Infortunio mortale sul lavoro: agevole e immediata percepibilità del pericolo. La responsabilità del committente
27 Giugno 2023
Massima
Il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, sicché ai fini della sua responsabilità, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché all'agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Il caso
La moglie e i figli di un operaio deceduto in occasione di un infortunio sul lavoro si rivolgevano ad un tribunale abruzzese chiedendo il ristoro dei danni conseguenti alla morte del congiunto, occorsa mentre questi era intento al montaggio di alcuni moduli per la realizzazione di un forno di verniciatura. A tal fine era stata realizzata una struttura di sostegno alta circa 4 metri su cui dovevano essere posizionati i moduli. Il lavoratore, munito di casco, scarpe, guanti e cinture di sicurezza, era salito a mezzo di una scala all'interno di un modulo per recuperare del materiale, ma qui giunto, cadeva al suolo riportando lesioni da cui era poi originata la morte. Posto che i lavori ai quali era addetta la vittima erano stati parzialmente subappaltati all'impresa datrice di lavoro da un'altra società cui erano stati a loro volta affidati da parte della committente principale, i familiari evocavano in giudizio anche quest'ultima, nonché la subcommittente deducendo un loro obbligo congiunto di vigilanza sulla sicurezza dell'ambiente di lavoro. Veniva prospettata inoltre una responsabilità da parte del preposto per la mancata verifica dell'attuazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC). Il giudice di prime cure rigettava la domanda attrice e la pronuncia veniva confermata dalla Corte d'Appello. Secondo le decisioni conformi dei primi due gradi, gli attori avevano intanto omesso di dimostrare quale condotta in particolare delle committenti avesse rivestito specifica efficacia eziologica sull'evento. Quanto agli ulteriori rilievi in ordine all'omessa verifica dei piani di sicurezza, i giudici territoriali avevano pure disatteso le doglianze attrici osservando che, attesa la discrepanza tra il citato PSC e il piano operativo di sicurezza (POS) - predisposto dalla società datrice - non poteva ritenersi dimostrata un'ingerenza di committente e subcommittente tale da comprimere l'autonomia dell'esecutrice. Ciò soprattutto tenendo conto che tale discrepanza si sarebbe risolta del resto in una questione di dettaglio, di indole puramente tecnica, tale da esulare dall'alveo dell'onere di sorveglianza che avrebbe potuto essere in ipotesi imputato alle committenti. I congiunti dell'operaio impugnavano anche la decisione di appello proponendo ricorso di legittimità. Le censure si appuntavano essenzialmente sul fatto che i giudici del merito avrebbero mancato di considerare che la rilevata discrepanza tra i due piani di sicurezza era immediatamente percepibile anche dalle committenti. La discrasia era infatti direttamente correlata al generale, e dunque non specifico e di dettaglio, rischio di caduta dall'alto, come pure era stato puntualmente contestato all'appaltatrice principale da parte degli ispettori ASL intervenuti in coincidenza dell'evento. Più in particolare, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere applicabile al caso il d.lgs. 494/1996 (contenente, pro tempore, la disciplina delle misure “per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili”) e a mente del quale risultava espressamente una posizione di garanzia anche della committente, affiancata a quella degli altri soggetti – in primis il datore di lavoro – destinatari di obblighi di sicurezza. Ciò che avrebbe appunto implicato la necessità di vigilare sull'idoneità e il rispetto dei piani di sicurezza, dei quali era invece documentalmente emersa ed era peraltro agevolmente evincibile la reciproca discrepanza. Si dolevano inoltre i ricorrenti del fatto che la Corte abruzzese avrebbe ulteriormente mancato di considerare che era risultata l'assunzione, da parte dell'appaltatrice principale, della responsabilità di cooperare con le subcommittenti perché venissero attuate le idonee misure prevenzionistiche, laddove il rischio di caduta costituiva all'evidenza un rischio generico, come tale non iscrivibile nella specificità e, in tesi, nella separatezza dei lavori commessi alla datrice di lavoro diretta. La questione
Il più rilevante spunto problematico sottoposto allo scrutinio dei Supremi giudici si incentra principalmente sui criteri di allocazione e sull'estensione delle responsabilità relative alla gestione della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, allorché - come nella specie – una determinata lavorazione si svolga all'interno di un contesto nel quale, oltre alla parte datoriale e principale titolare del debito di sicurezza, siano compresenti ulteriori soggetti che, pur a titolo diverso, esercitino parimenti un controllo più o meno intenso sullo stesso ambiente di lavoro e sulle attività che vi vengono complessivamente disimpegnate. Questione tanto più delicata, allorché - come nell'ipotesi in esame – lo scrutinio della committente sarebbe dovuto cadere su un profilo apparentemente di dettaglio quale l'adeguatezza dei presidi prevenzionistici connessi ad una specifica attività dell'esecutrice materiale dell'attività. La soluzione adottata dai giudici abruzzesi, pur riecheggiando in linea di principio i principali approdi interpretativi, nonché il più aggiornato quadro legislativo (e, segnatamente, le specifiche norme oggi poste a disciplina della figura e della responsabilità del committente, ex art. 90, d.lgs. n. 81/2008, come in precedenza dalle norme settoriali del citato d.lgs. n. 494/1996), e dunque ascrivendo anche alla committente un astratto dovere di prevenzione e sicurezza nei confronti di qualunque lavoratore addetto all'ambiente di lavoro comune, escludeva tuttavia nella specie che esso si estendesse anche allo specifico fattore di rischio, purtroppo realizzatosi nell'ipotesi di specie. Più in particolare, secondo la corte aquilana, la rilevata discrepanza tra i piani di sicurezza (il documento predisposto dall'esecutrice dei lavori non contemplava l'aggancio di funi e cinture di sicurezza, previsto invece dal più stringente piano messo a punto dalla committenza), avrebbe costituito una questione di mero dettaglio tecnico, esterna al perimetro del dovere di sorveglianza che si poteva considerare in concreto esigibile da parte del committente. Tanto, a maggior ragione, tenuto conto del fatto che nella specie non sarebbe comunque stata dimostrata un'ingerenza della stazione appaltante tale da comprimere il ruolo autonomo dell'impresa esecutrice dei lavori e dunque escludere la specificità del rischio riferibile alle lavorazioni proprie di quest'ultima, riconducendolo invece a quello correlabile alla conformazione generale del cantiere. Di segno diametralmente opposto, come dianzi accennato, la ricostruzione dei ricorrenti. Ferma la divisione dei ruoli e dei compiti dei diversi operatori, nonché la specificità delle rispettive lavorazioni, il dovere di sicurezza proprio del datore di lavoro dovrebbe ritenersi esteso anche al committente quante volte il pericolo, da qualunque fonte promanante, sia immediatamente e agevolmente percepibile, anche ove connesso ad un particolare intrinsecamente tecnico. E percepibile avrebbe dovuto senz'altro ritenersi, in tesi, una così palese discrasia tra i due piani di sicurezza, soprattutto ove questa, incidente sul rischio di caduta dall'alto e sui dispositivi atti a scongiurarlo, si sia poi rivelata decisiva nella seriazione causale all'origine dell'infausto evento. Le soluzioni giuridiche
I supremi giudici, esaminati in via congiunta, siccome intimamente connessi, i vari profili di censura prima ricordati, accolgono integralmente le doglianze dei ricorrenti, dando così sostanziale continuità ad una linea ermeneutica espansiva dell'operatività dell'art. 2087 c.c. e della disciplina prevenzionistica e di sicurezza (cfr. da ultimo, Cass. civ.n.2517/2023) diretta ad ampliare e consolidare l'obiettivo primario di tutela delle condizioni di lavoro. In particolare, il Collegio, richiamando i più severi principi originariamente elaborati in sede penale, ma già in altre decisioni di legittimità ritenuti pienamente operanti anche nello scrutinio della responsabilità civile da infortuni sul lavoro, ha ancora una volta certificato che il dovere di sicurezza datoriale opera, pur con alcuni temperamenti e al cospetto di taluni presupposti, anche in capo al committente. Ai fini della configurazione della relativa responsabilità, ricorda la pronuncia, occorrerà tuttavia muovere dalla premessa generale che non può esigersi dal committente un controllo “pressante, continuo e capillare” sull'organizzazione dell'appaltatore. La relativa indagine sull'incidenza della sua condotta nell'eziologia di un evento avverso dovrà dunque essere particolarmente rigorosa e calibrata in funzione di svariati fattori condizionanti. Tra questi, la capacità organizzativa dell'esecutrice, i criteri seguiti per la sua individuazione, la specificità dei lavori da eseguire, il grado di ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto. A chiudere il cerchio si pone tuttavia l'ulteriore condizione sostanziale risultata decisiva nella vicenda in commento, ovvero anche “l'agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo”. Osservazioni
In diretto riferimento al tragico caso in esame, la possibilità astratta - positivamente affermata dalla Suprema Corte - che la stessa committente rilevasse comunque senza difficoltà il pericolo della discrasia tra i piani di sicurezza e ne esigesse dunque l'allineamento, imponendo così l'adozione di uno standard di sicurezza più stringente che, in chiave probabilistica, sarebbe stato ragionevolmente idoneo a scongiurare l'evento.
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