L'atto di “mera” ricognizione di debito è soggetto ad imposta di registro in misura fissa solo in caso d'uso
17 Aprile 2023
Massima
Nel caso di specie, la Corte ha escluso l'assoggettamento ad imposta di registro di una nota di accompagnamento, ricognitiva di debito, ad un assegno emesso a titolo di prestito personale senza corresponsione di interessi, posto a fondamento di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, sul presupposto che il deposito di un documento a fini probatori in un procedimento contenzioso non costituisce “caso d'uso” in relazione all'art. 6 del d.P.R. n. 131/1986. Il caso
Il ricorrente ha impugnato l'avviso di liquidazione relativo ad imposta di registro non versata in relazione a nota di accompagnamento, contenente ricognizione di debito, ad assegno emesso a titolo di prestito personale, senza corresponsione d'interessi, posto a fondamento di decreto ingiuntivo, munito di clausola di provvisoria esecuzione, emesso dal Tribunale di Napoli in favore del ricorrente. L'impugnazione del contribuente in sede di merito si è fondata su due principali motivi: a) l'essere non dovuta alcuna imposta per essere stato emesso il decreto ingiuntivo sulla base di assegno bancario, atto per il quale non vi è obbligo di chiedere la registrazione, ai sensi dell'art. 11 della Tabella allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (cd. Testo unico sull'imposta di registro – TUR); b) l'essere comunque non dovuta alcuna imposta, non concretizzando la produzione in giudizio della scrittura privata non autenticata, sopra menzionata, avente natura di ricognizione di debito, “caso d'uso”.
Il giudice tributario d'appello, in riforma della pronuncia di primo grado, ha attribuito alla summenzionata nota di accompagnamento natura di «atto che non rientra nella sfera di esplicazione di attività amministrativa, ma di atto che costituisce “caso d'uso” in quanto trattasi di “scrittura privata non autenticata”», come tale soggetta a registrazione “in caso d'uso”», costituito dal fatto che documenta l'esistenza di un prestito con statuizione delle clausole ad hoc è stata il supporto probatorio per l'azione in giudizio. L'interessato ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione avverso la sentenza di appello con quattro motivi di doglianza.
In particolare, ha contestato che la nota di accompagnamento ricognitiva di debito possa costituire scrittura soggetta a registrazione in caso d'uso ai sensi dell'art. 6 e relativa tariffa del TUR e che quest'ultimo possa ravvisarsi nel deposito dell'atto a fini probatori in giudizio. La Suprema Corte, Sezione 5-T, investita della controversia, con ordinanza interlocutoria n. 33313, depositata l'11 novembre 2021 ha ritenuto che la questione in ordine alla corretta definizione della nozione di “caso d'uso” e dell'obbligo di registrazione relativo ai documenti depositati nei procedimenti giudiziari costituisca questione di massima di particolare importanza, rilevando al contempo, la necessità di una soluzione al contrasto tra indirizzi interpretativi difformi sul connesso tema del regime impositivo della registrazione di atto di ricognizione di debito, e ha quindi rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. La questione
La questione riguarda l'impugnazione di un avviso di liquidazione dell'imposta di registro in relazione alla allegazione, a sostegno della richiesta di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, emesso dal Tribunale di Napoli, sulla base di assegno bancario, non trasferibile, agli atti del procedimento monitorio, di una “nota manoscritta”, firmata dal debitore, in cui si dà atto della causale del titolo (un prestito personale infruttifero), delle modalità di erogazione del prestito, della data di restituzione della somma di denaro convenuta. La pretesa tributaria azionata dall'Amministrazione finanziaria nell'avviso di liquidazione ha riguardato la sottoposizione dell'anzidetta scrittura privata all'imposta di registro secondo l'aliquota proporzionale del 3% – poi rideterminato in fase precontenziosa dall'Agenzia delle entrate nella misura dell'1%, con riduzione proporzionale della sanzione per omessa registrazione – in applicazione dell'art. 9 della Tariffa – Parte I – allegata al TUR), in quanto detta scrittura rientra tra gli «[a]tti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale».
Si contesta la liquidazione, nell'an e nel quantum, anche se ridotto, dell'imposizione dell'atto ricognitivo del debito depositato in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo, atteso che tale provvedimento monitorio è stato regolarmente registrato e sottoposto alla relativa imposizione. In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur riportando il testo dell'art. 6 TUR, ha affermato, con riferimento alla succitata nota di accompagnamento, che si tratta «di atto che costituisce “caso d'uso” in quanto trattasi di scrittura privata non autenticata» prodotta in giudizio a sostegno della pretesa creditoria. A monte si pone la connessa questione, sollevata dal Collegio rimettente in ragione del contrasto interpretativo rilevato, sulla assoggettabilità alla imposta di registro della ricognizione di debito.
Le condizioni di assoggettabilità ad imposta di registro della scrittura privata ricognitiva di debito. La nozione di “caso d'uso” La prima questione riguarda la qualificazione del cd. “caso d'uso”, condizione per l'assoggettamento ad imposta di registro di scrittura privata autenticata. Giova premettere una sintetica esposizione della disciplina del TUR che legittima la pretesa tributaria contestata. L'art. 1 TUR prevede che l'imposta di registro si applichi, nella misura indicata nella tariffa allegata al detto testo unico, divisa in due parti, agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione. L'art. 5 TUR, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede al comma 1 che sono soggetti a registrazione in termine fisso gli atti indicati nella parte prima della tariffa e in caso d'uso quelli indicati nella parte seconda. Il comma 2, per le “scritture private non autenticate”, pone una ulteriore condizione, stabilendo che esse sono «soggette a registrazione in caso d'uso, se tutte le disposizioni in esse contemplate sono relative ad imposizioni soggette all'imposta sul valore aggiunto». L'art. 6 TUR, poi, definisce il “caso d'uso” che si ha «quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organo ovvero sia obbligatorio per legge o per regolamento». Alla luce del dettato dell'art. 6 TUR, nel caso in esame, le Sezioni Unite hanno escluso l'assoggettabilità a tassazione della scrittura privata non autenticata meramente ricognitiva di un prestito personale, in quanto non attiene ad operazioni soggette ad IVA, né costituisce atto non registrato ex art. 22 TUR, soggetto al principio di “enunciazione”, non ravvisando un “caso d'uso” nel deposito della scrittura ricognitiva presso la cancelleria del giudice civile in sede di procedimento contenzioso. Giova richiamare, su tale ultimo punto, la granitica interpretazione della giurisprudenza di legittimità che afferma che la mera enunciazione degli atti soggetti a registrazione in caso d'uso, ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, non configura ex se un “uso”, non potendo tali atti essere assoggettati all'imposta a prescindere dall' effettivo ”uso” dei medesimi. Per farsi luogo a tassazione, l'enunciazione ex art. 22 TUR deve avere una consistenza tale da consentire un esatto riferimento all'oggetto dell'atto enunciato nonché alla sua base imponibile; cioè, deve essere tale da contenere i presupposti per l'esplicazione della potestà impositiva da parte dell'amministrazione finanziaria, senza che vi sia la necessità di ricorrere a elementi non contenuti nell'atto enunciante per dare contezza dell'effettiva esistenza del rapporto giuridico enunciato (Cass., Sez. 6-5, 13 novembre 2020, n. 25706; Sez. 5, 14 marzo 2007, n. 5946; Sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22243; Sez. 6-5, 29 marzo 2021, n. 8669). Del resto, nella formulazione ratione temporis dell'art. 6, comma 2, TUR, il caso d'uso viene ricollegato ai casi in cui gli atti non soggetti a registrazione « (…) si riportano in tutto o in parte in atti pubblici o privati soggetti a registrazione o si inseriscono negli atti, pure soggetti a registrazione, delle cancellerie giudiziarie o delle pubbliche amministrazioni o degli enti pubblici». In tal senso è la stessa prassi amministrativa dell'Amministrazione finanziaria che esclude che ricorra caso d'uso nella mera allegazione di un documento ad un atto giudiziario in sede contenziosa (Ris. min. 4 aprile 1978, n. 250117; Ris. min. 17 gennaio 1979, n. 251170; Ris. min. 5 aprile 1983, n. 251258). L'attività d'uso deve, dunque, costituire frutto di una valutazione discrezionale della parte che la compia, integrando quindi un onere a carico della parte medesima che intenda conseguire dal deposito «un effetto sostanziale e cioè l'acquisizione dell'atto medesimo a fini giuridici ed operativi» (Cass., Sez. 5, 12 novembre 2014, n. 24107; Sez. 5, 23 maggio 2005, n. 10865).
L'assoggettamento ad imposta di registro della ricognizione di debito La seconda questione, sulla quale si registra un contrasto giurisprudenziale, riguarda l'assoggettabilità ad imposta di registro del riconoscimento del debito, rientrante tra gli atti di natura dichiarativa, ove si riconduca ad esso ex art. 1988 c.c. (che fa riferimento alla promessa di pagamento o la ricognizione del debito) un effetto di riqualificazione di una determinata situazione giuridica. Ed in tal caso, ove si giustifichi l'assoggettamento della scrittura privata ricognitiva del debito ad imposta di registro, ci si interroga sulla modalità impositiva, ossia se sia soggetto ad obbligo di registrazione in termine fisso, con imposta nella misura proporzionale del 3%, ai sensi dell'art. 9, parte I, della Tariffa, ovvero dell'1% ai sensi dell'art. 3, parte I, della Tariffa, disposizione di chiusura dettata per gli «[a]tti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura […]».
Le soluzioni giuridiche
Le Sezioni Unite evidenziano, quanto alla natura del riconoscimento del debito, che tale atto dichiarativo non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina un'astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi, per la quale il destinatario della ricognizione di debito è dispensato dall'onere di provare l'esistenza del rapporto fondamentale, che si presume pertanto fino a prova contraria (Cass. S. U., 6 marzo 2020, n. 6459). Con la ricognizione del debito, istituto di largo uso in sede monitoria, non si provvede a modificare un rapporto giuridico preesistente, ma ci si limita, in modo “titolato” (ove l'atto rechi specifica indicazione della fonte del rapporto) o non titolato (in caso di riconoscimento “puro”) a confermare un fatto o una situazione che già risultano certi (Cass., Sez. 1, 25 gennaio 2022, n. 2091; Sez. 3, 3 novembre 2020, n. 24451; Sez. 1, 20 dicembre 2016, n. 26334).
La sussistenza di divergenti orientamenti, tuttavia, che giungono ad affermare la natura negoziale (unilaterale) della ricognizione di debito ex art. 1988 c.c. (Cass., Sez. 6-3, 8 novembre 2022, n. 32787; Sez. 1, 15 luglio 2016, n. 14533; Sez. 1, 4 dicembre 2015, n. 24710) reca incertezza sul tipo d'imposizione cui l'atto è soggetto in tema d'imposta di registro, in assenza di una specifica disposizione del TUR (la precedente legge del registro di cui al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, all'art. 28, Tariffa, Allegato A - nell'aggiornamento della l. 4 aprile 1953, n. 261 - assoggettava la ricognizione di debito all'aliquota proporzionale dell'1,5%).
Gli orientamenti In sentenza si dà atto del contrasto interpretativo segnalando il maturare di tre distinti orientamenti formatisi nella giurisprudenza di legittimità.
Un primo orientamento muove dalla condivisione della natura di dichiarazione di volontà della ricognizione di debito, pur evidenziando come non sempre in essa risulti esplicitata la “causa debendi” mediante richiamo (implicito o esplicito) all'esistenza dell'atto costitutivo di un sottostante rapporto patrimoniale. In particolare, ove si tratti di dichiarazione “pura”, non risultando dalla stessa l'esistenza dell'atto costitutivo di un rapporto patrimoniale sottostante, non vi è nel documento alcuna innovazione rilevabile rispetto all'obbligazione contratta, l'atto assume natura di una “dichiarazione di volontà”, privo di contenuto patrimoniale, con conseguente assoggettamento ad imposta di registro per l'aliquota dell'1%, ai sensi dell'art. 3, della Tariffa Parte Prima (“atti di natura dichiarativa, relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”, soggetti all'obbligo di registrazione dell'atto in “termine fisso”). Tale posizione è espressa da Sez. 5, 8 giugno 2016, n. 11692, secondo cui “In tema d'imposta di registro, ai fini dell'individuazione dell'aliquota applicabile, in virtù dei criteri interpretativi di cui all'art. 20 del d.P.R. n. 131/986 è configurabile una transazione e non una ricognizione di debito quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato nell'accordo, sicché il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l'originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero se esse si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto” (in senso conforme, Sez. 5, 28 maggio 2007, n. 12432; Sez. 5, 20 luglio 2008 n. 16829, con riferimento proprio al decreto ingiuntivo, ritenuto soggetto all'aliquota dell'1%, in quanto atto a contenuto meramente dichiarativo di un preesistente rapporto giuridico, indipendentemente dall'adeguatezza dell'imposta applicata all'atto fatto valere nel procedimento monitorio). Più di recente, Sez. 6-5, 24 febbraio 2021, n. 8152 ha ribadito che “In tema di imposta di registro, la ricognizione di debito, quale scrittura privata non autenticata, pur non espressamente inserita né nella prima, né nella seconda parte della tariffa di cui al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, né necessariamente ricompresa nel disposto di cui all'art. 4, della parte seconda, che dispone la registrazione in caso d'uso delle "scritture private non autenticate" qualora non abbiano contenuto patrimoniale, è ugualmente soggetta a registrazione in termine fisso in forza dell'art. 9, parte prima, del d.P.R. n. 131 del 1986, che ha valore di previsione generale, trattandosi di atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (Cass. n. 25267 del 2020; n. 14657 del 2020; 13527 del 2020; Cass. n. 481 del 2018; Cass. n. 24107/2014; Cass. n. 4728/2003)”.
Un secondo orientamento giurisprudenziale, che muove dalla medesima premessa della natura negoziale della ricognizione di debito, riconosce all'atto un contenuto patrimoniale, senza operare alcuna particolare distinzione sul contenuto della ricognizione. La tesi è espressa da Sez. trib., 12 novembre 2014, n. 24107, che ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di imposta di registro, la ricognizione di debito, quale scrittura privata non autenticata, pur non espressamente inserita né nella prima, né nella seconda parte della tariffa di cui al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, né necessariamente ricompresa nel disposto di cui all'art. 4, della parte seconda, che dispone la registrazione in caso d'uso delle "scritture private non autenticate" qualora non abbiano contenuto patrimoniale, è ugualmente soggetto a registrazione in termine fisso in forza dell'art. 9, parte prima, del d.P.R. n. 131/1986, che ha valore di previsione generale, trattandosi di atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale” (in senso conforme, in motivazione, Sez. trib., 19 luglio 2017, n. 17808, proprio riguardo ad un caso di atto ricognitivo di un diritto di credito oggetto di procedimento monitorio).
La patrimonialità dell'obbligazione certificata in una scrittura ricognitiva di debito giustificherebbe la ricomprensione dell'atto nell'ambito dell'art. 9 della tariffa, parte I, del d.P.R. n. 131/1986, che assoggetta, in via residuale, all'imposizione proporzionale nella misura del 3% gli «[a]tti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale». Al pari dello stesso decreto ingiuntivo esecutivo, soggetto ad imposizione nella misura proporzionale del 3%, salvo conguaglio in base a successiva sentenza passata in giudicato, indipendentemente dal rapporto giuridico ad essi sottostante (Sez. 5, 19 luglio 2017 n. 17808, cit., in cui la Corte ha confermato la sentenza impugnata secondo cui l'imposta di registro liquidata in relazione ad un decreto ingiuntivo esecutivo andava distinta da quella dovuta per la ricognizione di debito in forza della quale il decreto ingiuntivo era stato emesso).
Un terzo orientamento afferma, invece, che la ricognizione di debito, in quanto atto con cui il debitore dichiara di riconoscere l'esistenza di un debito ex art. 1988 c.c., ha natura “puramente dichiarativa” e, come tale, non apporta alcuna modificazione né rispetto alla sfera patrimoniale del debitore che la sottoscrive, né a quella del creditore che la riceve, limitandosi a confermare un'obbligazione già esistente (Cass., Sez. 5, 19 gennaio 2009, n. 1132). Si tratta di dichiarazione di “scienza” (e non di “volontà”), improduttiva di nuovi fatti giuridici, poiché, rende solo evidenza dello “status quo” di rapporti contrattuali già in essere, suscettibile di incidere solo sul piano probatorio invertendo il relativo onere. Ne deriva che alla ricognizione di debito, cui è da attribuirsi natura di mera dichiarazione di scienza non sarebbe applicabile, quindi, né l'art. 9, parte prima, della tariffa, né l'art. 3, parte prima della tariffa, ma l'art. 4, parte II, della Tariffa, secondo cui, sono assoggettate, in caso d'uso, ad imposta di registro in misura fissa le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (Cass., Sez. 5, 01 giugno 2021, n. 15268; Sez. 5, 11 gennaio 2018, n. 481, secondo cui la preesistente obbligazione non viene innovata, e cioè non originata, né modificata o estinta dall'atto ricognitivo). Del resto, si osserva che la mancata previsione del TUR della precedente disposizione del r.d. n. 3269/1923 (poi sostituito dal d.P.R. n. 131/1968), che prevedeva, nella Tariffa ad esso allegata, l'assoggettamento ad imposta di registro in misura fissa della ricognizione del debito, può essere interpretato quale intenzione del legislatore di voler escludere la ricognizione del debito dagli atti assoggettabili a imposta di registro in misura proporzionale.
La soluzione delle Sezioni Unite Le Sezioni Unite indicano come soluzione da preferirsi quella offerta dal terzo degli orientamenti sopra menzionati, ritenendo che la scrittura privata non autenticata di mero riconoscimento di debito debba essere ricondotta, ai fini dell'imposta di registro, all'art. 4, Parte II della Tariffa allegata al TUR, che assoggetta, solo in caso d'uso, le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale ad imposta fissa (attualmente, nell'importo di euro 200,00). La soluzione indicata muove dalla individuazione dell'art. 3, parte I, della Tariffa allegata al TUR quale disposizione cui va riferita la tassazione degli atti ricognitivi di debito. Si assume, alla luce della elaborazione giurisprudenziale, che nel genus degli atti avanti natura dichiarativa sono tendenzialmente distinguibili tre diverse categorie di atti: a) quella degli atti o negozi “dichiarativi” riferibili alle fattispecie nella quali, come nella divisione, si abbia, per effetto del negozio dichiarativo, una modificazione della situazione giuridica preesistente, senza che a ciò consegua, però, il prodursi di effetti obbligatori o reali; b) quella degli atti o negozi “ricognitivi” finalizzati, da parte di chi li pone in essere, a manifestare la propria consapevolezza in ordine ad una data situazione giuridica, non incerta, preesistente all'atto ricognitivo, situazione che pertanto non viene ad essere in alcun modo innovata, non ricorrendo, rispetto ad essa, alcun effetto costitutivo, modificativo od estintivo ad opera dell'atto ricognitivo; c) quella, infine, degli atti o negozi di accertamento (distinguibili in negozi di “mero accertamento” e in negozi di “accertamento costitutivo”), la cui causa sia quella di rimuovere un'oggettiva e riconosciuta dalle parti situazione d'incertezza. Nel caso di specie, l'atto di riconoscimento del debito depositato in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo è un atto meramente ricognitivo, qualificabile come atto giuridico in senso stretto, facendo espresso riferimento al rapporto fondamentale sottostante e riconoscendo il debitore una situazione giuridica certa dell'obbligazione di restituzione al creditore del complessivo importo erogatogli come prestito personale. L'atto meramente ricognitivo è destinato ad operare sul piano dell'astrazione processuale, non potendo il rapporto sottostante qualificarsi come effetto “dichiarativo” dell'atto di riconoscimento. A tale dichiarazione non è ricollegato alcun effetto reale o obbligatorio, in quanto l'obbligazione è riferita al rapporto fondamentale a monte e non può ad esso ricondursi un autonomo rilievo patrimoniale, ma solo la citata rilevanza sul piano dell'onere della prova in favore del creditore istante. Così qualificata la fattispecie, non ricorre il presupposto per l'assoggettamento ad imposta del “caso d'uso” in relazione all'art. 6 del d.P.R. n. 131 del 1986, non essendo questo integrato dal mero deposito di documento a fini probatori in procedimento contenzioso, con conseguente accoglimento del ricorso originario del contribuente ed annullamento definitivo dell'avviso di liquidazione impugnato. Osservazioni
Con la sentenza in commento le Sezioni Unite ricostruiscono il regime dell'imposta di registro applicabile agli atti ricognitivi di debito, di frequente utilizzo nella prassi commerciale in funzione della possibilità di una più agevole tutela monitoria del creditore. L'intervento nomofilattico colma il “buco” normativo creato dalla mancata previsione nel corpo del TUR di una espressa disciplina impositiva per la ricognizione di debito, già prevista in misura fissa nella Tariffa allegata al r.d. n. 3269 del 1923, poi sostituito dal d.P.R. n. 131 del 1968.
Riconoscendo la variegata natura che può assumere in concreto l'atto di ricognizione di debito (atto o negozio “dichiarativo” modificativo della situazione giuridica sottostante, senza il prodursi di effetti obbligatori o reali; ovvero atto o negozio “ricognitivo” per manifestare la consapevolezza di chi lo pena in essere circa una preesistente situazione giuridica non incerta, priva di effetti costitutivi; ovvero, ancora, atto o negozio di accertamento finalizzato a rimuovere un'oggettiva e riconosciuta dalle parti situazione d'incertezza), si palesa necessario, al fine di determinare il corretto regime impositivo, che il giudice di merito proceda alla corretta qualificazione dell'atto presentato per la registrazione ex art. 20 TUR « secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici (…), anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati (…)», escludendo l'assoggettamento all'imposta nel caso in cui l'atto meramente ricognitivo sia utilizzato a fini probatori in giudizio.
L'accertamento della natura dell'atto di ricognizione di debito prescinde dal nomen iuris adoperato dalle parti, così che, ove il giudice di merito riconosca alla dichiarazione un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assuma rilevanza patrimoniale, troverà applicazione l'art. 3, parte I della Tariffa, con obbligo di registrazione dell'atto in termine fisso, da assoggettare ad imposta proporzionale secondo l'aliquota dell'1%, da applicare al valore del bene o del diritto oggetto dell'atto dichiarativo.
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