, a favore del contribuente, si ricorda un recente arresto (cfr. 1468/2020) con cui la Cassazione ha stabilito che è legittima la deduzione del costo e la detrazione dell'iva anche in caso di fatture generiche purché sorrette da altri riscontri come i sottostanti contratti.
Infatti, l'Amministrazione finanziaria non si può limitare all'esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d'altronde, dall'art. 219 della direttiva 2006/112/CE, che assimila alla fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale, incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell'Iva l'onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l'amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere o no la detrazione richiesta (cfr. Cass. 13882/2018).
Quanto alle cessioni intracomunitarie, introdotte dal d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, allo scopo di evitare doppie imposizioni e affinché l'imposta fosse pagata nello Stato della Comunità europea nell'ambito del quale il bene è destinato al consumo, la non imponibilità dell'operazione ai sensi dell'art. 41 non è condizionata all'indicazione in fattura del codice identificativo del cessionario estero (cfr. Cass. 20575/2011). Atteso che la legge si limita a prescrivere, per il non assoggettamento a imposta sul territorio italiano, che il detto cessionario estero intracomunitario abbia trasmesso al cedente il proprio numero di partita Iva, e cioè che quello si identifichi come soggetto passivo del tributo nel proprio Stato di residenza (art. 50, comma 1).
Va pertanto esclusa l'imponibilità delle operazioni di cessione per il solo fatto che la società cedente abbia omesso di indicare in fattura il codice identificativo del cessionario estero intracomunitario, perché una siffatta sanzione si pone in contrasto sia con gli artt. 41, comma 1, lettera a), e 50, comma 1, della legge, che una esplicita comminatoria in tal senso non contengono, sia con i principi del diritto comunitario, secondo i quali non può la medesima operazione essere assoggettata a imposizione tanto nel paese di origine dei beni che in quello di destinazione degli stessi, con un'inammissibile duplicazione d'imposta.
Insomma, nel caso di cessioni intracomunitarie l'omessa o erronea indicazione del codice identificativo del cessionario non può essere una ragione che tolga la possibilità di applicazione del regime di non imponibilità, “non essendo requisito sostanziale, che è invece costituito dall'effettività dell'operazione, intesa come fuoriuscita della merce dall'Italia” (cfr. Cass. 15871/2016).
In generale, comunque, l'onere di provare l'esistenza dei presupposti della deroga al regime della territorialità IVA è a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è sempre a carico di chi invoca detta deroga (cfr. Cass. 10355/2022).