I crediti di imposta artificiosamente creati: i termini per l'atto di recupero
14 Aprile 2023
Massima
La Suprema Corte ha così iniziato ad anticipare quello che si auspica possa essere l'epilogo conclusivo relativo ad un tema ad oggi molto critico e che, negli ultimi anni, ha visto il susseguirsi di svariate pronunce dirette a sviscerare i diversi interrogativi che gravitano intorno alla materia in esame (Cfr. Cassazione n. 35536 del 2022; Cass. n. 3784 del 2023; Cass. n. 34444 del 2021).
In particolare, la recente pronuncia, si è esposta con chiarezza procedendo:
i) da un lato, a rafforzare la differenza che intercorre tra crediti di imposta inesistenti e crediti di imposta non spettanti e, dunque, per quali di essi trovi applicazione il più ampio termine di decadenza di otto anni per l'azione di recupero e ii) dall'altro, ha identificato la data entro cui ha inizio la decorrenza del relativo termine. Il caso
Crediti inesistenti e non spettanti
In materia di crediti di imposta rileva inquadrare in modo compiuto, la differenza sussistente tra crediti di imposta inesistenti e non spettanti. Si tratta, infatti, di una tematica tutt'ora controversa i cui effetti sono destinati a riversarsi su due aspetti cruciali: le sanzioni applicabili e i termini previsti per il recupero di tali crediti. Questioni peraltro rimesse alla decisione delle Sezioni Unite chiamate a stabilire la misura in cui la dicotomia tra i due tipi di crediti possa rilevare ai fini sanzionatori (Cass. n. 3784/2023) nonché per i termini utili all'azione di recupero, se questi possano essere o meno quantificati in termini tra loro analoghi (Cass. n. 35536/2022).
Negli ultimi anni, ha preso sempre più piede l'interesse relativo alla questione sulla compensazione dei crediti di imposta, trattata dagli Ermellini già nelle sentenze n. 34444 e 34445 del 2021 dirette a tracciare, in antitesi rispetto al passato, una netta linea di demarcazione tra i crediti di imposta inesistenti e non spettanti.
Come noto, il credito di imposta costituisce un vero e proprio credito vantato dal contribuente nei confronti dell'Erario che viene utilizzato per far fronte ai debiti verso quest'ultimo, attraverso lo strumento della compensazione fiscale. Essa trae le sue origini dall'istituto della compensazione prevista nell'ordinamento civilistico disponendo, in sostanza, l'estinzione di debiti in quantità equivalenti qualora due soggetti siano obbligati l'uno verso l'altro.
Sebbene sussistano forti divergenze in merito ai criteri da utilizzare per identificare un credito non spettante rispetto ad un credito non esistente, la Suprema Corte, in armonia con quanto stabilito dall'art. 13 comma 5 del d.Lgs. 471/1997, ha chiarito che il credito in relazione al quale manchi il presupposto costitutivo, e la cui inesistenza non possa essere accertata mediante i controlli ex articoli 36-bis, 36-ter e art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972, sia un credito inesistente.
In altre parole, affinché si possa parlare di inesistenza del credito, è necessario l'intervento di due circostanze imprescindibili, ossia la non corrispondenza del credito a realtà poiché creato artificiosamente, e l'impossibilità di riscontrare la stessa inesistenza attraverso controlli automatizzati ovvero formali. Al contrario i crediti non spettanti acquistano un carattere residuale, dunque, laddove anche uno solo dei due connotati manchi, il credito deve ritenersi non spettante.
In breve, uno stesso credito non può risultare al contempo inesistente e non spettante, in ragione delle diverse conseguenze che potrebbero derivare in relazione alle sanzioni e ai termini decadenziali da applicare. È evidente che, attualmente, nonostante vi siano profili di incertezza sull'argomento, con l'ordinanza n. 5243/2023 la Suprema Corte ha iniziato a far chiarezza in attesa di una risposta definitiva delle Sezioni Unite. La questione
La vicenda analizzata dalla Corte di Cassazione trae origine da una società in nome collettivo che impugnava una serie di atti di recupero riferiti a crediti relativi a diversi periodi di imposta (dal 2003 al 2010). Con tali atti l'Amministrazione contestava la fittizietà dei rapporti intercorrenti tra la società e un'università cui era stata commissionata una ricerca, dichiarando che da tale fittizietà discendesse l'utilizzo di fatture inesistenti nonché un illecito utilizzo dei crediti di imposta.
Le ragioni dedotte dal contribuente sono state disattese in entrambi i gradi di giudizio, di fatti, dopo il rigetto del ricorso in secondo grado, il giudice di seconde cure, nell'affermare la legittimità degli atti di recupero e degli avvisi di accertamento notificati, ha confermato che le operazioni poste in essere dalla società si iscrivevano in un più complesso disegno fraudolento, in quanto escogitate allo scopo di sfruttare il credito di imposta. Ciò posto, la società ha dunque proposto ricorso in Corte di Cassazione. La soluzione giuridica
La Corte di Cassazione si è pronunciata in rigetto delle doglianze dei contribuenti in armonia con quanto dedotto in primo ed in secondo grado, pur tuttavia accogliendo l'impugnazione riferita all'atto di recupero per l'annualità 2003, eccependone la tardività. Ebbene, la Suprema Corte, ha fornito alcune importanti precisazioni.
La pronuncia in esame, nel trattare crediti Iva, Irpef e Irap artificiosamente creati e dunque inesistenti, parte da un attenta analisi dell'art. 27 comma 16 del D. Legge n. 185/2008, in quanto normativa di riferimento, mediante cui è stabilito che: “salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall'articolo 10- quater, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l'atto di cui all'articolo 1 comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificati per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.
La Corte, alla stregua di tale disposizione, circoscrive ai soli crediti inesistenti, il termine di decadenza di otto anni per l'atto di recupero. Per dirla diversamente, l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dal citato art. 27 co. 16, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito non spettante, bensì di un credito inesistente, ancorato ad una situazione priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza. Inoltre, nell'ordinanza si fornisce un'altra specifica riguardo al momento di decorrenza del termine ottennale, esso infatti, decorre dalla data di utilizzo del credito e non dal momento di presentazione della dichiarazione nella quale ha rilevanza il credito. Infatti, il successivo comma 17 dell'art. 27 D.L. n. 185/2008, prevede che “la disposizione di cui al comma 16 si applichi a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato nel quale sono indicati crediti inesistenti utilizzati in compensazione in anni con riferimento ai quali alla data di entrata in vigore della presente legge siano ancora pendenti i termini di cui al primo comma dell'art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 57 del D.P.R. n. 633/1972”. In sostanza, alla luce di quanto esposto, ove il credito non sia reale, ma sia stato creato artificiosamente, trova applicazione il termine di otto anni dal suo utilizzo.
Osservazioni
La pronuncia in commento, come detto, si pone in continuità con i principi enunciati dalla Suprema Corte (nelle citate sentenze nn. 34444 del 2021, 35536 del 2022 e 3784 del 2023), andando, di fatto, ad anticipare le delicate tematiche rimesse alle Sezioni Unite e di cui si attende un intervento chiarificatore, volto a fugare qualsiasi dubbio presente in materia. L'impostazione prescelta tende in qualche modo a prendere posizione sulla questione dei termini decadenziali relativi al tema della compensazione dei crediti fiscali, (cercando di porsi, seppur moderatamente, in favore del contribuente) censurando un improprio prolungamento del termine decadenziale ai sensi dell'art. 27 co. 16, D. Lgs. 185 del 2008. Si attende, dunque, l'ultima parola delle SS. UU.
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