L'obbligazione solidale, di colui che ha agito per conto dell'associazione non riconosciuta, è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege

Katia Mascia
21 Giugno 2023

Il Tribunale di Massa si occupa del caso di un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, concluso tra una società, proprietaria dell'immobile, ed un'associazione sportiva dilettantistica, nella quale la carica di presidente è ricoperta solo formalmente da una donna molto anziana, risultando il figlio della stessa il gestore di fatto, ossia colui che ha compiuto i concreti atti negoziali oggetto di causa.
Massima

La responsabilità personale e solidale prevista dall'art. 38 c.c., a carico di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, non è collegata alla semplice titolarità della rappresentanza dell'associazione, ma all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e concretizzatasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi.

Il caso

Una società aveva promosso azione di sfratto nei confronti di un'associazione sportiva dilettantistica, sulla base di un contratto di locazione ritualmente registrato.

L'associazione convenuta si era limitata a rilevare di non aver mai firmato quel contratto e, pur non negando di aver contratto accordi negoziali con l'attrice, né di aver utilizzato il bene oggetto di causa, aveva affermato che i rapporti fra le parti erano sempre stati regolati verbalmente, in assenza di un valido ed efficace contratto di locazione.

L'attrice, dunque, aveva prodotto in giudizio i documenti accessori alla registrazione del contratto, facendo presente che la gestione della palestra condotta dall'associazione, nei locali oggetto di causa, era sempre stata curata dal figlio di quella, che risultava essere la presidente, donna molto in là con gli anni e che, nelle more del giudizio, sarebbe poi deceduta.

Su tali documenti, la parte convenuta, salvo il disconoscimento della firma della presidente su un documento, non aveva mosso alcuna specifica contestazione.

Veniva, quindi, disposta un'ordinanza provvisoria di rilascio e mutato il rito.

Nel corso del giudizio emergeva che il figlio della presidente era l'effettivo gestore della palestra esercitata nei locali oggetto di causa.

L'attrice, pertanto, chiedeva la chiamata in causa dei due, quali responsabili in via solidale degli atti gestori compiuti in nome o per conto dell'associazione convenuta.

Dall'istruttoria emergeva che le firme apposte sul contratto non erano riconducibili alla donna ma al figlio e che costui di fatto aveva sempre gestito l'associazione sportiva, intrattenendo contatti con la società locatrice proprio al fine di trattare in merito alla morosità maturata e alla prosecuzione del contratto.

La società conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Massa, l'associazione sportiva affinchè venisse accertato il grave inadempimento di questa e, per l'effetto, dichiarata la risoluzione del contratto di locazione per morosità, con conferma dell'ordinanza di rilascio già emessa; chiedeva che la stessa associazione fosse condannata al pagamento dei canoni maturati successivamente al deposito del ricorso, scaduti e non corrisposti, fino alla liberazione dell'immobile; chiedeva, altresì, che fosse accertata e dichiarata la responsabilità personale e solidale, con l'associazione, della presidente e del figlio, ai sensi dell'art. 38 c.c., e, infine, che fosse dichiarata l'occupazione sine titulo da parte della convenuta dei locali locati, con condanna della stessa al pagamento dell'indennità di occupazione, nonché che fosse dichiarata la responsabilità personale e solidale, ex art. 38 c.c., con l'associazione, della presidente e del figlio.

La convenuta si costituiva in giudizio, chiedendo, fondamentalmente, che fosse dichiarata la decadenza e l'improcedibilità della domanda attorea promossa nei confronti della presidente dell'associazione e del di lei figlio e che, pertanto, ne fosse dichiarato il difetto di legittimazione passiva con conseguente estromissione dal giudizio. Inoltre, chiedeva il rigetto delle domande attoree, con revoca dell'ordinanza di rilascio e dell'ingiunzione di pagamento.

La questione

Si tratta di stabilire se possa essere affermata la responsabilità di un soggetto per l'attività negoziale concretamente svolta in nome e nell'interesse di un'associazione sportiva dilettantistica non riconosciuta, indipendentemente dalla carica rivestita al momento dei fatti.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Massa accoglie il ricorso e dichiara la risoluzione del contratto di locazione stipulato dalle parti, per inadempimento grave del conduttore e non luogo a provvedere sul rilascio, già avvenuto. Condanna l'associazione dilettantistica a versare alla società attrice i canoni scaduti, oltre interessi legali dalle singole scadenze. Condanna in via solidale con l'associazione e fra loro il figlio della presidente, in proprio e quale erede della stessa, nonchè gli altri eredi, al versamento all'attrice dei canoni scaduti, oltre interessi legali dalle singole scadenze, nonché alla refusione delle spese di lite in favore di quest'ultima. Infine, prevede anche una condanna della convenuta ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

Osservazioni

L'art. 1571 c.c. definisce la locazione come il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all'altra (conduttore o locatario) una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo. Il codice civile riserva al contratto di locazione una serie di norme le quali, però, devono essere integrate con le disposizioni contenute, in particolare, nella l. n. 392/1978 (c.d. legge sull'equo canone) e l. n. 431/1998.

Occorre, in primo luogo, osservare che la locazione a uso diverso da quello abitativo è il contratto con il quale un soggetto (locatore) mette a disposizione di un altro soggetto (conduttore) un immobile destinato a un uso diverso da quello di abitazione, in cambio del pagamento di un corrispettivo pattuito tra le parti.

Per quanto riguarda la forma contrattuale, quella scritta ad substantiam nel nostro ordinamento è prevista soltanto per la stipula di validi contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, ai sensi dell'art.1, comma 4, della l. n.431/1998. Per le locazioni ad uso diverso, invece, non è prevista una siffatta necessità.

Nel caso in esame, l'esistenza del contratto va desunta da elementi ulteriori e diversi rispetto al testo negoziale, il quale, peraltro, reca la firma falsa della presidente, apposta dal figlio. Nonostante la firma apocrifa, il documento de quo, anche se non può ritenersi titolo negoziale fra le parti, rappresenta comunque un elemento idoneo a integrare il contenuto dell'accordo negoziale intercorso fra le parti. Infatti, dall'istruttoria esperita e dall'esame dei documenti prodotti - come, ad esempio, le fatture emesse per anni per il pagamento dei canoni da parte del locatore in favore della convenuta - emerge pacificamente l'esistenza di un rapporto locatizio.

D'altronde, la convenuta nulla ha tempestivamente contestato in merito ai pagamenti documentati dall'attore, ossia agli estratti conto prodotti. Pertanto, essi devono ritenersi provati come effettuati dall'associazione sportiva per canoni relativi al fondo oggetto di causa.

Va evidenziato, al riguardo, che la Suprema Corte, con la recentissima pronuncia del 22 febbraio 2023, n. 5479, ha affermato la validità e l'efficacia del negozio - al quale è apposta una firma apocrifa - nei confronti del soggetto la cui firma è stata artefatta, qualora quest'ultimo ne sia o ne venga a conoscenza e non disconosca la firma apocrifa, ovvero si avvalga degli effetti del contratto, applicandosi in via analogica la disciplina della ratifica del contratto concluso dal rappresentante privo di potere rappresentativo, ovvero che abbia ecceduto i limiti delle facoltà conferitegli, di cui all'art. 1399 c.c.

Il caso in esame non è immediatamente riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 1399 c.c. Infatti, non si tratta di un contratto sottoscritto da un soggetto privo del potere di rappresentanza, bensì di un negozio che reca la firma della legale rappresentante dell'associazione, la quale, tuttavia, si scopre essere falsa.

I Giudici di legittimità, nella pronuncia citata innanzi, affermano che, nel caso sottoposto alla loro attenzione, si è verificata non una attività svolta da un falsus procurator, quanto piuttosto l'ipotesi distinta del contratto stipulato sotto nome altrui, o con sostituzione di persona, pur se con la decisiva variante che il falso nome era stato usato da colui che aveva agito come legale rappresentante della società, essendo questa stata indicata come parte contrattuale. Il contratto stipulato in tal modo non è nullo ma sarebbe improduttivo di effetti nella sfera giuridica dell'apparente firmatario, a meno che questi non lo faccia proprio.

Per gli ermellini, occorre distinguere le ipotesi in cui l'autore della dichiarazione abbia voluto per sé il risultato del negozio, ovvero abbia inteso attribuirlo al titolare del nome usato, dovendosi procedere volta per volta ad una delicata operazione ermeneutica del comune volere dei contraenti. Nella fattispecie sottoposta al loro esame, la situazione poteva ritenersi assimilabile ad una spendita indebita del nome del legale rappresentante della società, come aveva ritenuto il giudice di merito.

Infatti, la falsificazione della sottoscrizione del vero legale rappresentante dà luogo - sul piano dell'apparenza - alla riferibilità del negozio alla società, alla persona giuridica, esattamente come la conclusione del negozio da parte di chi dichiari di rappresentare un soggetto che non è abilitato a rappresentare. La Suprema Corte, dunque, giunge alla conclusione che, se l'ipotesi non è immediatamente riconducibile a quella della rappresentanza diretta, è tuttavia possibile l'applicazione in via analogica della relativa disciplina codicistica.

Nel caso posto all'attenzione del Tribunale di Massa, il figlio della presidente dell'associazione dilettantistica viene definito come il deus ex machina di un complesso e opaco articolato di associazioni sportive, gestite in concreto e in prima persona, addirittura vantandosi degli ingenti fatturati. Il giudice adìto, con riferimento a lui, si richiama al principio secondo il quale la responsabilità personale e solidale, prevista dall' art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione stessa, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e concretizzatasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi (Cass. civ., sez. V, 15 ottobre 2018, n. 25650; Cass. civ., Sez. VI/V, 24 febbraio 2020, n. 4747; Trib. Monza16 settembre 2021, n. 1667).

Le Associazioni sportive dilettantistiche (ASD) rappresentano una delle molteplici manifestazioni del fenomeno associativo, che trova un espresso riconoscimento nell'art. 2 Cost., secondo il quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Le stesse possono essere ricondotte a due diverse tipologie, caratterizzate da una diversa forma giuridica. La prima, quella riconosciuta, è caratterizzata dall'acquisizione della personalità giuridica che la rende entità diversa e autonoma rispetto agli associati. In tal caso l'atto costitutivo ha la funzione di dar vita alla persona giuridica mentre lo statuto, quale atto complementare al primo, ne regolamenta l'ordinamento, l'amministrazione e il funzionamento. Trattandosi di un centro di imputazione di diritti ed obblighi del tutto distinto e separato dai singoli associati, ha anche piena autonomia patrimoniale.

La seconda tipologia di ASD è quella non riconosciuta (artt. 36 ss. c.c.), che rappresenta di gran lunga la più diffusa ed utilizzata. Essa, pur rappresentando un soggetto giuridico distinto e autonomo dai singoli associati che la compongono ed avendo un proprio fondo comune (art. 37 c.c.), una propria organizzazione, regolata dagli accordi degli associati e, in mancanza, dalle norme dettate per le associazioni riconosciute qualora compatibili, risponde delle obbligazioni contratte sia con il proprio patrimonio (fondo comune), sia con i beni personali degli amministratori e/o di chi abbia agito in nome e per conto dell'associazione medesima, spendendone il nome. Per i debiti dell'ente risponde, in prima battuta, il fondo comune dell'associazione e, solo in seconda, quello personale di coloro che hanno convenuto e/o effettuato l'operazione in nome e per conto di quest'ultima

Come sancito in giurisprudenza, ai fini della responsabilità del rappresentante di un'associazione non riconosciuta, non rileva la carica rivestita al momento dei fatti, bensì l'attività negoziale concretamente svolta dal soggetto e la circostanza che i terzi abbiano fatto affidamento sulla sua solvibilità e sul suo patrimonio (Cass. civ., sez. V, 10 settembre 2009, n. 19486). Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, e ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege.

Nelle associazioni non riconosciute, la disposizione riguardante la responsabilità personale e solidale ex art. 38 c.c. serve a controbilanciare l'assenza di un sistema di pubblicità legale che garantisca i terzi che entrano in contatto con l'ente, nell'impossibilità per questi di conoscerne l'effettivo patrimonio. Quindi, la presenza del legale rappresentante funge da garanzia verso i terzi creditori, trascendendo dal ruolo che il soggetto ha avuto all'interno della compagine associativa, collegandosi invece alla reale ingerenza nell'attività dell'associazione (Cass. civ., sez. VI, 26 febbraio 2019, n. 5684). Invece, con riguardo a colei che appare formalmente come presidente dell'associazione sportiva dilettantistica, il Tribunale ha rilevato come detta carica, di per sé, non legittima alcuna attribuzione di responsabilità, qualora alla stessa non sia riconducibile alcuna attività gestoria.

Ne consegue che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente stesso (Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2008, n. 25748; Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2014, n. 18188; Cass. civ., sez. VI, 4 aprile 2017, n. 8752; Cass. civ., sez. VI, 21 gennaio 2019, n. 1489; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Genova 6 aprile 2007, n. 1347).

Il giudice di prime cure evidenzia, però, che la presidente, pur essendo molto anziana e poco incline a interessarsi alle attività dell'associazione gestita materialmente dal figlio, nel costituirsi in giudizio non ha disconosciuto la circostanza di aver intrattenuto rapporti negoziali con la società attrice, né ha dedotto in giudizio che i documenti prodotti dal locatore e necessari a dar corso agli adempimenti tributari del contratto, le siano stati sottratti a sua insaputa. Così facendo, la donna dimostra di conoscere le attività dell'associazione e di averle legittimate, assecondando la gestione del figlio, fornendogli anche copia dei propri documenti affinché lo stesso firmasse illecitamente con il suo nome il contratto successivamente disconosciuto. Pertanto, si riconosce in capo alla signora, anche se in una forma peculiare, una componente gestoria e la conseguente responsabilità. In seguito alla morte della donna, ovviamente, i riflessi patrimoniali di tale responsabilità si trasmettono ai suoi eredi.

Riferimenti

Perrini, Atto costitutivo e statuto di associazione sportiva dilettantistica, in Notariato, 2005, fasc. 3, 263;

Trimarchi, Codice delle locazioni, Milano, 2010;

Lazzaro - Preden, Le locazioni ad uso non abitativo, Milano, 2010, ediz. VI, tomo I.

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