Esenzione ICI per la casa principale senza i familiari: alle SS.UU. la questione dopo la declaratoria di incostituzionalità sull'IMU

20 Giugno 2023

La Sezione tributaria della Cassazione, in esito ad un'articolata disamina della disciplina legislativa succedutasi in materia di ICI/IMU per l'abitazione principale – da ultimo incisa dalla declaratoria di incostituzionalità delle norme che stabilivano la necessità di scegliere un immobile esente IMU laddove i componenti del nucleo familiare risiedessero e dimorassero in immobili diversi (Corte costituzionale n. 209/2022) – dopo aver attentamente ripercorso i propri orientamenti giurisprudenziali, trasmetteva gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per la rimessione alle Sezioni unite civili ex art. 374, comma 2, c.p.c. della questione di massima di particolare importanza, se sia giuridicamente corretta e costituzionalmente orientata l'interpretazione dell'art. 8, comma 2, d.Lgs. n. 504/1992, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b), L. n. 296/2006.
Massima

In tema di esenzione ICI per l'abitazione principale, in esito alla sentenza della Corte costituzionale n. 209/2022 in tema di IMU, va rimessa alle Sezioni Unite civili della Cassazione la risoluzione della questione di massima di particolare importanza se sia giuridicamente corretta e costituzionalmente orientata l'interpretazione dell'art. 8, comma 2, d.Lgs. n. 504/1992, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b), L. n. 296/2006, nel senso che l'agevolazione va riconosciuta anche nel caso di abitazione principale «nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale», dimori abitualmente senza i suoi familiari.

Il caso

Un contribuente proprietario dell'abitazione principale sita nel Comune di Pietrasanta il cui coniuge aveva la stabile dimora presso un immobile sito in altro Comune proponeva opposizione avverso tre avvisi di accertamento emessi per infedele dichiarazione dell'ICI relativa agli anni 2009, 2010 e 2011, invocando il diritto all'esenzione.

Rimasto soccombente in primo grado, l'adita Commissione tributaria regionale gli accoglieva il gravame nel rilievo che avesse diritto all'esenzione prevista per l'abitazione principale in relazione all'ICI degli anni 2010 e 2011 (escluso il 2009 per dichiarata decadenza dell'ente impositore dal potere accertativo), giudicando irrilevante che una parte della sua famiglia dimorasse altrove.

Avverso la sentenza d'appello il Comune impositore proponeva ricorso per cassazione con cui denunciava la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8, comma 2, D.Lgs. 504/1992 e 4 d.P.R. 223/1989, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per essere stato erroneamente ritenuto dai giudici regionali che il contribuente avesse diritto all'esenzione dall'ICI per l'abitazione principale, ancorché il coniuge non avesse stabile dimora presso il medesimo immobile negli anni di riferimento.

La Sezione tributaria della Cassazione, in esito ad un'articolata disamina della disciplina legislativa (e di prassi: v. circolare ministero finanze n. 3/DF del 18 maggio 2012) succedutasi in materia di ICI/IMU per l'abitazione principale, dopo aver attentamente ripercorso i propri orientamenti giurisprudenziali, trasmetteva gli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione per la rimessione alle Sezioni unite civili ex art. 374, comma 2, c.p.c. della questione di massima di particolare importanza sopra massimata.

La questione

La questione, riguarda il caso – non espressamente disciplinato ai fini ICI – in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati in differenti Comuni.

Come noto la sentenza costituzionale n. 209/2022 ha stabilito il diritto all'esenzione dall'IMU per ciascuna abitazione principale di persone sposate o parti di un'unione civile, nel rispetto dei requisiti della dimora abituale e della residenza anagrafica del possessore dell'immobile e non anche del suo nucleo familiare (vedi G. Scuffi, Il tributario, giurisprudenza commentata del 28 novembre 2022).

Ora, in tema di agevolazioni ai fini ICI (poi sostituita dall'IMU ex art. 8, comma 3, del D.Lgs n. 23/2011 e dalla “nuova IMU”, comprensiva della TASI, ex art. 1, comma 741, della L. n. 160/2019), la questione rimessa alle sezioni Unite civili della Cassazione concerne la necessità di analizzare e rivedere l'interpretazione consacrata dal cd. “diritto vivente” con riguardo alla permanenza del requisito della dimora abituale dei familiari ai fini del riconoscimento al contribuente dell'analogo beneficio, valevole per l'abitazione principale – in termini di esenzione totale a partire dal 1° gennaio 2014 (art. 1, comma 707, L. n. 147/2014) – per tutte le categorie catastali abitative, tranne quelle cd. di lusso (A/1, A/8, A/9).

Il requisito dell'«abitazione principale», nella parte in cui è stabilito il comune presupposto della «dimora abituale» dei familiari per il riconoscimento dell'agevolazione ai fini ICI, stante il valore meramente presuntivo a tal fine della residenza anagrafica, potrebbe dar luogo ad un'illegittimità costituzionale “derivata” dell'art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b), della L. n. 296/1996.

Le soluzioni giuridiche

Secondo il consolidato indirizzo – restrittivo – delle norme agevolative (di stretta interpretazione) offerto da tempo dalla Corte di cassazione, nel caso in cui due coniugi non legalmente separati abbiano stabilito la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico ed unica, pertanto, dovrà essere anche l'abitazione principale ad esso riferibile ai fini della detrazione d'imposta, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all'agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, ivi non realizzandosi il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare.

Ciò in applicazione della lettera e della ratiodella norma agevolativa, che è quella di impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici fiscali per l'abitazione principale. La nozione di «abitazione principale» postula, pertanto, l'unicità dell'immobile e richiede la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, sicché non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell'ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi (in termini, tra le tante, Cass., Sez. V, n. 17408/2021; Cass., Sez. V-VI, n. 893/2022; Cass., Sez. VI-V, n. 1199/2022).

In caso di comunione legale tra coniugi, quel che conta è che l'immobile acquistato sia destinato a «residenza della famiglia» desumibile dall'art. 144 c.c. - da intendersi il luogo di ubicazione della casa coniugale perché esso individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia (Cass., Sez. V, n. 14389/2010; Cass., Sez. I, n. 6012/2001), a nulla rilevando che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune; e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ex art. 177 c.c. (quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso). Ai fini dei benefici fiscali per la prima casa, dunque, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, per cui, ove l'immobile acquistato sia adibito a tale destinazione, non rileva la diversa residenza di uno dei due coniugi che abbiano acquistato in regime di comunione (Cass., Sez. V, n. 16355/2013; Cass., Sez. V, n. 25889/2015; Cass., Sez. V, n. 13335/2016; Cass., Sez. V, n. 16001/2021).

Tale fattispecie – che non va confusa con quella, del tutto differente), in cui, invece, vi sia stata la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto talché l'abitazione principale non possa essere più identificata con la casa coniugale (ex multis Cass., Sez. V, n. 15439/2019; Cass., Sez. V, n. 17408/2021; su tale differenziazione, v. Cass., Sez. VI-V, n. 12050/2018) – esige che si accerti in quale immobile si realizzi l'abitazione principale del nucleo familiare, riconoscendosi l'esenzione solo alla stessa, da individuarsi sulla base della coabitazione dei coniugi e della di loro famiglia.

In definitiva, ai fini della agevolazione fiscale prevista in tema di ICI dall'art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, secondo il “diritto vivente” consacrato dalla giurisprudenza di legittimità l'abitazione principale è solo quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato:

  1. la residenza (accertabile tramite i registri dell'anagrafe);
  2. la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell'anno).

Ma proprio muovendo dal“diritto vivente” con riguardo alla permanenza del requisito della dimora abituale dei familiari ai fini del riconoscimento al contribuente dell'agevolazione prevista per l'abitazione principale, la sezione tributaria della Cassazione rinviene l'esigenza di un tentativo diretto a superare l'esegesi letterale dell'art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b), L. n. 296/2006, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata nel solco tracciato dal giudice delle leggi per l'IMU.

Per la sezione rimettente la sentenza costituzionale n. 209/2022 impone di rivalutare, per l'evidente analogia dei presupposti, se, alla stregua dei consolidati principi giurisprudenziali, la “conformazione” al dettato costituzionale dell'art. 13, comma 2, quarto periodo, del D.L. n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214/2011, come modificato dall'art. 1, comma 707, lett. b), L. n. 147/2013, che ha ridefinito – in senso favorevole al contribuente, per l'ipotesi di dimora e residenza dei coniugi in immobili ubicati in diversi Comuni (o anche nel medesimo Comune) - i requisiti dell'«abitazione principale», ridondi in un'illegittimità costituzionale “derivata dell'art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b), della L. n. 296/2006, almeno nella parte in cui è stabilito il comune presupposto della «dimora abituale» (stante il valore meramente presuntivo a tal fine della residenza anagrafica) dei familiari per il riconoscimento dell'analoga agevolazione ai fini dell'ICI.

Se da un lato l'interpretazione “adeguatrice” - che è finalizzata a conformare il dato normativo al dettato costituzionale - incontra un insuperabile ed invalicabile limite nel testo letterale della disposizione legislativa (vedi Corte Costituzionale n. 167/2013; Id., n. 232/2013; Id. n. 36/2016; Id., n. 82/2017; Id., n. 174/2019), dall'altro occorre tener conto che la stessa Consulta ha sancito l'invalidità, in parte qua, della norma in materia di IMU dal contenuto identico alla norma in materia di ICI.

Osservazioni

Il giudice nomofilattico è chiamato a dirimere un contrasto tra “forma” e “sostanza” da risolvere – secondo l'ordinanza interlocutoria qui annotata – alla luce della ratio decidendi della succitata declaratoria di incostituzionalità al fine della sua possibile estensione ed applicazione alle fattispecie non censurate in tema di ICI, trattandosi di operazione ermeneutica che rientra nel potere interpretativo-adeguativo alla Costituzione del giudice ordinario onde conformare la regula iuris ricavabile dalla disposizione censurata al principio enunciato dalla giurisprudenza costituzionale, al fine di pervenire ad un risultato interpretativo conforme a Costituzione.

Ad avviso del Collegio rimettente, ciò che contraddistingue la presente fattispecie, potendo in tesi consentire il ricorso ad un'interpretazione costituzionalmente «conforme» del testo normativo, è la pregressa dichiarazione di illegittimità costituzionale della disciplina sull'agevolazione prevista per l'IMU, per la parziale sovrapponibilità alla disciplina sull'agevolazione in tema di ICI, in considerazione del riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell'immobile, ma anche del suo nucleo familiare.

Dunque, nell'ottica di un'interpretazione costituzionalmente orientata – che prescinda dalla mera esegesi letterale e, quindi, dalla “forma” - dell'art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b, della L. n. 296/2006, potrebbe pervenirsi alla sostanziale “disapplicazione” del “frammento” testuale coincidente con la formulazione originaria dell'art. 13, comma 2, quarto periodo, del D.L. n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214/2011, come modificato dall'art. 1, comma 707, lett. b, della L. n. 147/2013, in modo da espungere (o, comunque, non rendere vincolante) – nella ricostruzione “costituzionalizzata” della regola desumibile dalla succitata disposizione – la “sostanza” del riferimento ai «familiari» del contribuente nella definizione dell'abitazione principale.

Questa “semplice” operazione ermeneutica che la sezione tributaria di Piazza Cavour affida alle sezioni Unite civili della Cassazione – data la sua particolare importanza in relazione ai riflessi patrimoniali per i contribuenti ed i Comuni interessati – consentirebbe auspicabilmente di approdare ad un adeguamento della norma de qua all'assetto sistematico dell'ordinamento vigente, con il conseguente ripristino della coerenza interna del corpus normativo, senza necessità, quindi, di sollevare un'ulteriore questione di legittimità costituzionale ed interpretando quindi l'art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, come modificato dall'art. 1, comma 173, lett. b, della L. n. 296/2006 nel senso che l'agevolazione ICI va riconosciuta anche in caso di abitazione principale «nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale», dimori abitualmente senza i suoi familiari.

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