È risarcibile il danno parentale subito iure proprio dal congiunto della vittima primaria che, quale conducente del veicolo, abbia causato il proprio decesso?
19 Giugno 2023
Massima
Il danno da perdita del rapporto parentale patito iure proprio dal congiunto della vittima primaria - che, quale conducente del veicolo, sia stato l'unico responsabile del sinistro che abbia causato il proprio decesso - non è risarcibile. Il caso
La conducente di un veicolo con a bordo il figlio - dopo aver arrestato l'autovettura nel cortile di un asilo, spento il motore e posizionato la leva del cambio automatico in folle - è scesa dall'autovettura e si è diretta verso il cancello per chiuderlo. L'autovettura, a causa della pendenza della strada, è retrocessa e ha schiacciato la conducente contro il cancello. La conducente, nell'evento, ha perso la vita. Il figlio della vittima ha agito in giudizio nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti iure proprio. Il Tribunale di Padova - disposta la chiamata in causa del proprietario del veicolo - con sentenza 16 aprile 2015 n. 1176 ha ritenuto che il danno non fosse risarcibile in quanto addebitabile in via esclusiva alla vittima primaria del sinistro e, pertanto, ha rigettato la domanda.
Il figlio della vittima ha proposto appello avverso detta sentenza. La Corte d'Appello di Padova con sentenza 6 novembre 2018 n. 3008:
L'impresa di assicurazione ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a due motivi. Con il primo motivo di ricorso ha lamentato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti: errato riconoscimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale risarcibile a favore dei congiunti della vittima stante la colpa esclusiva di quest'ultima in merito all'evento per cui è giudizio. L'impresa di assicurazione con tale motivo ha censurato la sentenza di merito nella parte in cui non ha omesso di richiedere al danneggiato la prova dell'effettivo pregiudizio subito ai sensi dell'art. 2697 c.c. e per aver omesso di considerare che, essendo la vittima primaria del sinistro anche l'unica responsabile del medesimo, la garanzia assicurativa doveva essere elisa da tale prevalente profilo di responsabilità. L'impresa di assicurazione, a sostegno della tesi, ha citato il tenore testuale dell'art. 2043 c.c. il quale fa riferimento all'aver cagionato, con comportamento doloso o colposo, un danno ad altri e non anche a se stesso e i principi propri della materia assicurativa secondo i quali il diritto al risarcimento sorge solo e soltanto se la vittima primaria è distinta dal responsabile dell'evento, finendo altrimenti la garanzia per essere elisa dalla responsabilità. Con il secondo motivo di ricorso ha lamentato violazione e falsa applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c. ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale ai prossimi congiunti della vittima stante la colpa esclusiva di quest'ultima in merito al verificarsi dell'evento per cui è giudizio. L'impresa di assicurazione con tale motivo ha censurato la sentenza di merito nella parte in cui non ha fatto corretta applicazione della disposizione secondo la quale il rapporto causale tra la condotta e il sinistro può essere interrotto anche dal caso fortuito inteso quale fatto esclusivo del danneggiato in applicazione dell'art. 1227 c.c. Il figlio della vittima ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata:
La Suprema Corte con la decisione in commento (Cass. 9 febbraio 2023 n. 4054):
La questione
La questione giuridica affrontata dal giudice è relativa alla risarcibilità o meno del danno da perdita del rapporto parentale patito iure proprio dal congiunto della vittima primaria che, quale conducente del veicolo, sia stato l'unico responsabile del sinistro che abbia causato il proprio decesso. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte dissente dalla decisione della Corte di merito - che aveva affermato il principio della risarcibilità del danno parentale seppur la responsabilità del medesimo fosse addebitabile esclusivamente alla vittima primaria del sinistro - e pone alla base della sua decisione quattro considerazioni strettamente connesse tra loro così riassumibili:
La Suprema Corte, pertanto, rileva che non è risarcibile il danno parentale patito iure proprio dal congiunto della vittima che sia stata unica responsabile del proprio decesso in quanto tale danno presuppone, a monte, l'esistenza di un illecito che abbia colpito la vittima primaria e da cui sia derivato il pregiudizio sofferto dal congiunto. Osservazioni
La decisione della Suprema Corte è certamente condivisibile - anche se la quarta e ultima considerazione avrebbe dovuto precedere, per un principio di specialità, le altre - ma quello che lascia per certi versi sgomenti è la decisione della Corte di merito. Queste le ragioni.
Prima dell'introduzione dell'assicurazione obbligatoria dei veicoli (introdotta dalla l. 24 dicembre 1969, n. 990) le polizze di assicurazione volontarie per la R.C. stipulate ai sensi dell'art. 1917 c.c. contenevano clausole di esclusione della copertura assicurativa per determinati soggetti. I modelli contrattuali adottati all'epoca dalle imprese di assicurazione erano tutti pressoché uniformi e prevedevano: - l'obbligo per le imprese di tenere indenne l'assicurato rispetto alle somme dallo stesso erogate a titolo di risarcimento del danno quale responsabile civile per i danni involontariamente cagionati a terzi e, cioè, soggetti estranei al contratto di assicurazione e alla circolazione del veicolo; - l'esclusione dal novero di terzi di alcune categorie di persone quali l'assicurato, il proprietario e il conducente del veicolo (la cui responsabilità non era coperta dall'assicurazione R.C.) nonché i loro parenti di primo grado o quelli che convivevano con loro e i dipendenti dell'assicurato che erano addetti al servizio del veicolo.
Con l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria dei veicoli i soggetti terzi, esclusi dalla copertura assicurativa, sono stati codificati dalla normativa speciale. L'art. 4 l. 24 dicembre 1969 n. 990, in particolare, nel testo originario presente in G.U. prevedeva che non sono considerati terzi e non hanno diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria: - tutti coloro la cui responsabilità deve essere coperta dall'assicurazione obbligatoria R.C.A. e, cioè, il proprietario, il conducente e i soggetti a essi equiparati di cui all'art. 2054 c.c.; - alcune categorie di loro parenti, affiliati e affini fino al terzo grado in determinati casi (quando convivevano con loro o erano a loro carico); - le persone trasportate; - ove l'assicurato era una società, i soci a responsabilità illimitata e i loro parenti, affiliati e affini fino al terzo grado in determinati casi.
La norma, negli anni, ha subito alcuni interventi modificativi così riassumibili: - l'art 1, comma 4, d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 1977 n. 39, ha esteso l'ambito di operatività dell'assicurazione R.C.A. anche ai soggetti trasportati a qualunque titolo; - la Consulta (Corte cost. 2 maggio 1991 n. 188) - a seguito del mancato recepimento dell'art. 3 della direttiva CEE 30/121983 n. 84/5 che prevedeva che “i membri del della famiglia dell'assicurato, del conducente e di qualsiasi altra persona la cui responsabilità sia sorta a causa di un sinistro e sia coperta dall'assicurazione […] non possono essere esclusi, a motivo del legame di parentela, dal beneficio dell'assicurazione, per quanto riguarda i danni a persona” - ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma (lett. b) nella parte in cui escludeva dal diritto ai benefici dell'assicurazione obbligatoria, per quanto riguarda i danni alle persone, il coniuge, gli ascendenti e i discendenti legittimi, naturali o adottivi delle persone indicate alla lettera a), nonché gli affiliati e gli altri parenti e affini fino al terzo grado delle medesime quando convivano con esse o siano a loro carico; - l'art. 28 l. 19 febbraio 1992 n. 142 ha previsto, tra l'altro, che non è considerato terzo e non ha diritto ai benefìci derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria stipulato a norma della legge il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro.
La norma così modificata è stata abrogata e trasfusa nell'art. 129 cod. ass. che oggi, per quello che qui rileva, al comma 1 prevede, per quanto concerne i danni a persona, che non è considerato terzo e non ha diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro.
Tale norma: - è in perfetta armonia con il diritto eurounitario e con quanto prevede, in particolare, l'art. 12, comma 1, della Direttiva 2009/103/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 n. 103 (in GUE 7 ottobre 2009 n. 263); - è certamente speciale e, pertanto, prevale su qualsiasi altra norma generale (art. 2043 c.c. compreso); - è, in ogni caso, in linea con il disposto di cui all'art. 2043 c.c.
Quindi il conducente del veicolo responsabile del sinistro da sempre non è considerato terzo e non ha diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria.
Conclusioni Deve ritenersi, pertanto, per tutto quanto fin qui esposto che del tutto correttamente la Suprema Corte ha posto rimedio all'errata e per certi versi bizzarra decisione della Corte di merito e ha ritenuto che il danno parentale patito iure proprio dal congiunto della vittima primaria - che, quale conducente del veicolo, sia stato l'unico responsabile del sinistro che abbia causato il proprio decesso - non è risarcibile. Tale principio di irrisarcibilità, a maggior ragione, nello stesso caso va esteso al danno parentale patito iure hereditario dal congiunto della vittima primaria per i danni da esso subiti in vita. |