Le contestazioni in tema di esterovestizione dovrebbero essere basate sull'abuso del diritto
22 Marzo 2023
Massima
Tale principio, però, non è condiviso da altra giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la verifica dell'estroverstizione si deve basare sui criteri previsti dall'art. 73, del TUIR, a prescindere dall'accertamento di un'eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe. Il caso
Ad una società di diritto estero era stato contestato che il luogo di svolgimento dell'oggetto principale e la sede amministrativa fossero in Italia, basando tale convincimento sulla artificiosità della relativa costituzione all'estero al solo scopo di trarre vantaggio fiscale dalla legislazione del paese in cui la sede era stata così fissata.
Inoltre, erano stati rinvenuti corrispondenza, dati estratti dal "computer" dell'impresa, elaborati excel, che dimostravano un'assenza di elementi che indicavano l'autonomia dell'impresa residente all'estero.
La Suprema Corte ha accolto la tesi erariale, sostenendo che era stato dimostrato che lo svolgimento dell'attività era in Italia e non all'estero e che la sede era stata localizzata nel Pease estero solo per ottenere benefici fiscali.
Prima di procedere ad esaminare le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha accolto le eccezioni erariali, si ritiene opportuno soffermarsi in merito alla definizione di esterovestizione la questione
Con la sentenza del 17 febbraio 2023, n. 5075, la Corte di Cassazione si è espressa in merito ad una contestazione di esterovestizione a carico di una società residente nella repubblica slovacca. La soluzione giuridica
Ai sensi dell' art. 73, comma 3, del d.P.R. 917/1986 (di seguito ancheTUIR ), prevede che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti (in Italia) le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato”.
Tuttavia il D.L. 223/2006 ha introdotto, ai commi 5-bis e 5-ter dell'art. 73 del TUIR una presunzione legale di residenza nel territorio dello Stato in capo alle società estere che detengano direttamente partecipazioni di controllo di diritto e di fatto in società di capitali ed enti commerciali italiani se, alternativamente:
La presunzione relativa in tema di esterovestizione di cui all' art. 73 co. 5-bis del TUIR non si applica nel caso in cui la società estera non detenga partecipazioni di controllo in società ed enti residenti in Italia (risposta a interpello Agenzia delle Entrate 17.1.2022 n. 27).
Con la risposta a interpello 26 gennaio 2023 n. 164, l'Agenzia delle Entrate ha ribadito che la presunzione di residenza in Italia di una società estera prevista dall' art. 73 co. 5-bis del TUIR non opera ove questa società non detenga, a sua volta, partecipazioni di controllo in società italiane.
Per quanto riguarda le persone giuridiche sono previsti tre criteri per individuare la residenza fiscale:
I criteri sopra individuati operano alternativamente e non è previsto alcun criterio di prevalenza, per cui può esservi la possibilità che un soggetto risulti residente in più Stati, venendosi a creare i c.d. “conflitti di residenza” tra diversi Stati, nel qual caso soccorrono le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, ed in particolare alle cosiddette “tie breaker rule” (art. 4, par. 2 e 3, del Modello OCSE), che per le società prevedono il criterio della sede effettiva.
Al verificarsi di uno solo di questi elementi, il soggetto è considerato fiscalmente residente in Italia e, quindi, soggetto alla potestà impositiva dello Stato per tutti i redditi ovunque prodotti (Cfr. Cass., sez. III pen., 23 febbraio 2012, n. 7080 , dove viene precisato che: “I criteri indicati nell'art. 73 sono collegati da una “o” disgiuntiva, di conseguenza la sussistenza di uno solo di essi può permettere di individuare la residenza fiscale della società in Italia”).
Per quanto riguarda la sede legale, questo è requisito di carattere formale e può essere identificata concretamente con la sede sociale indicata nell'atto costitutivo (cfr. Guardia di Finanza – circolare n. 1/2018 (paragrafo 4) Come rilevato nella citata circolare, “non è pertanto rilevante che la società sia stata costituita (ed abbia la sede legale) all'estero, se la stessa ha nel territorio dello Stato la sede amministrativa o l'oggetto principale, potendosi, dunque, verificare il caso di società formalmente estere, ma fiscalmente residenti in Italia”.
In merito, invece, all'individuazione dell'oggetto sociale, si deve fare riferimento al comma 4, dell' art. 73 del TUIR , rileva l'attività posta in essere per soddisfare lo scopo sociale. Si noti che tale accezione coincide con quella rinvenibile sul piano civilistico; infatti, nell'art. 2328, comma 2, n. 3, per le società per azioni, e nell'art. 2463 c.c. , per le società a responsabilità limitata, è previsto l'obbligo di indicare nell'atto costitutivo “l'attività che costituisce l'oggetto sociale”. Infatti, sempre in ambito civilistico, l'art. 2380-bis c.c. prevede che “La gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale”.
In detti casi, occorrerà individuare su quale territorio l'impresa ha localizzato il proprio “core business”, ovvero la principale attività commerciale, industriale e amministrativa, tenendo presente che tale luogo non coincide necessariamente con quello in cui si trovano i beni principali posseduti dalla persona giuridica, dovendosi piuttosto fare riferimento “alle caratteristiche dell'attività svolta e alla natura dei beni posseduti, al fine di verificare se il loro utilizzo, ai fini dello svolgimento dell'attività dell'ente, richieda o meno una presenza in loco.” (Cfr. circ. Assonime 31 ottobre 2007, n. 67).
Relativamente alla sede dell'amministrazione, questo risulta essere il criterio fondamentale per determinare la residenza fiscale di una società o ente, anche in considerazione della sua valenza internazionale come criterio convenzionale previsto dal Modello OCSE per risolvere i conflitti di residenza (c.d. tie-break rule).
Con specifico riferimento a soggetti non residenti che operano nel territorio dello Stato, l'Amministrazione finanziaria ha specificato che gli elementi di collegamento al territorio dello Stato italiano della legal entity estera, “devono essere valutati in base ad elementi di effettività sostanziale e richiedono - talora - complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o dell'ente con un determinato territorio.” (Cfr. circ. n. 28/E/2006).
Ecco che la sede dell'amministrazione è intesa come sede di direzione effettiva, ossia luogo in cui si svolge concretamente l'attività di amministrazione, gestione e coordinamento dei fattori produttivi aziendali. Infatti, l'Agenzia delle entrate, ribadendo quanto sostenuto in ambito internazionale nelle Osservazioni contenute nel Commentario all'articolo 4 del Modello OCSE, ha precisato che la sede di direzione effettiva di un ente “debba definirsi non soltanto come il luogo di svolgimento della sua prevalente attività direttiva e amministrativa, ma anche come il luogo ove è esercitata l'attività principale” (Cfr. circ. n. 28/E/2006).
La stessa Guardia di Finanza ha precisato che la sede dell'amministrazione, da contrapporsi alla nozione di sede legale della società, coincide con la nozione civilistica di sede effettiva, ossia deve essere intesa come il luogo in cui concretamente vengono svolte le attività di carattere amministrativo e di direzione dell'ente (Cfr. Guardia di Finanza – circolare n. 1/2018). A tal proposito, nel citato documento è stato precisato che “la determinazione del luogo della sede dell'attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, tra i quali la sede statutaria, il luogo dell'amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale della società; possono pure essere presi in considerazione altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e lo svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie”.
Quindi la sede legale costituita all'estero non assume rilevanza qualora, da un esame della situazione sostanziale ed effettiva dell'impresa sotto il profilo gestionale della stessa, emerga che gli impulsi decisionali, le strategie aziendali, la direzione e il coordinamento sono esercitati sul territorio italiano (Protocollo del Ministero dell'economia e delle finanze 12 aprile 2010, n. 3-3873).
In giurisprudenza si riscontra un sostanziale allineamento nell'individuare la sede effettiva dell'amministrazione delle persone giuridiche nel “luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività dell'ente.” (Cfr. Cass. 16 giugno 1984, n. 3604).
Ancora, secondo la Corte di Cassazione “la sede di direzione effettiva non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della persona giuridica, ma si identifica con il luogo dove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa dell'impresa.” (Cfr. Cass. n. 3910/1988).
Conseguentemente, la sede di direzione effettiva non può coincidere semplicemente con il luogo in cui si trovano i beni della società, i suoi stabilimenti e dove si svolge l'attività produttiva, ma deve essere individuata nel luogo “in cui abbiano effettivo svolgimento anche l'attività amministrativa e direzionale, ove cioè risieda il suo legale rappresentante, i suoi amministratori e dove sono convocate le assemblee societarie” (Cfr. Cass. n. 3028/1972). La posizione in questione è stata confermata da Cass., sez. III pen., 24 luglio 2013, n. 32091, in cui la Corte ha attribuito prevalenza, ai fini della verifica dell'esterovestizione della società, all'accertamento in Italia del luogo dove venivano prese le decisioni strategiche, industriali e finanziarie della società rispetto al luogo dove effettivamente era presente l'insediamento produttivo. Tale impostazione è poi stata ulteriormente assunta da Cass., sez. III pen., 30 settembre 2014, n. 40327.
La sede dell'amministrazione potrà, pertanto, essere concretamente individuata nell'effettivo luogo in cui il consiglio di amministrazione o l'organo gestorio si riunisce e delibera, oppure, nei casi di delega, nel luogo in cui la delega viene materialmente adempiuta, sempre che non si rilevi una mera ripetizione non autonoma delle decisioni già prese in sede di consiglio; in una visione sostanzialistica del criterio potrà essere valorizzato altresì il luogo in cui viene convocata l'assemblea dei soci, purché sia dimostrabile che questi detengono nel concreto l'effettivo potere gestorio, o, addirittura, nel luogo di residenza di un socio nell'ipotesi in cui il suo grado di ingerenza nell'amministrazione della società o dell'ente sia tale da ritenere che la società o l'ente stesso non costituiscano altro che una sua mera appendice (Cfr. circ. Fondazione Centro Studi Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti 20 maggio 2009, n. 7).
Con l'ordinanza del 9 marzo 2021, n. 6476, la Corte di Cassazione ha sancito che, al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero
La pronuncia in esame
La sentenza della Suprema Corte in esame definisce l'estrovestizione (ovvero di " vestire" una società come se fosse estera) come la fittizia localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia.
Infatti, è stato sottolineato come sia corretto analizzare le contestazioni in tema di esterovestizione secondo il prisma dell'indebito vantaggio fiscale che conseguirebbe dalla localizzazione in un altro Stato membro.
Una simile contestazione, per non essere in violazione del principio della libertà di stabilimento, dovrebbe essere sollevata solamente in presenza di strutture estere di natura artificiosa.
La Corte di Cassazione, con altra pronuncia (sentenza Cass. 8.9.2022 n. 26538) ha sancito che per esterovestizione s'intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all'estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
Quel che, secondo i giudici di legittimità, deve essere accertato, ai fini della corretta applicazione della previsione normativa in esame, è la situazione di apparente costituzione di un soggetto localizzato all'estero.
In linea con la giurisprudenza unionale, sarebbe quindi necessario accertare che lo scopo essenziale di un'operazione si limiti all'ottenimento di un vantaggio fiscale: ciò perché quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (cfr. Corte di giustizia 22.2.2018 n. C-398/16 e C-399/16).
Proprio con riguardo al fenomeno della localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società, è stato sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.
L'obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio.
La nozione di stabilimento implica, quindi, l'esercizio effettivo di un'attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l'insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l'esercizio quivi di un'attività economica reale (così anche ordinanza della Cass. 15.3.2022 n. 8297). Osservazioni
É necessario a questo punto rilevare che altre pronunce della Corte di Cassazione sostengono che i criteri previsti dall'art. 73 del TUIR, non sono finalizzati unicamente ad individuare fenomeni, di natura elusiva, solitamente definiti di "esterovestizione", caratterizzati in generale dall'artificiosa ed apparente distrazione del soggetto passivo dal territorio nazionale, e quindi dalla residenza in Italia e dalla potestà impositiva nazionale, per attrarlo nell'area impositiva più conveniente di altro Stato.
Certamente, in questi ultimi casi, i criteri di collegamento territoriale dettati dal ridetto art. 73 TUIR sono fondamentali per verificare quale sia in realtà la residenza effettiva della società, nonostante la manipolazione della realtà operata dalla contribuente.
Tuttavia, gli stessi criteri svolgono la loro naturale funzione selettiva dei soggetti passivi dell'imposizione nazionale in ogni fattispecie nella quale, per elementi oggettivi transnazionali che emergano nel caso concreto ed a prescindere da qualsiasi ipotetica manovra elusiva dell'ente accertato, sorga l'esigenza di verificare, ai fini fiscali, la residenza in Italia di quest'ultimo.
Pertanto non vi è necessaria coincidenza tra accertamento della residenza in Italia di una società ai sensi dell'art. 73, terzo comma, TUIR ed accertamento della c.d. esterovestizione elusiva, trattandosi di concetti che possono, ma non debbono inevitabilmente presentarsi contemporaneamente in ogni fattispecie di rilevanza transnazionale. Con la conseguenza, quindi, che la verifica della residenza in Italia di una società, ai sensi del ridetto art. 73, non richiede necessariamente l'imputazione alla contribuente, e l'accertamento, di una finalità elusiva volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe (così ordinanza Cass. 11.4.2022 n. 11709).
In altri termini, secondo tale indirizzo giurisprudenziale, in materia di imposte sui redditi delle società, l'art. 73, comma 3, d.P.R. n. 917/1986 individua i criteri di collegamento (la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale), paritetici ed alternativi, delle società e degli enti con il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d'imposta, determina la residenza in Italia e l'assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano, a prescindere dall'accertamento di un'eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe. |