Il caso concreto affrontato dagli ermellini registrava, però, un'altra peculiarità, che poteva mettere in dubbio l'esistenza stessa del diritto, azionato dal condomino attore, a percepire l'indennità di sopraelevazione, atteso che il convenuto poteva vantare un titolo di acquisto, datato 1922, che lo esonerava dal pagamento di tale indennità, peraltro in linea con il vecchio testo dell'art. 564 del codice civile del 1865.
Nello specifico, il ricorrente sosteneva che aveva acquisito un diritto all'esonero dall'indennità di sopraelevazione, che sarebbe transitato dal vecchio al nuovo diritto attraverso il veicolo della catena degli atti di acquisto; ciò perché - invocando, peraltro, Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 1975, n. 4192 - il diritto di sopraelevazione attribuito al proprietario dell'ultimo piano dal citato l'art. 564 c.c. abrogato era intrinsecamente diverso dal diritto di sopraelevazione assicurato al medesimo dall'art. 1127 c.c. vigente.
Contrariamente a quest'ultimo, esso era condizionato al consenso degli altri condomini e presupponeva necessariamente il trasferimento, da parte di costoro, del diritto di sfruttare l'intera potenzialità del suolo di essere gravato di ulteriori edificazioni (in particolare, entro lo spazio aereo soprastante l'edificio), conseguendone che il proprietario dell'ultimo piano, il quale, sotto il codice civile abrogato, avesse ottenuto dagli altri condomini dello stabile (o dall'originario proprietario esclusivo di questo), il permesso di edificare - come nel caso di specie, avendo il condomino ottenuto, in forza della catena degli atti di provenienza, “tutti i diritti spettanti al venditore sull'immobile venduto” - non era tenuto a pagare loro l'indennità prevista, per la prima volta, dall'art 1127 c.c., ove avesse sopraelevato dopo l'entrata in vigore del nuovo codice civile.
Infatti - secondo la tesi del ricorrente - al momento dell'esercizio del suo diritto di edificare già disponeva, nel suo patrimonio, della facoltà di sfruttare la residua edificabilità del suolo comune, la cui attuale appartenenza a tutti i condomini era, invece, il necessario presupposto dell'obbligo del pagamento della suddetta indennità.
L'argomento defensionale, “ancorché proposto con notevole sagacia e abilità”, non ha convinto la Suprema Corte, e, anzi, il richiamo al lontano precedente del 1975 ha rivelato il suo punto debole, anziché conferirgli forza persuasiva, ossia l'idea che il principio dell'irretroattività della legge, così come codificato dall'art. 11 delle preleggi, coincida con il principio del rispetto dei diritti quesiti.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha accolto compattamente ormai da molti decenni - salvo episodiche deviazioni - la teoria contrapposta a quella che predica la protezione dei diritti acquisiti, ossia la concezione del “fatto compiuto” (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2022, n. 12196).
Il rispetto dei diritti quesiti implica logicamente l'ultrattività delle vecchie norme - come, infatti, pretende la parte ricorrente, con notevole coerenza, evocando la violazione dell'art. 564 del codice civile abrogato - ma ciò non è conciliabile con il principio dell'efficacia immediata delle norme.
Quando l'art. 11 delle preleggi prescrive che la legge non dispone che per l'avvenire, prescrive, per l'appunto, che la nuova legge può disporre degli effetti giuridici che rinvengono la loro fonte in un “fatto generatore” del passato, ma che si producono o continuano a prodursi nel presente.
In via di approssimazione, l'intento della teoria del fatto compiuto è di sottolineare che solo “il fatto compiuto”, ossia il fatto che ha completato il suo ciclo di vita giuridico entro il tempo del diritto anteriore, che ha cioè compiutamente esaurito i suoi effetti giuridici (costitutivi, impeditivi, modificativi, estintivi), rimane al riparo dallo ius superveniens.
Tuttavia, esistono, e sono la maggior parte, le situazioni giuridiche pendenti, nate sotto il vigore del vecchio diritto, che sono in corso di svolgimento al momento dell'entrata in vigore delle nuove norme, e tale è la situazione sottesa al caso di specie, se si accoglie la prospettazione della parte ricorrente sulla durevole esenzione dall'obbligo di pagare l'indennità di sopraelevazione.
Tali situazioni rientrano nel dominio del nuovo diritto per quanto attiene alla disciplina del tratto di situazione, e quindi degli interessi inerenti a quest'ultima, che si svolge sotto il vigore di quest'ultimo; in tal caso, non sussiste retroattività “quando la nuova norma disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore (previsti e considerati nel quadro di una diversa normazione), siano distinti ontologicamente e funzionalmente (indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto generatore), in quanto suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l'esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina: il che si verifica mediante la sopravvenuta introduzione di nuovi presupposti, condizioni e facoltà per il riconoscimento di diritti e obblighi inerenti al pregresso fatto generatore, ovvero mediante la sopravvenuta soppressione o limitazione dei presupposti, condizioni e facoltà per il riconoscimento suddetto, se ancora non avvenuto definitivamente”.
Nel caso di specie, si trattava della disciplina degli effetti della sopraelevazione intrapresa sotto il vigore dell'art. 1127 c.c., per cui, dalla teoria del fatto compiuto, discende pianamente che l'obbligo di corrispondere l'indennità di sopraelevazione si applica indistintamente a tutte le sopraelevazioni successive all'entrata in vigore del codice civile del 1942, poiché il nuovo diritto disciplina queste ultime in sé e per sé considerate, indipendentemente da ciò che dispongano o non dispongano gli “atti di provenienza” anteriori.