Contatto sociale e responsabilità del dipendente di un istituto di credito

Sebastiana Ciardo
26 Giugno 2023

Il Tribunale di Treviso, dopo un'ampia disamina della casistica giurisprudenziale in tema di responsabilità da contatto sociale, nel caso di specie ha stabilito che non è configurabile una responsabilità da “contatto sociale qualificato” in capo al dipendente di un istituto di credito, per il caso di violazione dei doveri di informazione, perché privo di poteri decisionali e discrezionali che competono esclusivamente alla dirigenza della banca.
Massima

Non è configurabile una responsabilità da “contatto sociale qualificato” in capo al dipendente di un istituto di credito, per il caso di violazione dei doveri di informazione, perché privo di poteri decisionali e discrezionali che competono esclusivamente alla dirigenza della banca. Ne consegue che ogni obbligo di protezione, discendente dalla prestazione contrattuale, è esigibile verso l'istituto di credito, unico soggetto tenuto ad adempiere nei confronti del cliente ed obbligato a vigilare sul rispetto dei doveri di informazione e diligenza dei propri dipendenti che rispondono, nel caso di violazione, nei confronti del datore di lavoro.

Il caso

La signora Tizia, in possesso della somma di € 98.000,00, si rivolge ad un istituto di credito per operare un investimento e ivi viene seguita, in via esclusiva, da Caio, dipendente della filiale di Veneto Banca il quale, dopo alcuni incontri, le consiglia di investire la somma nell'acquisto di azioni della stessa banca.

Nel corso del tempo, però, Tizia lamenta che nessuna informazione le è stata fornita e che, nell'anno 2014, dopo avere richiesto di disinvestire una parte della somma da impiegare per esigenze personali, ottiene dalla banca € 30.000,00.

Scoprirà successivamente che si trattava di un prestito e che l'intero suo investimento è andato perduto a causa della decozione dell'istituto di credito. Tizia si duole sia dell'omessa informazione e preventiva valutazione del suo profilo di investitore, molto basso trattandosi di casalinga con titolo di studio di scuola media inferiore il cui marito svolgeva l'attività di operaio, nonché dell'inadeguatezza dell'investimento, rivelatosi ad alto rischio. Tizia, pertanto, agisce nei confronti di Caio a titolo di responsabilità precontrattuale da “contatto sociale”, ai sensi degli artt. 1173 e 1337 c.c. ovvero, in subordine, a titolo di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c., chiedendo la condanna del convenuto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale quantificato in complessivi 154.428,00, al netto delle somme ricevute in precedenza.

La questione

Quali sono i presupposti di fatto per ritenere provata la responsabilità da “contatto sociale”?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Treviso, dopo un'ampia disamina della casistica giurisprudenziale in tema di responsabilità da “contatto sociale”, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta, per carenza probatoria circa i presupposti della fattispecie richiamata, ritenuti nella specie carenti.

Il Giudice ha preliminarmente ricavato, dall'analisi dei casi trattati dalle corti di merito nei quali è stato ritenuto ricorrere una tale forma di responsabilità, gli elementi comuni: in primo luogo, la ricorrenza di una relazione tra persone determinate; in secondo luogo, il coinvolgimento di beni della vita meritevoli di protezione, requisiti sussistenti nel caso in esame, giacché il rapporto si è instaurato tra Tizia e Caio e le condotte colpevoli hanno inciso sul patrimonio e sulla propensione al risparmio, interessi dotati di copertura costituzionale ai sensi dell'art. 47 Cost.

Un terzo requisito individuato dal giudice, quale denominatore comune, è l'esistenza di un obbligo di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c. in capo ad uno dei soggetti cui si correla il ragionevole affidamento (qualificato), riposto dall'altro contraente sull'altrui professionalità. Quest'ultimo elemento, sovente garantito dall'iscrizione all'albo professionale, è stato ritenuto carente nella fattispecie in esame sul presupposto che Caio, dipendente della banca, non rivestisse alcun ruolo apicale né fosse dotato di alcun potere discrezionale, svolgendo solo funzioni di addetto alla clientela da seguire negli eventuali investimenti, che avrebbero dovuto comunque essere deliberati dalla dirigenza dell'istituto di credito.

Ne consegue che, ad avviso del Tribunale, non può dirsi configurabile un affidamento autonomo rispetto a quello semmai da far valere nei confronti della banca, tuttavia, non evocata nel giudizio. È stato, dunque, ritenuto che ogni obbligo di protezione, discendente dalla prestazione contrattuale, fosse sempre esigibile dall'istituto di credito, unico soggetto tenuto ad adempiere nei confronti del cliente ed obbligato a vigilare sul rispetto dei doveri di informazione e diligenza dei propri dipendenti che rispondono, nel caso di violazione, nei confronti del datore di lavoro.

Osservazioni

La fattispecie esaminata dal Tribunale di Treviso evoca la figura della responsabilità da “contatto sociale”, di matrice pretoria, richiamata da copiosa giurisprudenza di merito e cristallizzata da numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità.

Si tratta di una forma di responsabilità di natura contrattuale che sorge da un "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell'art. 1173 c.c., dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. (ex plurimis Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n.14188).

La disamina che è stata esposta dal Tribunale di Treviso ha messo in luce che, per effetto del rapporto che si viene a creare tra le parti e del conseguente affidamento che ciascuna di esse ripone nella buona fede, nella correttezza e nella professionalità dell'altra, si generano tra gli stessi obblighi di protezione che precedono e si aggiungono agli obblighi di prestazione scaturenti dal contratto.

Le aree di elezione nelle quali è stata individuata una forma di responsabilità da “contatto sociale qualificato” sono quelle: degli incidenti scolastici per i cui danni patititi dagli alunni rispondono l'insegnante e l'istituto scolastico (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 9346/2002; n. 24456/2005); dei danni alla salute conseguenti a condotte colpose del sanitario, nei casi in cui non ricorra un contratto di opera professionale (cfr. Cass. S.U. 577/2008; Cass. 1538/2010; 20904/2013; 27855/2013; 20547/2014; 21177/2015); della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall'art. 43 legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l'incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo (Cass. S.U. 14712/2007; Cass. 7618/2010; 10534/2015).

Una recente giurisprudenza, riprendendo un orientamento formatosi rispetto ai rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione nel caso di violazione di regole di comportamento di carattere procedimentale, ha affermato che “la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione dell'affidamento sulla correttezza dell'azione amministrativa - avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. - ha natura contrattuale e va inquadrato nello schema della responsabilità "relazionale" (o "da contatto sociale qualificato", idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell'art. 1173 c.c.), sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, sia in caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell'ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato; ne consegue che la controversia relativa all'accertamento della responsabilità dell'amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di accoglimento della domanda risarcitoria avanzata da una società che - senza allegare l'illegittimità degli atti amministrativi, né affermare la riconducibilità del pregiudizio subito a tali provvedimenti - aveva lamentato la lesione dell'affidamento riposto sulla legittimità della delibera, poi annullata, con cui l'amministrazione comunale aveva approvato il Piano di Governo del Territorio includendo i terreni di proprietà della società, aventi destinazione agricola, nell'ambito di trasformazione denominato TR1, nonché la scorrettezza della condotta della P.A. che, nonostante l'impugnazione del provvedimento, aveva ingenerato un affidamento incolpevole, insistendo per l'attuazione dell'intervento programmato, fornendo rassicurazioni sulla sua legittimità ed escludendo la necessità di approfondimenti istruttori)” (Cass. civ., sez. un., 19 gennaio 2023, n. 1567; conf. Cass. sez. un., 28 aprile 2020, n. 8236, cit.; Cass., sez. I, 13 dicembre 2018, n. 32314; 21 novembre 2011, n. 24438).

Individuati i caratteri comuni alle fattispecie richiamate, è evidente che non si verta, nella specie, in una ipotesi di contatto inteso in senso “naturalistico”, quale fatto umano meramente relazionale quanto piuttosto nell'instaurazione di un rapporto di scambio asimmetrico nel quale, un soggetto, rivestendo un ruolo specifico, è tenuto, accanto alla prestazione principale – per il cui inadempimento potrebbe rispondere secondo i classici rimedi civilistici – ad assolvere altri obblighi strumentali, connotati dalla buona fede, correttezza nonché tenuto a precisi doveri di informazione, sicché “in virtù di tale relazione qualificata, una persona - al fine di conseguire un obiettivo determinato (stipulare un contratto non svantaggioso, evitare eventi pregiudizievoli alla persona o al patrimonio, assicurarsi il corretto esercizio dell'azione amministrativa) - affida i propri beni della vita alla correttezza, all'influenza ed alla professionalità di un'altra persona” (Cass. civ. sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188 in motivazione).

Alla stregua dei criteri enunciati, la decisione del Tribunale di Treviso non convince.

Posto, infatti, che correttamente l'azione di inadempimento poteva essere fatta valere nei confronti dell'istituto di credito che avrebbe risposto anche per la condotta posta in essere dal dipendente (ai sensi dell'art. 1228 c.c., nel caso di dipendente incardinato nella struttura ovvero dell'art. 2049 c.c. nel caso di promotore libero professionista legato da un contratto di collaborazione con la società finanziaria, tra le tante, Cass. 20 marzo 1999 n° 2574; conf. ex plurimis 6 luglio 2017 n. 16658; Cass. 6 luglio 2017 n. 16663), emerge, dal complesso degli elementi indicati in motivazione, che il convenuto fosse incorso in plurime violazioni dei doveri di correttezza e di informazione: non aveva correttamente analizzato il profilo dell'investitrice, nella compilazione del MIFID, particolarmente basso (lei casalinga e il marito, cointestatario del conto, operaio), né la sua propensione al rischio; non aveva specificato la tipologia di investimento, trattandosi di azioni emesse dalla stessa banca, poi andata in decozione; non aveva fornito, nel corso del rapporto, alcuna informazione sull'andamento del finanziamento, divenuto nelle more effettivo pregiudizio a causa della graduale e radicale perdita delle somme investite; infine, non era stata fornita alcuna indicazione sulla reale natura dell'erogazione effettuata dalla banca, a titolo di prestito e non di anticipata parziale liquidazione dell'investimento, tant'è che l'attrice ebbe a subire azioni esecutive di recupero da parte delle cessionarie del credito vantato dalla Veneto Banca.

Orbene, deve ritenersi che, qualora tali addebiti fossero stati correttamente provati nel corso del giudizio, ancorché Caio non fosse dotato di poteri decisionali perché incardinato nella struttura amministrativa della banca, la destinazione interna quale “responsabile della clientela”, deputato come tale a svolgere la precipua funzione di sollecitare ed indirizzare gli investitori, lo ponesse in una posizione professionalmente “qualificata” in termini di competenza nel settore ove prestava le proprie funzioni a cui è correlato l'affidamento, riposto dal cliente della banca, verso una corretta informazione. Tale funzione, peraltro, lo colloca in una posizione differenziata rispetto ad altri dipendenti destinati a competenze di tipo amministrativo, di front office o di cassa.

Difatti, il cliente che si rivolge a personale qualificato e professionalmente formato a seguire il panorama degli strumenti finanziari e l'andamento del mercato dei titoli e valori mobiliari, operante all'interno dell'istituto di credito ove intrattiene i propri rapporti bancari, ripone massima fiducia ed affidamento, ritenendo di essere meglio seguito nel momento in cui decide di investire il proprio denaro e si aspetta di ottenere informazioni complete ed esaustive.

La relazione che si instaura non può non ritenersi qualificata e, come tale, nel caso di violazione dei doveri di informazione e di protezione, idonea a far sorgere una responsabilità anche in capo al dipendente che si è rapportato costantemente con il cliente ed ha, tuttavia, omesso di comportarsi correttamente non eseguendo con professionalità e diligenza gli obblighi informativi e protettivi sul medesimo gravante.

L'assenza di poteri decisionali e discrezionali, evidenziata nella sentenza in commento, inerisce piuttosto al conseguimento della prestazione principale, che solo l'istituto di credito è tenuto a compiere; di contro, i doveri di informazione incombono sul personale dipendente avente posizione “qualificata” per il cui tramite la banca adempie tali prestazioni strumentali e ne risponde, in solido, nel caso di loro violazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.