Convalida di sfratto per finita locazione: costituisce mutatio libelli la domanda di risoluzione per inadempimento a seguito del mutamento del rito?

19 Aprile 2023

Il Supremo Collegio, con la sentenza in commento, ha cassato con rinvio la sentenza di merito la quale, a fronte dell'iniziale domanda di sfratto per finita locazione di un contratto transitorio, proposta dal locatore nell'atto introduttivo del procedimento sommario, aveva ritenuto inammissibile quella di risoluzione per inadempimento, formulata dallo stesso locatore nella memoria integrativa successiva al mutamento di rito ex art. 667 c.p.c., per il caso in cui il contratto fosse stato ritenuto di durata quadriennale.
Massima

Nel procedimento di convalida di sfratto per finita locazione, l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del procedimento sommario e l'instaurazione di un autonomo processo di cognizione ordinaria, con la conseguenza che il locatore può introdurre, a fondamento della sua domanda, una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, purché la nuova domanda risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta con l'atto introduttivo del procedimento sommario.

Il caso

La fattispecie sostanziale, giunta allo scrutinio del Supremo Collegio, registrava la presenza di Tizio, il quale aveva concesso a Caio, in forza di contratto di natura transitoria concluso nel dicembre 2012, un immobile di sua proprietà ad uso abitativo, con scadenza fissata al 30 novembre 2013 e pattuizione di un canone mensile dì € 380,00, da pagarsi il giorno 5 di ogni mese.

Stante che il conduttore, alla scadenza del termine di durata del contratto, non aveva rilasciato la res locata, né aveva corrisposto l'ultimo canone mensile, il locatore adiva l'autorità giudiziaria, chiedendo convalidarsi lo sfratto per finita locazione.

Oppostisi il conduttore a tale domanda, sul rilievo che quello concluso fosse un ordinario contratto quadriennale, il Tribunale, rigettata la richiesta di convalida e tenuto conto della necessità di avviare la procedura di mediazione della vertenza, rimetteva il giudizio ad altra udienza, assegnando termine alle parti per integrazione dei rispettivi atti introduttivi.

Svoltasi, senza esito, la suddetta procedura, Tizio rilevava che, nell'ipotesi in cui il giudice di prime cure avesse ravvisato la ricorrenza di un ordinario contratto della durata di quattro anni, Caio non sarebbe stato, comunque, legittimato a detenere l'immobile, avendo accumulato, dal novembre 2013, una consistente morosità nel pagamento del canone.

Depositata memoria integrativa, l'originario intimato svolgeva domanda riconvenzionale, con cui lamentava mala fede contrattuale, per essere stato concluso un contratto transitorio “pur in assenza di qualunque esigenza di tal fatta”, e, nell'ipotesi di ritenuta sussistenza di un contratto ordinario di durata quadriennale, contrastava la proposta domanda di risoluzione per grave inadempimento.

All'esito del giudizio di primo grado, l'adìto Tribunale - dopo aver dichiarato il contratto di durata quadriennale, e, dunque, con scadenza al 30 novembre 2016 (non ancora maturata) - rigettava la domanda di risoluzione per inadempimento del conduttore, ravvisando in quella proposta, in tal senso, dal locatore nella memoria integrativa, una domanda nuova.

Esperito gravame dall'attore soccombente, la Corte d'Appello lo rigettava, confermando la decisione resa in prime cure.

Avverso la sentenza del giudice distrettuale, il locatore proponeva proposto ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se fosse corretta la sentenza impugnata, laddove aveva ravvisato, nel contegno processuale assunto dal locatore, un'inammissibile mutatio libelli, per aver qualificato, nello specifico, come domanda nuova l'avvenuta modifica di quella originaria - di sfratto per finita locazione, introdotta nel rito sommario ex art. 667 c.p.c. - in domanda di risoluzione per inadempimento, quantunque questa fosse stata formulata, con la memoria integrativa di cui all'art. 426 c.p.c., per effetto dell'opposizione dell'intimato in sede di convalida e dell'intrapresa procedura di mediazione.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale doglianza fondata.

Invero, anche di recente, si è ribadito che, nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato ai sensi dell'art. 665 c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2010, n. 15399; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006, n. 21242).

Si sottolinea, al riguardo, che tali principi risultino coerenti con quanto affermato dal supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310), in relazione alla facoltà di parte attrice di modificare la domanda ab origine proposta, purché la nuova domanda risulti “connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio”, e non abbia “determinato la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, oppure l'allungamento dei tempi processuali”.

Del resto - come osservato dal Supremo Collegio - ridurre “la modificazione ammessa ad una sorta di precisazione o, addirittura, di mera diversa qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto” significherebbe, “contro la lettera e la logica della norma, costringere la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio interesse ed i propri intendimenti in relazione ad una determinata vicenda sostanziale a rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in un altro processo, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale, oppure a continuare il processo perseguendo un risultato non perfettamente rispondente ai propri desideri ed interessi, per eventualmente, poi, proporre una nuova domanda (con indubbio spreco di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice” (così Cass. n. 12310/2015, cit.).

L'unico limite, conclusivamente, alla consentita sostituzione della domanda rispetto alla domanda originaria consiste nella necessità che, “immutato l'elemento identificativo soggettivo delle persone, la domanda modificata debba, pur sempre, riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo o, comunque, essere a questa collegata, regola, questa, sicuramente ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel codice di rito in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo, ma, soprattutto se si considera, in particolare, che la domanda modificata si presenta certamente connessa a quella originaria quanto meno per alternatività” (così sempre Cass. n. 12310/2015, cit.).

Fatta applicazione di tali principi al caso di specie - ad avviso degli ermellini - nulla ostava a che il locatore, il quale aveva agito per far accertare la finita locazione, ipotizzata di natura transitoria, a fronte della posizione assunta dal conduttore, che ne assumeva, invece, la durata quadriennale, potesse richiedere la declaratoria di risoluzione per inadempimento, in ragione della morosità dello stesso conduttore; tanto appare, a fortiori, giustificato in un'ipotesi come quella dell'art. 667 c.p.c., in cui si passa dalla cognizione sommaria alla piena.

Osservazioni

La sentenza in commento dà continuità giuridica all'insegnamento dei giudici del Palazzaccio, secondo cui, nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa, per il locatore, la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e, per il conduttore, la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (v., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2021, n. 17955: nella specie, all'esito del giudizio a cognizione piena, conseguito al procedimento sommario di convalida di sfratto, la risoluzione del contratto di locazione è stata pronuncia per causa diversa da quella posta a base dell'intimazione).

D'altronde, in base al combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c., pronunciati o rigettati i provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c., il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di mutamento del rito, a seguito della quale le stesse parti sono autorizzate all'integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria.

La natura “prosecutoria” del giudizio, instaurato con l'ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c., è stata affermata dalla giurisprudenza di merito, considerato che, dopo la riforma del 1990, nel nuovo rito locatizio, modellato su quello speciale del lavoro, per il combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c., le parti non possono proporre domande nuove dopo che il giudice ha disposto il mutamento del rito, in quanto, dopo tale adempimento, è consentito soltanto il deposito di memorie integrative - a pena di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio dal giudice - posto che la proposizione di domande nuove non è sanata neppure dall'accettazione del contraddittorio, con il solo limite della formazione del giudicato (Trib. Latina 2 aprile 2013; Trib. Nola 9 ottobre 2007; Trib. Modena 29 novembre 2006; Trib. Savona 26 novembre 2005; Trib. Roma 16 aprile 2004; Trib. Palermo 3 dicembre 2002; Trib. Foggia 22 aprile 2002).

Un'ulteriore indicazione in tale senso si rinviene anche nel fatto che non è necessaria una distinta iscrizione a ruolo, con deposito di fascicolo separato, sia di parte sia dell'ufficio, quali adempimenti riferiti alla causa introdotta nella fase di merito, potendo da ciò desumersi l'unicità del procedimento complessivamente considerato, il cui inizio è costituito dalla fase sommaria dinanzi al giudice della convalida (d'altronde, siamo in presenza di parti già costituite, le quali “possono” soltanto procedere ad integrare i rispettivi scritti difensivi depositando le memorie ex art. 426 c.p.c.)

Pertanto, non potranno essere proposte nuove domande, ma soltanto modificare quelle già allegate nelle forme e termini previsti dall'art. 420, comma 1, c.p.c.

A ben vedere, la giurisprudenza di legittimità, nel corso degli anni, non sembra avere assunto un orientamento consolidato in subiecta materia.

Infatti, in alcune pronunce, si è affermato che l'opposizione dell'intimato non coincide con l'instaurazione di un nuovo ed autonomo giudizio di cognizione, ma produce soltanto un mutamento nella struttura del procedimento, che continua a svolgersi, davanti al medesimo giudice, non ponendosi più questioni di competenza per valore, in una nuova fase, quella di merito che si concluderà con la pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato, o, in altri termini, che prosegue, con la cognizione ordinaria ma con rito speciale, quell'unico procedimento, iniziatosi con l'esercizio, da parte del locatore, di un'azione di condanna nella forma speciale della citazione per convalida (Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2003, n. 8411).

In altre pronunce, si è affermato, invece, che l'opposizione dell'intimato ex art. 665 c.p.c. determina, senza che occorra all'uopo un provvedimento del giudice, la conclusione del procedimento di convalida, a carattere sommario, e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo processo con rito e cognizione ordinari, in cui non si discute più di accoglimento o di rigetto della domanda di convalida, e che si conclude con la pronuncia di una normale sentenza di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato, se la domanda del locatore viene accolta, oppure di accertamento negativo del diritto al rilascio, se la domanda di accertamento viene, viceversa, rigettata; ne consegue che, nel giudizio di merito, le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse con le rispettive posizioni e che, in particolare - come sottolineato anche dalla sentenza in commento - il locatore può dedurre una nuova causa petendi e proporre anche una nuova domanda, non incidendo sullo stesso l'eventuale illegittima instaurazione del precedente giudizio sommario (Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1993, n. 7066; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1984, n. 3930; Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1981, n. 828).

Nel corso, poi, dell'evoluzione giurisprudenziale avutasi negli ultimi anni, si è affermato che, nel procedimento per convalida di licenza o sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione del procedimento speciale in un processo di cognizione ordinaria, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., sicché non essendo previsti - tanto meno a pena di inammissibilità - gli specifici contenuti degli atti introduttivi della fase di merito anche per quelli della fase sommaria, il thema decidendum risulta cristallizzato soltanto con la combinazione degli atti introduttivi della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 4771; Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2014, n. 26356).

Pertanto, l'attore originario può, in queste ultime, emendare le sue domande (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2008, n. 16635) o anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese di controparte (Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2013, n. 12247), ivi compresa, per il locatore la possibilità di chiedere la risoluzione per inadempimento del conduttore in relazione al mancato pagamento di canoni od oneri condominiali non considerati nel ricorso per convalida di sfratto, e il conduttore ha la possibilità di dedurre nuove eccezioni e/o di spiegare domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2012, n. 3696; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356).

In quest'ordine di concetti, deve considerarsi inammissibile qualsiasi modificazione che non sia stata operata ai sensi dell'art. 426 c.p.c., attraverso l'integrazione dell'atto introduttivo nel termine perentorio fissato dal giudice (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23908), e tale inammissibilità non è sanata dall'accettazione del contraddittorio, è rilevabile d'ufficio e può essere dedotta per la prima volta davanti al giudice di legittimità (Cass. civ., sez. un., 13 luglio 1993, n. 7708).

Riferimenti

Amendolagine, Commento all'art. 667 c.p.c., in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 1002;

Scarpa, Mutatio ed emendatio libelli nell'opposizione alla convalida di sfratto, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 7, 44;

Izzo, Opposizione alla convalida di sfratto, prosecuzione del giudizio, modifica della domanda, ammissibilità: intervento nomofilattico della Cassazione, in Giust. civ., 2009, I, 389;

Masoni, Convalida di sfratto e mutamento della domanda, in Immobili & diritto, 2008, fasc. 2, 79;

Masoni, Un contrasto giurisprudenziale (solo apparente) sull'ammissibilità di domande nuove da parte dell'intimante, in seguito ad opposizione alla convalida di sfratto, in Giust. civ., 2007, I, 2158;

Izzo, Convalida di sfratto e mutamento di rito: domanda riconvenzionale e domande nuove, in Giust. civ., 2006, I, 332;

Di Marzio, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Milano, 1998.

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