Opere del condomino lesive del decoro e regolamento che subordina l'iniziativa del singolo al nulla osta dell'assemblea
20 Marzo 2023
Massima
Quando una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, obblighi i condomini a richiedere il parere vincolante dell'assemblea, per l'esecuzione di opere che possano pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio, la delibera che neghi al singolo partecipante il consenso all'intervento progettato, ritenendo lo stesso lesivo dell'estetica del complesso, può essere oggetto del sindacato dell'autorità giudiziaria, agli effetti dell'art. 1137 c.c., soltanto al fine di accertare la situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento il presupposto indefettibile per controllare la legittimità della delibera.
Il caso
La causa, posta all'esame del Supremo Collegio, originava da un'impugnazione, proposta da un condomino ai sensi dell'art. 1137 c.c., nei confronti di una delibera, nella parte in cui gli aveva negato la possibilità di un ampliamento della sua unità immobiliare - con la seguente motivazione: “l'assemblea a maggioranza non approva il nuovo ampliamento ritenendolo troppo invasivo per l'estetica e l'unità del complesso” - senza sollevare alcuna contestazione in merito alla mancata allegazione dei progetti presentati al Comune per ottenere l'autorizzazione amministrativa in sanatoria. Il Tribunale aveva accolto la domanda del condomino impugnante, e dello stesso parere era stata la Corte d'Appello, la quale aveva negato che il giudice di prime cure avesse espresso un giudizio di opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'assemblea, avendo esso piuttosto esercitato un controllo di legittimità legato al vizio ed alla mancanza di motivazione del diniego. Quanto alla portata dell'articolo del regolamento condominiale - che maggiormente rileva in questa sede - il quale prevedeva che “i condomini si obbligano reciprocamente a richiedere il parere vincolante della assemblea per i lavori da svolgere nelle parti private che riguardano la facciata dell'edificio e le parti esterne che concorrono all'estetica ed al decoro dell'intero immobile”, il giudice distrettuale aveva affermato che, in tale clausola, non era previsto alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell'art. 1122 c.c., né tantomeno era sancito pattiziamente un divieto di eseguire sulle parti private una qualsiasi opera modificativa, ma veniva solamente imposto un onere di informativa preventiva degli interventi all'assemblea, il cui parere vincolante non poteva risolversi in una compressione del diritto di proprietà dei singoli basato esclusivamente su una mera valutazione di gradimento personale, senza alcuna espressa motivazione dalla quale si poteva desumere quale fosse la ritenuta lesione al decoro architettonico vietata ai sensi di legge, non potendo pertanto soddisfare tale requisito l'espressione generica e di stile utilizzata a corredo del diniego formulato dall'assemblea. Il Condominio soccombente aveva, quindi, proposto ricorso per cassazione. La questione
Si trattava di verificare se la Corte territoriale avesse violato o meno l'art. 1362 c.c. nell'interpretazione della clausola contrattuale di cui sopra, in riferimento all'art. 1122 c.c. e, in particolare, avesse stravolto il significato letterale delle due disposizioni, laddove aveva affermato che, nel regolamento, non era previsto alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell'art. 1122 c.c. e che l'articolo del medesimo regolamento prevedeva solo un obbligo di informativa preventiva degli interventi alla assemblea. Si trattava, altresì, di verificare se la stessa Corte avesse violato o meno gli artt. 1322 e 1372 c.c., laddove aveva negato efficacia al patto con il quale i condomini avevano attribuito all'assemblea il potere di manifestare un parere vincolante sulle opere private che concorrevano all'estetica, violando con ciò il principio di libera autonomia e di efficacia del patto avente forza di legge tra le parti. Le soluzioni giuridiche
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondate le doglianze del Condominio ricorrente. Invero, il giudice distrettuale aveva errato nell'affermare che la norma del regolamento condominiale - il quale prevedeva che “i condomini si obbligano reciprocamente a richiedere il parere vincolante della assemblea per i lavori da svolgere nelle parti private che riguardano la facciata dell'edificio e le parti esterne che concorrono all'estetica ed al decoro dell'intero immobile” - non configurasse “alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell'art. 1122 c.c.”, né tantomeno sancisse “pattiziamente un divieto di eseguire sulle parti private una qualsiasi opera modificativa”, venendo con esso “solamente imposto un onere di informativa preventiva degli interventi all'assemblea il cui parere vincolante non può risolversi in una compressione del diritto di proprietà dei singoli basato esclusivamente su una mera valutazione di gradimento personale senza alcuna espressa motivazione dalla quale si possa desumere quale sia la ritenuta lesione al decoro architettonico vietata ai sensi di legge”, né potendo pertanto “soddisfare tale requisito l'espressione generica e di stile utilizzata a corredo del diniego formulato dall'assemblea”. In tal modo - ad avviso degli ermellini - i giudici del merito non aveva fatto corretto uso dell'art. 1362 c.c., che nel comma 1, pur prescrivendo all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto, ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2019, n. 21576; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10290). Il senso letterale delle parole contenute nella clausola del regolamento di cui sopra subordina, per forza di contratto, la legittima esecuzione individuale di opere che incidano sulla facciata o, comunque, sull'aspetto esteriore del fabbricato e, quindi, sul suo decoro architettonico, al “parere vincolante della assemblea”, parere che, quindi, obbliga ciascuno condomino, oltre che alla relativa richiesta, ad uniformarsi al suo contenuto. Pertanto - secondo i magistrati del Palazzaccio - non è ex se contraria a legge, né al regolamento, ed in particolare al menzionato articolo del regolamento, agli effetti dell'art. 1137 c.c., la delibera impugnata, che rigettava la richiesta del condomino di eseguire “il nuovo ampliamento ritenendolo troppo invasivo per l'estetica e l'unità del complesso”. A differenza di quanto sostenuto dalla gravata sentenza, l'assemblea ha esercitato la prerogativa, attribuitale dalla convenzione adottata in sede di regolamento, di esprimere il consenso alle opere eseguite dai singoli condomini riguardanti la facciata e le superfici esterne, a salvaguardia del decoro architettonico. Peraltro, le delibere dell'assemblea condominiale aventi contenuto negativo sono legittimamente impugnabili dinanzi all'autorità giudiziaria al pari di tutte le altre, limitandosi l'art. 1137 c.c. a stabilire la possibilità del ricorso all'autorità giudiziaria contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, senza operare nessuna distinzione tra quelle che abbiano approvato proposte o richieste e quelle che le abbiano, invece, respinte (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2021, n. 2127; Cass. civ., sez. VI/II, 23 luglio 2020, n. 15697; Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1999, n. 313). Avendosi riguardo ad un'azione di impugnazione di delibera dell'assemblea condominio, ai sensi dell'art.1137 c.c., la quale, avvalendosi di clausola di natura contrattuale inserita nel regolamento di condominio, ha rigettato la richiesta di un condomino di eseguire opere di ampliamento della sua unità immobiliare, giacché arrecanti pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio, occorre altresì considerare che l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (argomentando da Cass. civ., sez. I, 10 novembre 2005, n. 21831). Osservazioni
La sentenza in commento, perimetrando i limiti del sindacato giudiziale riguardo ad una delibera che negava l'esecuzione di lavori da parte del singolo, in ossequio ad una clausola del regolamento che subordinava iniziative edificatorie al previo parere vincolante dell'assemblea, ha avuto moto di riepilogare i principi espressi dalla giurisprudenza di vertice in materia di uso delle cose comuni e di opere realizzate all'interno dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva. Al riguardo, si è ripetutamente affermato che le modifiche alle parti comuni dell'edificio, previste dall'art. 1102 c.c., che possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso, non richiedono alcuna preventiva autorizzazione dell'assemblea, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell'interesse comune mediante esercizio dell'autonomia privata (v., per tutte, Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1997, n. 4509). In quest'ottica, all'eventuale autorizzazione ad apportare tali modifiche, concessa o negata dall'assemblea, in difetto di apposito vincolo contrattuale a premunirsene, deve attribuirsi, quindi, il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554). Pertanto, il condomino che intenda procedere ad una modificazione delle parti comuni, in assenza di obbligo di preventiva autorizzazione assembleare imposto per contratto, non ha neppure interesse ad agire per l'impugnazione della delibera dell'assemblea che abbia espresso eventualmente un parere contrario all'intervento, non generando la stessa alcun concreto pregiudizio ai suoi diritti, tale da legittimare la pretesa ad un diverso contenuto dell'assetto organizzativo della materia regolata dalla maggioranza assembleare. A sua volta, l'art. 1122 c.c., sia nella formulazione previgente sia nella formulazione conseguente alla novella di cui alla l. n. 220/2012, fa divieto al singolo condomino di eseguire, nell'unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, opere che rechino danno alle parti comuni, oppure che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico. In particolare, l'attuale versione dell'art. 1122, comma 2, c.c., dispone che il condomino che intenda procedere ad opere su parti di sua proprietà ne dia preventiva notizia all'amministratore, il quale possa così riferirne in assemblea perché siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l'integrità delle cose comuni (e non, dunque, perché tali opere siano doverosamente “autorizzate” dagli altri partecipanti). Diverso è il caso in cui una convenzione adottata in sede di regolamento di condominio imponga il consenso dell'assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli condomini che possa modificare le parti comuni dell'edificio; la giurisprudenza di legittimità riconosce, infatti, all'autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell'interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà. Inoltre, il regolamento può validamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dagli artt. 1120 e 1122 c.c. e supposta dal medesimo art.1102 c.c., arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica ed all'aspetto generale dell'edificio; oppure richiedere, per le modifiche incidenti sulle facciate dell'edificio o su altre superfici che concorrano a delineare il medesimo decoro, il benestare dell'assemblea, predisponendo una disciplina di fonte convenzionale, che pone nell'interesse comune una peculiare modalità di definizione dell'indice del decoro architettonico. Ne consegue che i singoli condomini non possono sottarsi all'obbligo, di carattere negoziale, derivante dalle disposizioni del regolamento che impongono di richiedere la preventiva autorizzazione dell'assemblea per eseguire qualsiasi lavoro sulle cose comuni o sulle parti esclusive (v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. VI/II, 8 aprile 2022, n. 11502; Cass. civ., sez. II, 8 luglio 2021, n. 19435; Cass. civ., sez. VI/II, 16 febbraio 2021, n. 4024; Cass. civ., sez. VI/II, 18 novembre 2019, n. 29924; Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2017, n. 30528; Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 1748). Per completezza sul versante processuale, va aggiunto che le modificazioni apportate da uno dei condomini, in violazione del divieto previsto dal regolamento di condominio, connotano tali opere come abusive e pregiudizievoli e configurano l'interesse degli altri partecipanti al condominio ad agire a tutela della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1988, n. 3927; Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175). Riferimenti
Bordollli, Opere per eliminare le barriere architettoniche in condominio e divieti del regolamento, in Immob. & proprietà, 2018, 18; Monegat, Divieti del regolamento: la diversa destinazione d'uso di singole unità immobiliari prescinde dalle autorizzazioni amministrative, in Immob. & proprietà, 2017, 186; Gallucci, Regolamento di condominio e opere strutturali: per la violazione di norme procedimentali si può chiedere soltanto il risarcimento del danno, in Dirittoegiustizia.it, 2010; Carcavallo, Brevi riflessioni sui vincoli di destinazione imposti in un regolamento contrattuale di condominio, sulle clausole limitative dei diritti dominicali e sull'autonomia privata, in Corti salernitane, 2007, 453; Sicignano, Brevi note sui vincoli di destinazione nel regolamento di condominio, in Riv. notar., 2006, 479; Olivo, Vincoli di destinazione e regolamento condominiale contrattuale, in Giust. civ., 1997, I, 2186; Cappabianca, Regolamento di condominio e vincoli di destinazione degli immobili di proprietà esclusiva, in Corr. giur., 1995, 615. |