Recupero dei crediti d'imposta per investimenti in aree svantaggiate: alle SS.UU. la soluzione sulle sanzioni applicabili in caso di indebita compensazione

11 Aprile 2023

In tema di recupero di crediti di imposta per investimenti in aree svantaggiate, utilizzati in compensazione dalle imprese che abbiano acquistato beni strumentali nuovi da destinare alle strutture produttive situate nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno d'Italia, a fini della misura delle sanzioni applicabili viene in rilievo la questione dell'esatta differenza tra credito d'imposta non spettante e inesistente. Di seguito l'Autore analizza l'ordinanza interlocutoria dello scorso 8 febbraio 2023, n. 3784.
Massima

In tema di recupero di credito d'imposta per investimenti in aree svantaggiate, va rimessa alle Sezioni Unite civili della Cassazione l'individuazione della nozione – idonea a riproporsi in futuri giudizi – di credito “inesistente” e della sua differenziazione rispetto al credito “non spettante”, con riferimento alle conseguenze in ordine alle sanzioni tributarieapplicabili ai sensi dell'art. 13 D.Lgs. n. 471/1997.

Il caso

I verificatori ricostruivano il credito di imposta spettante ad una società di capitale in relazione agli investimenti in aree svantaggiate effettuati nelle annualità 2007, 2008 e 2009.

Appurato un minor credito di imposta per circa 6.000 euro rispetto a quanto indicato nell'apposito formulario (cd. modello FAS) e la non spettanza dei crediti utilizzati dalla contribuente in compensazione nelle annualità 2014, 2015, 2016 e 2017, l'Agenzia delle entrate emetteva a carico della società e del legale rappresentante, anche in proprio, atto di recupero per la complessiva somma di circa 266.000 euro ed applicava le sanzioni (dal 100 al 200%) previste per l'ipotesi di indebita compensazione di crediti inesistenti dall'art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997.

La società impugnava l'atto ma restava soccombente in primo grado.

In appello, la decisione veniva parzialmente riformata dalla C.T.R. la quale accertava che la contribuente aveva realizzato investimenti agevolati ai sensi della L. n. 296/2006 in seguito ai quali il Centro operativo di Pescara aveva concesso crediti di imposta utilizzabili a partire dall'anno 2014 e seguenti e che, invece, la società aveva proceduto a compensazioninell'anno 2010 e nell'anno 2016.

I giudici regionali ritenevano altresì infondata la tesi dell'appellante che invocava, tra l'altro, l'applicazione della sanzione del 30% prevista per i crediti non spettanti dall'art. 13, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997, ritenendo che si versasse, invece, nell'ipotesi dei crediti inesistenti: malgrado fosse vero che originariamente sussistevano i presupposti per l'esistenza del credito per circa 235 mila euro, tuttavia, la contribuente lo aveva utilizzato totalmente per gli anni 2007 e 2008 nonostante la fruizione fosse stata autorizzata a decorrere dal 2014; pertanto, al momento della seconda fruizione, dal 2014 in poi, non sussisteva alcun credito d'imposta legittimamente utilizzabile.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società contribuente e il suo legale rappresentante, che, tra le varie doglianze, censuravano la qualificazione di credito inesistente attribuita dalla C.T.R. ai crediti d'imposta oggetto dell'atto di recupero, “perché già utilizzati sia pure indebitamente” e reiterava l'applicazione della sanzione meno grave prevista per i crediti non spettanti.

La Sezione tributaria della Cassazione, rilevate le ricadute sanzionatorie che l'ordinamento tributario ricollega alla nozione di credito di imposta “inesistente” e la rilevanza della questione – riproponibile in numerosi futuri giudizi – trasmetteva gli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione per la rimessione alle Sezioni unite civili.

La questione

In tema di recupero di crediti di imposta per investimenti in aree svantaggiate, utilizzati in compensazione dalle imprese che abbiano acquistato beni strumentali nuovi da destinare alle strutture produttive situate nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno d'Italia, a fini della misura delle sanzioni applicabili viene in rilievo la questione – già postasi nella giurisprudenza tributaria ai fini dei termini per l'accertamento (vedi Cass. civ., Sez. trib. ord. interl. 2 dicembre 2022, n. 35536, commentata da A. Natalini, Recupero dei crediti d'imposta non spettanti: alle Sezioni Unite la soluzione dei dubbi sui termini di decadenza dal potere di accertamento, IUS_Tributario, giurisprudenza commentata del 31 gennaio 2023) – dell'esatta differenza tra credito d'imposta:

  1. non spettante, ovvero utilizzato in maniera superiore a quello esistente (o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti), per il quale si applica la sanzione dell'art. 13, comma 4, del d.Lgs. n. 471/1997, pari al 30% del credito utilizzato;
  2. e inesistente, per il quale si applica la più grave sanzione dal 100 al 200% della misura dei crediti stessi utilizzati per il pagamento delle somme dovute ex art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997.
Le soluzioni giuridiche

Sulla dicotomia tra crediti inesistenti e non spettanti si registrano due filoni nella giurisprudenza tributaria di legittimità.

L'orientamento tradizionale maggioritario (nel solco di Cass., Sez. 5, n. 10112/2017; Cass., Sez. 5, n. 19237/2017, Cass., Sez. 5, n. 24093/2020; Cass., Sez. 5, n. 354/2021; Cass., Sez. 5, n. 31419/2022; Cass., Sez. 5, n. 25436/2022) non distingue affatto tra credito “non spettante” e credito “inesistente” reputando tale distinzione priva di senso sia pure ai (soli) fini dell'applicazione del (maggior) termine concesso all'Amministrazione per l'emissione dell'atto di recupero, nel rilievo – riaffermato anche da ultimo – che «l'art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2/2009, nel fissare il termine di otto anni per la ripresa dei crediti d'imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'“inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l'investimento che ha generato il credito d'imposta, indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 per il comune avviso di accertamento» (così Cass., Sez. 5, n. 25436/2022: fattispecie in cui la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva distinto, ai fini dell'individuazione del termine entro il quale notificare l'atto di recupero, tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, applicando il termine ordinario di decadenza di cui all'art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 in luogo di quello di cui all'art. 27 cit.; in senso conforme, Cass., Sez. 5, n. 31419/2022).

Secondo altro filone minoritario inaugurato nel 2021 da tre sentenze “gemelle”, in tema di compensazione di crediti fiscali l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall'art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, in L. n. 2/2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972» (così Cass., Sez. 5, n. 34443/2021; Cass., Sez. 5, n. 34444/2021; Cass., Sez. 5, n. 34445/2021).

Quest'ultimo indirizzo – non recepito dalla giurisprudenza più recente e ripreso, da ultimo, unicamente da Cass., Sez. 5, n. 31429/2022 – propone un'interpretazione adeguatrice dell'originario tessuto normativo, letto alla luce delle successive riforme e sostiene che, nel contesto della rideterminazione del quadro sanzionatorio circa l'indebita compensazione di crediti, rileva il “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997 (introdotto dall'art. 15 del D.Lgs. n. 158/2015) il quale si spinge dettare la definizione normativa di credito “inesistente”, in una dimensione – anche fenomenicamente – priva di elementi giustificativi, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al D.L. n. 185/2008), tale essendo il credito fiscale che non è “reale” (o “non vero”), ossia quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell'anagrafe tributaria.

Osservazioni

Alle sezioni Unite civili, con precedente ord. interl. 2 dicembre 2022, n. 35536, della stessa Sezione tributaria è stata già devoluta la risoluzione della questione – oggetto diretto del suindicato contrasto giurisprudenziale – della distinzione “credito non spettante/credito inesistente” ai fini dell'applicabilità del termine di otto anni previsto dall'art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, piuttosto che di quello ordinario decadenziale (vedi A. Natalini, Recupero dei crediti d'imposta non spettanti: alle Sezioni Unite la soluzione dei dubbi sui termini di decadenza dal potere di accertamento, IUS_Tributario, giurisprudenza commentata del 31 gennaio 2023).

Stavolta il massimo Consesso di Piazza Cavour è sollecitato a verificare, sempre nell'ambito della dicotomia tra le due tipologie di credito – gravida di conseguenze anche penali (v. art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, come sostituito dall'art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 158/2015) – le ulteriori ricadute amministrativo-sanzionatorie che l'ordinamento tributario annette.

In esito all'odierna investitura del massimo Consesso di legittimità - l'udienza è fissata, per entrambe le questioni, al 12 settembre 2023 - si prospetta, dunque, un intervento nomofilattico chiarificatore ad ampio raggio sulla nozione di credito inesistente e sulla sua differenziazione rispetto al credito non spettante.

Un distinguo ritenuto rilevante anche dalla giurisprudenza penale della S.C.: richiamando e facendo propria la definizione di credito inesistente, come effettuata dalle suindicate sentenze della Sezione tributaria, un recente arresto, infatti, ha rilevato che la diversità delle due ipotesi – “non spettante” versus “inesistente” – incide anche sul piano dell'elemento soggettivo del reato di indebita compensazione, diverso nelle due ipotesi contemplate dal comma 1 e dal comma 2 dell'art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, atteso che l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salva prova contraria, un indice rilevatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti crediti “non spettanti” occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa (Cass. pen., Sez. III, n. 7615/2022).

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