I.R.B.A. incompatibile con le disposizioni eurounitarie

Antonino Russo
04 Aprile 2023

Il principio secondo il quale la sentenza della Corte di giustizia Europea deve essere applicata, dal giudice, anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa si pone in contrasto con l'art. 1, comma 628, L. 30 dicembre 2020, n. 178 (Finanziaria 2021) che, al contrario, vorrebbe applicare ai rapporti pregressi ancora non esauriti in quanto sub iudice, l'Irba. Tale imposta è in contrasto con il diritto unionale sin dal 1992, ancorchè priva della finalità specifica prevista dalle direttive sopra citate.
Massima

L'impossibilità di procedere ad un'interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell'Unione, comporta che la disposizione di cui all'art. 1, comma 628, citato debba essere disapplicata, in quanto in contrasto con la Direttiva n. 2008/118 che ha abrogato e sostituito quella n. 12/92, come interpretate dalla ordinanza del 9 novembre 2021 della Corte di Giustizia Europea.

Il caso

Alcuni contribuenti impugnavano un avviso di accertamento ed irrogazione contestuale di sanzione, con il quale la Regione Campania ingiungeva il pagamento di una somma a titolo di imposta evasa (I.R.B.A) e sanzioni per l'annualità 2005, eccependo la decadenza dal potere accertativo, nonchè la prescrizione del termine quinquennale ed il difetto di legittimazione passiva.

Va ricordato che l'imposta in parola è stata introdotta con la Legge n. 158/1990 (Art. 1) che ha previsto che l'autonomia finanziaria delle Regioni venga garantita dai tributi propri e dalle quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune, che assicurino il finanziamento delle spese necessarie ad adempiere tutte le funzioni normali, compresi i servizi di rilevanza nazionale. Con il successivo d.Lgs. n. 398/1990, il legislatore ha statuito che “Le Regioni hanno la facoltà di istituire, con leggi proprie, un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive Regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva”, prevedendo al contempo la possibilità per l'Ente territoriale di fissare una specifica aliquota (Art. 17, d.Lgs. n. 398/1990, così come modificato dall'art. 1, comma 154, Legge n. 662/1996). In ogni caso, si tratta di una imposta versata direttamente al soggetto passivo Regione dal concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera che sia fornitrice del suddetto impianto, sulla scorta dei quantitativi erogati in ciascun territorio regionale dagli impianti di erogazione del carburante.

A partire dall' istituzione di tale forma di imposizione, le Regioni hanno iniziato a introdurre apposite leggi regionali istitutive delle stesse. Sin da subito è apparso evidente come l'I.R.B.A si sia caratterizzata per avere una struttura analoga a quella dell'accisa, poiché diretta a colpire la vendita di una particolare categoria di prodotti di consumo, in base alla quantità e non al valore. A conferma di ciò anche il fatto che la fase della riscossione di tale imposta è stata affidata all'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, che applica il d.Lgs. n. 504/1995 (c.d. T.U.A.). Proprio in ragione della somiglianza tra l'accisa (imposta di natura armonizzata) e l'I.R.B.A, la Commissione Europea ha adottato un formale provvedimento di costituzione in mora contro l'Italia.

Il giudice tributario adìto non trattava i riflessi delle disposizioni eurocomunitarie su tale imposta e respingeva il ricorso scrutinando gli aspetti della prescrizione e della legittimazione passiva dei contribuenti.

Il verdetto di secondo grado, a seguito dell'appello interposto dagli interessati, confermava la decisione provinciale riconoscendo la legittimazione passiva dei ricorrenti ed individuando il dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale dalla scoperta del fatto illecito.

Avverso la sentenza di appello, i contribuenti proponevano appello, resisteva la Regione Campania con controricorso.

La questione

I motivi, di cui al ricorso originario dei contribuenti, sono stati sovrastati (e superati) dal fatto che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea è intervenuta in materia di I.R.B.A., a seguito di rinvio pregiudiziale nella causa C-255/20.

Nello specifico, la domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull'interpretazione dell'art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell'art. 1, paragrafi 1 e 2 della direttiva n. 118 del 26 ottobre 2008, recepita nell'ordinamento nazionale con d.Lgs. n. 29/3/2010 n. 48, che prevede che i prodotti energetici possono essere gravati da tributi ulteriori purché il relativo gettito sia vincolato ab origine ad una finalità specifica. La direttiva 92/12 è stata abrogata, a decorrere dal 1° aprile 2010, e sostituita ovvero pienamente recepita dalla direttiva suindicata, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise.

La Direttiva 2008/118 ha, infatti, stabilito che, "poichè la direttiva 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa ha più volte subito modifiche sostanziali e sono necessarie ulteriori modifiche, per motivi di chiarezza è opportuno sostituirla; stabilendo che le condizioni per la riscossione delle accise sui prodotti contemplati dalla direttiva 92/12/CEE ("prodotti sottoposti ad accisa") devono rimanere armonizzate al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno".

Ebbene, la C.G.U.E ha statuito che l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che istituisce un'imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che non si può ritenere che tale imposta abbia una "finalità specifica" ai sensi di tale disposizione (ovvero di quella precedentemente in vigore), il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti territoriali.

Per la Corte, anche se l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 (che riproduce la direttiva 9/712) prevede che gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette, è necessario che tali imposte abbiano "finalità specifiche" e che siano conformi alle norme fiscali dell'Unione applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta, dunque "siccome qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, la sola circostanza che un'imposta miri a un obiettivo di bilancio non può, di per sè sola, salvo privare l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 di qualsivoglia sostanza,(…) (sent. del 5 marzo 2015, Statoil Fuel & Retail, C-553/13, EU:C:2015:149, punto 38 e giurisprudenza ivi citata) (...)sebbene la destinazione al bilancio degli enti territoriali del gettito di un'imposta per il finanziamento da parte di tali enti di competenze loro attribuite possa essere un elemento da prendere in considerazione per identificare l'esistenza di una "finalità specifica" ai sensi di detta disposizione, una simile destinazione, che si configura come una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente al riguardo.(...)

La soluzione giuridica

Le suesposte considerazioni, comportano che l'art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che istituisce un'imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che non si può ritenere che tale imposta abbia quella "finalità specifica", voluta da tale disposizione, sol perché il suo gettito è inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti territoriali. L'ordinamento italiano, dal canto suo, aveva già provveduto, prima della sentenza citata, ad abrogare il tributo di cui si discute.

La Corte di Cassazione, nella sentenza in rassegna, ha dovuto far ricorso al principio iura novit curia (art. 113, comma 1, c.p.c.) secondo cui il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonchè all'azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purchè i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, essendo allo stesso vietato, in forza del principio di cui all'art. 112 c.p.c., porre a base della decisione fatti che, ancorchè rinvenibili all'esito di una ricerca condotta sui documenti prodotti, non siano stati oggetto di puntuale allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti (Cass., n. 30607/2018, n. 11103/2020, n. 31561/2022).

Grazie al potere-dovere assegnato al giudice ex art. 113, comma 1, c.p.c., è stato preliminarmente rappresentato come il giudice tributario regionale non avesse colto la peculiarità della questione giuridica sottesa; in quanto di puro diritto, il profilo corretto andava quindi rilevato d'ufficio in base al citato principio iura novit curia, non essendo la decisione, nella corrispondente parte, coperta dal giudicato interno (v. in generale Cass. n. 14421/1999, n. 4272/2021).

Così la Corte di Cassazione ha potuto argomentare che la disciplina concernente l'imposta in esame non assume alcun più rilievo alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 9 novembre 2021 che - nell'interpretare la citata direttiva 2008/118 recepita nell'ordinamento nazionale con D.Lgs. n. 29/3/2010, n. 48 - ha chiarito che i prodotti energetici possono essere gravati da tributi ulteriori purchè il relativo gettito sia vincolato ab origine ad una finalità specifica.

Un breve passo indietro, peraltro utile a meglio inquadrare la problematica di specie, induce a riflettere sulla natura dell' I.R.B.A che:

  • è una imposta indiretta non armonizzata propria delle Regioni e diretta ad assicurare il finanziamento degli enti locali.
  • soggiace alle disposizioni eurounitarie: ciò in quanto, colpendo i consumi, è in grado di alterare il corretto funzionamento del mercato unico creando delle distorsioni della libera concorrenza.

L'efficacia delle disposizioni eurocomunitarie, comportando l'applicabilità della menzionata direttiva 2008/118/CE, hanno indotto il collegio di piazza Cavour a procedere all'esegesi della disposizione dell'art. 1, comma 628, L. 30 dicembre 2020, n.178 (Legge di Bilancio 2021), con decorrenza dal 01.01.2021; da tale scrutinio è emerso che essa, pur avendo abrogato tutte le norme afferenti all'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, e, a cascata, di quella regionale, "ha fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte". In altri termini, con la disposizione normativa in commento (ex art. 1, comma 628, cit) il legislatore ha inteso preservare e circoscrivere nel tempo la legittimità dell'I.R.B.A, prevedendo che essa dia diritto al rimborso o l'obbligo della debenza solo per quelle obbligazioni sorte a partire dal 1 gennaio 2021.

Ciò significa, secondo quando espone il giudice di legittimità, "che il legislatore nazionale ha inteso assicurare la debenza dell'I.R.B.A per i rapporti pregressi, ancorchè il tributo sia stato istituito da una norma adottata in contrasto con il diritto dell'Unione Europea (direttiva 2008/118), così come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia, che ha consegnato la corretta interpretazione dell'art. 1, paragrafo 2, della direttiva citata, ritenendo che il suo disposto osti a una normativa nazionale che istituisce un'imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione".

Conseguentemente, la Corte di Cassazione, non rilevando le richieste "finalità specifiche" ovvero individuando l'I.R.B.A quale gettito destinato a uno scopo di mero bilancio, ha decretato l'incompatibilità di tale imposta con il diritto eurounitario, disapplicando la stessa; così la decisione in commento “apre” alla possibilità per il contribuente di richiedere a rimborso le somme indebitamente versate. Ciò in ragione del fatto che, in caso di contrasto tra la norma interna e quella unionale, il giudice nazionale deve adottare tutte le misure di carattere nazionale o particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto eurounitario, anche disapplicando le disposizioni contrastanti della legislazione nazionale.

In effetti, la decisione resa dai giudici del Palazzaccio ha richiamato la procedura di infrazione n. 2017/2114/Taxud, con cui la Commissione Ue ha messo in mora l'Italia proprio per via dell'assenza di una finalità specifica attribuita all'I.R.B.A.

I giudici hanno poi statuito che - nonostante la legge 30 dicembre 2020, n. 178 abbia abrogato l'I.R.B.A dall'1 gennaio 2021 facendo “salvi” gli effetti obbligatori passati - tale clausola legale di limitazione non può esplicare i propri effetti. Ed infatti, l'incompatibilità dell'imposta con il diritto unionale esclude che la clausola di salvezza possa sopravvivere alla espunzione del tributo dall'ordinamento nazionale.

Osservazione

In conclusione, la Corte di Cassazione ha correttamente disapplicato la norma interna incompatibile con il superiore diritto eurounitario, anche nella parte in cui la norma nazionale avrebbe voluto mantenere una efficacia residuale impositiva per il passato. Tutto questo in considerazione del fatto che l'interpretazione conforme del diritto interno rispetto a quello unionale comporta che il secondo prevalga sul primo in caso di contrasto, con la conseguenza che anche i rapporti passati dovranno essere messi nuovamente in discussione.

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