Aspetti fiscali del risarcimento cd. “perdita di chance”

Matteo Pillon Storti
28 Aprile 2023

Le somme ricevute da un lavoratore dipendente a titolo di risarcimento del danno per cd. “perdita di chance”, intesa come perdita di opportunità di accrescimento professionale, a precise condizioni, non è imponibile fiscalmente e, quindi, non è soggetta a tassazione.
Massima

Ai sensi dell'art. 6, comma 2, TUIR, infatti, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante) e non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente).

Questo è quanto è stato deciso dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza dello scorso 8 febbraio 2023, n. 3804.

Il caso

I fatti oggetto della causa nascevano da diversi avvisi d'accertamento emessi a recupero di tassazione IRPEF per l'anno 2009. Negli avvisi suddetti, alcune somme pagate a titolo di risarcimento del danno a favore di determinati lavoratori dipendenti venivano considerate quali redditi di lavoro dipendente e conseguentemente tassate. I dipendenti in questione presentavano ricorso presso le commissioni tributarie competenti e, infine, chiamando a esprimersi anche la Corte di Cassazione. I ricorrenti, in particolare, chiedevano la cassazione della sentenza della CTR, lamentando l'erroneità della pretesa dell'amministrazione finanziaria, finalizzata ad assoggettare a tassazione le somme percepite a titolo di risarcimento del danno. Ai sensi dell'art. 6, comma 2, TUIR, infatti, i ricorrenti facevano notare come il risarcimento oggetto della causa fosse derivato dalla privazione del diritto dei ricorrenti ad essere valutati e a conseguire sviluppi di carriera e di carattere giuridico ed economico, ovvero alla perdita di chance. Date le caratteristiche del risarcimento ricevuto lo stesso non era assoggettabile a tassazione.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, cassando la sentenza impugnata.

La questione

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza oggetto del presente approfondimento, si è trovata ad affrontare il tema delle somme risarcitorie e del loro trattamento fiscale.

Richiamando numerose sentenze precedenti, la Cassazione ha confermato la tesi giurisprudenziale secondo la quale "In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, TUIR le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente).

Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la “perdita di chance” di accrescimento professionale (a causa dell'assenza di programmi ed obiettivi incentivanti), ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al c.c.n.l. di un certo comparto".

La soluzione giuridica

Com'è noto, giuridicamente, il “danno” può manifestarsi sotto due forme, chiamate “danno emergente” e “lucro cessante”. Il “danno emergente” è quando il danno si concretizza attraverso una riduzione del patrimonio del danneggiato. Il “lucro cessante”, invece, è il mancato accrescimento del patrimonio del danneggiato, causato dall'inadempimento dannoso o dal ritardo. Di fatto, quindi, il lucro cessante consiste nel mancato conseguirsi di un guadagno.

È di tutta evidenza la differente natura fra lucro cessante e danno emergente. Da una parte vi è un guadagno (non conseguito), dall'altra un patrimonio (soggetto a riduzione).

Tale distinzione giuridica del danno acquista particolare rilevanza ai fini fiscali. Infatti, il trattamento fiscale del risarcimento danni per “lucro cessante” è spesso differente rispetto al trattamento fiscale delle somme risarcitorie riconducibili a “danni emergenti”.

La suprema corte, innanzitutto, richiamando l'art. 6, comma 2, TUIR, ha ricordato: "I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti (...)".

Dato questo punto di partenza, il ragionamento della corte si è sviluppato, richiamando precedenti sentenze della medesima, confermando la non imponibilità fiscale per alcune specifiche somme risarcitorie. Le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio, infatti, costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi.

Da ciò ne consegue, ad esempio, la non tassabilità delle indennità corrisposte (in sede transattiva) dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l'orario massimo di lavoro da lui esigibile.

Più in particolare, in tema di imposte sui redditi, richiamando sempre l'art. 6, comma 2 TUIR, la Suprema Corte ha fornito ulteriori specifiche: le somme ricevute dal contribuente a titolo risarcitorio, infatti, sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi.

Non è quindi tassabile il risarcimento ottenuto da un dipendente "da perdita di chance", consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell'attività lavorativa a seguito dell'ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera. Per assoggettare a tassazione le somme suddette, quindi, è necessario che le stesse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa.

Infine, richiamando precedenti sentenze della corte, la Cassazione ha confermato la tesi secondo la quale sono assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, solo se queste sono volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente).

Osservazioni

La sentenza di Cassazione n. 3804/2023, si è concentrata principalmente su un unico tema, riguardante i riflessi fiscali delle somme risarcitorie.

Sulla base della normativa fiscale e di una giurisprudenza ormai consolidata, è stata nuovamente confermata la tesi secondo la quale, in tema di imposte sui redditi, le somme risarcitorie percepite dal contribuente sono tassabili solo nella misura in cui risultino essere state pagate a reintegro di un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi; la cd. “perdita di chance” - ossia la perdita di opportunità di accrescimento professionale – e il suo conseguente possibile risarcimento del danno non sono soggetti a tassazione.

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