Le presunzioni, ai fini IVA, nella gestione delle piattaforme online ai fini della riscossione di tale imposta

03 Luglio 2023

La vicenda riguarda una società (la Fenix), registrata ai fini dell'IVA nel Regno Unito, che gestisce una piattaforma di social networking nota come “Only Fans”, di cui tale società ha il controllo esclusivo, ed alla quale possono avere accesso utenti registrati da ogni parte del mondo, differenziati tra “creatori” di contenuti digitali e “fan”.
Massima

Nella causa C-695/20 la Corte UE ha affermato la validità dell'articolo 9-bis del Regolamento di esecuzione 282/2011 del Consiglio rispetto all'art. 28 della Direttiva IVA 2006/112, i quali, mediante presunzione, “individuano” nel gestore della piattaforma online l'effettivo soggetto passivo fornitore delle prestazioni di servizi digitali, con conseguente obbligo di riscossione dell'IVA in capo a tale figura, ed ha escluso che il Consiglio abbia ecceduto le proprie competenze di esecuzione conferitegli dall'articolo 397 della direttiva, in applicazione dell'articolo 291, paragrafo 2, TFUE, integrando o modificando la direttiva.

Il caso

La vicenda in esame vede la società gestire una piattaforma di social networking di cui ha il controllo esclusivo, ed alla quale possono avere accesso utenti registrati da ogni parte del mondo, differenziati tra “creatori” di contenuti digitali e “fan”.

Ogni creatore può gestire un proprio “profilo” nel quale caricare e pubblicare i contenuti (foto, video e messaggi), al quale i fan possono accedere effettuando pagamenti per il singolo contenuto digitale oppure pagando un abbonamento mensile in relazione ad ogni creatore del quale desiderano visualizzare i contenuti e/o con il quale vogliono interagire. I fan, altresì, possono versare mance o effettuare donazioni per le quali non vi è alcuna contropartita da parte dei creatori.

Questi ultimi possono determinare il canone mensile di abbonamento al proprio profilo, fermo restando che la Fenix, avendo il controllo esclusivo dell'applicazione digitale, stabilisce un importo minimo pagabile sia per gli abbonamenti che per le mance, nonché le condizioni generali di utilizzo della piattaforma.

Tale società, inoltre, fornisce il supporto digitale online per eseguire le transazioni finanziarie (per l'acquisto dei contenuti digitali) ed è responsabile della raccolta e della distribuzione dei pagamenti effettuati dai fan mediante l'intervento di un soggetto terzo prestatore di servizi di pagamento.

La Fenix addebita ai creatori un importo pari al 20% delle somme versate dai loro fan mediante detrazione, ed i pagamenti da parte di un fan o quelli a favore di un creatore compaiono sull'estratto conto bancario del prestatore del servizio digitale come un pagamento effettuato alla o dalla Fenix, la quale ha applicato e contabilizzato l'IVA applicando un'aliquota del 20% sulla base imponibile relativa all'importo della detrazione del 20%.

Il Fisco inglese, ritenendo che detta società dovesse essere considerata come un soggetto che agiva in nome proprio e per conto del prestatore dei servizi (il creatore dei contenuti digitali) ai sensi dell'art. 9-bis del Reg. di esecuzione del Consiglio dell'UE n. 282/2011 (introdotto con il Reg. 1042/2013), recante disposizioni di applicazione della Dir. IVA 2006/112, notificava alla società distinti avvisi di accertamento sostenendo l'obbligo di versamento dell'IVA non sulla base della detrazione del 20% bensì sulla totalità dellesomme versate dai fan.

A seguito di ricorso della società, il giudice motivava il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sulla base della presunta incompatibilità dell'art. 9-bis citato in relazione all'art. 28 della Dir. IVA, ritenendo che il primo eccedesse la competenza di esecuzione conferita al Consiglio, facendo così discendere il coinvolgimento della Fenix nell'obbligo di raccolta della totalità dell'IVA da riversare all'Erario inglese mediante l'evidenza di una presunzione assoluta di partecipazione della società intermediaria alla prestazione dei servizi resi dai creatori dei contenuti digitali.

Il giudice del rinvio sosteneva la radicale diversità dell'art. 9-bis che, così come è stato infine adottato ed a dispetto dell'originaria proposta di regolamento presentata dalla Commissione, portava di fatto al risultato finale di trasferire la responsabilità dell'IVA in capo all'intermediario (la Fenix).

Tale aspetto, sempre secondo il giudice a quo, si poneva altresì in contrasto con il precedente C‑464/10 nel quale la Corte aveva dichiarato che, al fine di verificare l'avveramento della condizione per cui il soggetto passivo agisce in nome proprio ma per conto altrui, “il giudice del rinvio deve compiere una concreta verifica, idonea a stabilire se il soggetto passivo agisca effettivamente in nome proprio”.

La Corte UE, come vedremo, ha concluso circa la compatibilità dell'art. 9-bis in relazione all'art. 28 della Dir. IVA, non avendo il Consiglio integrato o modificato tale articolo , quindi, ecceduto in tal modo le competenze di esecuzione conferitegli dall'articolo 397 della Dir. IVA in applicazione dell'art. 291, par. 2, TFUE.

Ha, inoltre, ed in relazione all'esigenza espressa dal considerando n. 4 del Reg. UE 1042/2013 per cui “è necessario specificare chi è il prestatore ai fini dell'IVA quando i servizi prestati tramite mezzi elettronici … sono resi ad un destinatario attraverso reti di telecomunicazione o tramite un'interfaccia o un portale” (v. anche p. 57 in sentenza), concluso nel senso che l'art. 9 bis, par. 1, del Reg. 282/2011, nella misura in cui attua la presunzione che individua nell'intermediario/commissionario il soggetto passivo IVA, “è utile, se non persino necessario, per l'attuazione uniforme” dell'art. 28 della Dir. IVA di cui ne rappresenta “una mera precisazione” del contenuto (v. p. 67 in sentenza).

La questione

La questione in commento, come attentamente osservato dall'Avv. gen. A. Rantos nelle proprie conclusioni (v. p. 3), si pone “al crocevia tra, da una parte, il diritto istituzionale dell'Unione, con l'esame della nozione di «potere di esecuzione» di cui il Consiglio beneficia in forza del Trattato FUE, e, dall'altra, la normativa in materia di IVA nella parte in cui concerne un soggetto passivo che, agendo in nome proprio ma per conto terzi, partecipa a una prestazione di servizi”, sollevando il problema del margine di discrezionalità di cui il Consiglio dispone nel dare attuazione alla Dir. IVA nella misura in cui l'art. 9-bis possa essere invalido in quanto eccede le competenze di esecuzione del Consiglio (v. l'art. 397 Dir. IVA).

La soluzione giuridica

Il ruolo e le funzioni svolte dal commissionario/interfaccia elettronica

È stato osservato (v. N. Galleani d'Agliano, in “Il ruolo dei mercati virtuali nella applicazione e riscossione dell'IVA”, in Fiscalità & Commercio Internazionale, n. 6/2022, pagg. 30 e ss.) come “le modalità di applicazione della nuova disciplina del marketplace ricalcano sostanzialmente il rapporto di intermediazione c.d. opaco (commissione)”, rapporto che, sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi (v. art. 14, par. 2, lett. c), e art. 28 Dir. IVA, aventi la medesima ratio legis), viene trattato “come se l'intermediario agisse in proprio e non per conto di un altro soggetto passivo”, con la conseguenza che “l'operazione non si considera effettuata tra il fornitore ed il cliente finale, bensì tra il fornitore, l'intermediario e tra questi ed il cliente finale”.

Nelle proprie conclusioni a C-695/20 l'Avv. gen. Rantos ha opportunamente ricordato (v. p. 54) come l'art. 28 citato si riferisca a quel particolare soggetto (intermediario/commissionario) che la dottrina europea (v. D. Berlin, in “Directive TVA 2006/112: commentaire article par article”, Bruylant, Bruxelles, 2020, commentario dell'art. 28, pag. 228) ha qualificato come, appunto, «opaco», in quanto agisce in nome proprio ma per conto terzi, a differenza dell'intermediario detto «trasparente», che interviene in nome e per conto altrui, di cui si occupa l'art. 46 della Dir. IVA in tema di servizi resi da intermediari.

Ha quindi rimarcato (p. 56 concl.) come la Dir. IVA, mediante l'art. 28 finalizzato a stabilire a quali condizioni un commissionario è considerato un prestatore di servizi ai fini IVA (disposizione risalente al 1977, “vale a dire a un periodo in cui il commercio elettronico ancora non esisteva”), preveda essa stessa regole particolari per le prestazioni di servizi fornite da un commissionario (che agisce in nome proprio ma per conto altrui), diverse da quelle disciplinanti le prestazioni fornite da un mandatario (che agisce in nome e per conto altrui).

Circa l'art. 28 la Corte UE ci riferisce che (v. C-464/10, p. 35 e C‑734/19, p. 49) tale norma, mediante la presunzione “si ritiene”, crea una fictio juris di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente. In forza di tale finzione si considera che l'operatore che partecipa alla prestazione di servizi (il commissionario), abbia, in un primo tempo, ricevuto i servizi in questione dall'operatore per conto del quale agisce (il committente) prima di fornire, in un secondo tempo, personalmente, tali servizi al cliente. Ne consegue che, circa il rapporto giuridico tra il committente ed il commissionario, il loro rispettivo ruolo di prestatore di servizi e di pagatore è artificialmente invertito ai fini dell'IVA. Medesimo ragionamento va svolto in caso di acquisizione di beni in virtù di un contratto di commissione per l'acquisto (v. art. 14, par. 2, lett. c), della Dir. IVA).

Affinché poi si renda applicabile l'art. 28, occorreranno due condizioni: l'esistenza di un mandato di esecuzione in forza del quale il commissionario intervenga per conto del committente nella prestazione del servizio nonché l'identità tra le prestazioni di servizi acquisite dal commissionario e quelle cedute al committente (v. C‑734/19, p. 51).

È evidente, quindi, come l'utilizzo sempre più esteso e frequente del commercio online e la presenza del ruolo chiave svolto dai marketplace, renda più difficile individuare con certezza il perimetro relativo alla natura ed al ruolo del soggetto passivo, dal momento che “il nuovo modello di applicazione dell'IVA mette in crisi la qualifica ed il ruolo del soggetto passivo come uno dei presupposti fondamentali” di tale imposta, il quale “perde progressivamente la sua funzione, attesa l'impossibilità di stabilire - sia per quanto riguarda il fornitore che il cliente - se questi soggetti esercitino una attività secondo i criteri contenuti nell'art. 9” della Dir. IVA (v. N. Galleani d'Agliano, in “Prospettive di evoluzione dell'IVA negli scambi internazionali”, in Fiscalità & Commercio Internazionale, n. 2/2023, pagg. 26 e ss.).

In tal modo si assiste, necessariamente, ad una espansione della funzione di “debitore d'imposta” quale soggetto tenuto alla liquidazione e versamento dell'IVA in luogo del soggetto passivo, nella misura in cui il primo agisca quale mandatario senza rappresentanza (intermediario) nella prestazione di servizi, attuando la presunzione di cui all'art. 28 della Dir. IVA, “chiarita” poi dall'art. 9-bis, par. 1, del Reg. 282/2011.

Al riguardo, nelle proprie conclusioni (p. 63), l'Avv. Rantos ricorda che nelle note esplicative della Commissione UE (v. p. 3.2 e 3.3 di queste) successive all'introduzione dell'art. 9-bis del Reg. 282/2011, si evidenziava la necessità di “individuare con certezza chi sia il prestatore dei servizi erogati, in particolare se essi non sono forniti direttamente al consumatore finale bensì attraverso intermediari”.

Osserva quindi, condivisibilmente, che se da un lato l'art. 28 della Dir. IVA è formulato in termini generali e senza restrizioni quanto al suo ambito di applicazione o alla sua portata, dall'altro l'art. 9-bis verte su una questione specifica (se un intermediario sia debitore dell'IVA in presenza di servizi prestati tramite mezzi elettronici), potendosi qualificare come norma a “carattere tecnico”, funzionale a “chiarire la posizione dei commissionari operanti nel settore del commercio elettronico stabilendo criteri per identificare il prestatore di servizi al fine di determinare chi sia il soggetto debitore dell'IVA e quale sia il luogo delle operazioni imponibili”.

I primi due commi del par. 1 dell'art. 9-bis del Reg. 282/11 contengono una presunzione che indica il soggetto passivo IVA, tenuto al versamento dell'imposta, nell'intermediario delle prestazioni di servizi fornite tramite mezzi elettronici, “a meno che” l'effettivo e diverso (rispetto alla presunzione della norma) prestatore sia esplicitamente designato, dall'intermediario, come “il” prestatore e ciò risulti dagli accordi contrattuali tra le parti, purché sussistano le due condizioni cumulative (per il superamento della presunzione) che la fattura e la nota di pagamento identifichino i servizi elettronici prestati nonchè il relativo prestatore.

Quanto al terzo comma, esso stabilisce che al soggetto passivo che autorizza l'addebito al destinatario o la prestazione dei servizi o stabilisce i termini e le condizioni generali della prestazione non è consentito designare esplicitamente un'altra persona quale prestatore di tali servizi, da ciò deducendosi che al ricorrere di tali condizioni, la presunzione non può essere superata e diviene quindi assoluta.

A ben vedere, e prima dell'introduzione dell'art. 9-bis, alcune indicazioni circa l'esatta individuazione del soggetto IVA erano già state fornite dalla Corte UE nelle ipotesi in cui veniva in evidenza la figura dell'intermediario, valorizzando attentamente il concetto giuridico di “realtà economica e commerciale” che “costituisce un criterio fondamentale per l'applicazione del sistema comune dell'IVA, destinato a prevalere anche sul testo dei contratti” (v. C-90/20, p. 38 e C‑295/17, p. 43).

Così, ad esempio, nel precedente C-185/01 si discuteva se la società olandese Auto Lease, che offriva al locatario del veicolo in leasing anche la possibilità di stipulare con essa un accordo relativo alla gestione del carburante, a fronte del quale il locatario aveva il diritto di rifornire di carburante il proprio autoveicolo e di effettuare singoli acquisti di prodotti petroliferi in nome e per conto dell'Auto Lease mediante una carta di credito emessa dalla società tedesca DKV, avesse diritto o meno al rimborso dell'IVA riscossa dalle autorità tedesche sulle cessioni di carburante effettuate da imprese tedesche.

Alla domanda se il caso del locatario che nelle stazioni di servizio rifornisca di carburante, in nome e per conto del locatore, l'auto presa in leasing, configuri o meno una cessione di carburante dal locatore al locatario, la Corte UE richiamava le argomentazioni già sviluppate in causa C-320/88 (v. p. 6-8).

Lì si dava atto che per la Dir. IVA era (ed è) rilevante “il trasferimento economico e non il trasferimento giuridico del bene”, e che la nozione di cessione di un bene non si riferisce al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì comprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l'altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario (v. art. 14 Dir. IVA).

Così ragionando concludeva che, essendo pacifico che il locatario era autorizzato a disporre del carburante come se ne fosse il proprietario, ottenendo il carburante direttamente nelle stazioni di servizio e non disponendo mai l'Auto Lease del potere di decidere in che modo e per quali scopi dovesse essere utilizzato tale carburante, escludeva la tesi per cui la cessione era avvenuta direttamente tra il locatore ed i distributori, dato che dette cessioni erano sono state effettuate solo apparentemente a spese di tale società.

Per tali motivi si considerava che la cessione di beni fosse intervenuta direttamente solo tra il cliente finale ed il gestore della stazione di servizio, non potendo qualificare il contratto relativo alla gestione di carburante come un contratto di cessione di carburante, bensì come un contratto di finanziamento dell'acquisto, dal momento che l'Auto Lease non acquistava il carburante per rivenderlo, in seguito, al locatario del veicolo in leasing, bensì quest'ultimo acquistava il carburante scegliendone liberamente la qualità e la quantità nonché il momento dell'acquisto.

In scia si è posta poi la Corte UE, in tema di bunkeraggio navale, nel caso C-526/13, in relazione al disposto dell'art. 148 della Dir. IVA che prevede l'esenzione delle cessioni di beni destinati al rifornimento e al vettovagliamento delle navi adibite alla navigazione in alto mare (esportazione). In quel precedente si trattava di forniture di carburante fatturate (in esenzione da IVA) non direttamente agli armatori di dette navi, bensì a intermediari, sebbene la destinazione finale del carburante fosse stabilita in anticipo e quest'ultimo fosse consegnato direttamente alle navi in questione.

Lì la Corte, anche se ribadiva che l'esenzione non poteva estendersi alle cessioni effettuate in uno stadio commerciale anteriore a quello finale della catena di commercializzazione dei beni (come già argomentato in C-185/89, p. 22), pur tuttavia osservava che, in base alla realtà dei fatti (v. p. 47 in C-526/13), gli intermediari non prendevano mai in consegna fisicamente alcun quantitativo di carburante che era caricato dalla stessa società venditrice direttamente nei serbatoi delle navi alle quali tale combustibile era destinato. Tale società inviava poi la fattura agli intermediari, dato che solo in seguito al caricamento poteva essere determinato il quantitativo esatto del carburante in tal modo fornito.

Sulla base, quindi, della circostanza che il trasferimento della proprietà del carburante agli intermediari si realizzava soltanto in seguito al caricamento e che il trasferimento della proprietà avveniva “al più presto in concomitanza del momento in cui gli armatori sono stati autorizzati a disporre del carburante, di fatto, come se ne fossero i proprietari” (p. 48), e del fatto che a partire dal momento in cui il carburante era caricato nel serbatoio di una nave si presumeva che l'armatore fosse “autorizzato a disporne, di fatto, come se ne fosse il proprietario”, la Corte concludeva che, sebbene la proprietà del carburante fosse stata formalmente trasferita agli intermediari (agenti in nome proprio), in nessun momento questi erano stati in condizione di disporre dei quantitativi forniti, poiché il potere di disporne era appartenuto agli armatori sin dal caricamento del carburante.

Interessanti, inoltre, le argomentazioni nel caso affrontato dalla Corte UE in C-501/19, in cui si discuteva intorno all'assoggettamento ad IVA delle remunerazioni dovute da un'associazione culturale per la trasmissione al pubblico di opere musicali in occasione di spettacoli, da versare all'Associazione rumena per la gestione collettiva dei diritti patrimoniali d'autore, la quale riscuoteva tali introiti a fronte del rilascio di licenze non esclusive di utilizzazione delle opere musicali per conto dei titolari dei diritti d'autore, a fronte della corresponsione, da parte dei titolari agli organismi stessi, di una commissione a titolo della gestione collettiva delle proprie remunerazioni.

Con la seconda domanda il giudice a quo chiedeva alla Corte UE se, accertato che l'operazione con cui i titolari dei diritti d'autore autorizzavano l'utilizzo di tali opere da parte degli organizzatori di spettacoli era qualificabile come «prestazione di servizi a titolo oneroso», poteva considerarsi che, un organismo di gestione collettiva, nel riscuotere le remunerazioni presso gli utilizzatori, agisse in qualità di soggetto passivo ai sensi dell'articolo 28 della Dir. IVA, anche ai fini dell'emissione di fatture comprensive di IVA.

La Corte, dopo aver ricordato che l'art. 28 della Dir. IVA crea la finzione giuridica di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente (richiamava C‑274/15, p. 86), osservava che nel sistema giuridico del giudizio di rinvio la gestione collettiva era obbligatoria per l'esercizio del diritto di comunicazione al pubblico delle opere musicali, che l'organismo rappresentava anche i titolari di diritti che non gli avevano conferito mandato, che i diritti patrimoniali dei titolari dei diritti d'autore non potevano essere oggetto di una cessione agli organismi di gestione collettiva, e che questi avevano l'obbligo di rilasciare licenze non esclusive agli utilizzatori che ne facevano richiesta.

Da tutti questi elementi la Corte deduceva che l'organismo di gestione, concedendo licenze agli utilizzatori e riscuotendo remunerazioni come corrispettivo di tale utilizzo in nome proprio, ma per conto dei titolari di diritti d'autore, partecipava alla prestazione di servizi effettuata da tali “titolari” a vantaggio dell'utilizzatore, ossia l'organizzatore di spettacoli.

Concludeva nel senso che l'organismo agiva come commissionario ai sensi dell'art. 28 della Dir. IVA, così come i titolari dei diritti d'autore fornivano un servizio imponibile quando percepivano remunerazioni da tale organismo, il quale era tenuto ad inviare a proprio nome, all'utilizzatore finale, una fattura attestante la riscossione delle remunerazioni dovute presso quest'ultimo, mentre i titolari di diritti d'autore, ricevute le remunerazioni trasferite da parte dell'organismo, erano tenuti ad emettere a questo una regolare fattura.

Osservazioni

La presunzione in capo al gestore della piattaforma

Si ritiene che le conclusioni raggiunte in C-695/20 si pongano in continuità con i precedenti della Corte oltre che con il contenuto delle norme richiamate, nella misura in cui il Consiglio, con l'art. 9-bis, si è limitato a specificare chi è il soggetto passivo prestatore di servizi ai fini dell'IVA quando detti servizi sono prestati attraverso reti di telecomunicazione, un'interfaccia o un portale, garantendo in tal modo un'applicazione uniforme a livello unionale della presunzione stabilita all'articolo 28 della direttiva IVA nei confronti di tali soggetti passivi.

La Corte argomenta, inoltre, che la presunzione contenuta nell'art. 9-bis, così come formulato, non modifica la natura di quella stabilita all'articolo 28 della direttiva IVA, limitandosi bensì ad integrarla pienamente ed a concretizzarla nel contesto specifico dei servizi prestati tramite mezzi elettronici (v. p. 70).

La specificazione della norma (par. 1, c. 1) per cui “a meno che tale prestatore sia esplicitamente designato, da detto soggetto passivo, quale prestatore e ciò risulti dagli accordi contrattuali tra le parti” (richiama C‑605/20, p. 58, C‑653/11, p. 42 e 43, C‑464/10, p. 42), consente, invece, proprio di “confutare tale presunzione, tenendo conto della realtà contrattuale dei rapporti tra gli intervenienti nella catena di operazioni economiche” (v. p. 71), e ciò in perfetta continuità con i propri precedenti che riflettono in pieno le caratteristiche (normative) peculiari dell'imposta trattata.

La valorizzazione, in punto di fatto, degli accordi e delle relazioni contrattuali tra le parti (c. 1), nonché delle indicazioni che devono figurare nella fattura, indicante il fornitore di servizi quale prestatore dei medesimi (c. 2), sono indicazioni che “possono così consentire di valutare le relazioni che i vari operatori che intervengono nell'ambito della prestazione di servizi forniti tramite mezzi elettronici intrattengono tra loro” (p. 77 in sentenza).

Si tratta pertanto, come riferisce l'Avv. Rantos (p. 76), “di una questione vertente sulla prova dell'inversione della presunzione secondo cui l'intermediario che interviene agisce in proprio nome, ma per conto del fornitore dei servizi”, tutto ciò per poter verificare che un determinato soggetto passivo abbia o meno agito in nome proprio ma per conto di terzi, ed al fine ultimo di confutare la presunzione indicata “genericamente” dall'art. 28 della Dir. IVA e “decodificata” in maniera coerente dall'art. 9-bis del Reg. 282/2011.

Da ultimo, il terzo comma (di chiusura), disponendo che un soggetto passivo che interviene nella prestazione di un servizio tramite mezzi elettronici e che ha la facoltà di autorizzare la prestazione del servizio, o la sua fatturazione o di fissare le condizioni generali di tale prestazione, o di definire in modo unilaterale elementi essenziali della stessa (la sua realizzazione ed il momento in cui avrà luogo), o le condizioni in base alle quali il corrispettivo sarà esigibile, o le norme che formano il quadro generale di tale prestazione (p. 83), dati tutti i poteri di cui dispone (p. 88), consente di presumere che tale soggetto passivo agisca sempre in nome proprio e sia, quindi, esso stesso il prestatore di detti servizi.

In questo modo la norma individua una coerente presunzione assoluta che indica l'intermediario/commissionario quale soggetto passivo iva, tenuto, così, alla riscossione (in qualità di collettore d'imposta) ed al versamento della totalità dell'IVA, qui raccolta sui pagamenti effettuati dai fan.

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