L'usucapione delle parti condominiali: corpus possessionis e animus possidendi
06 Luglio 2023
Massima
In caso di domanda di usucapione ex art. 1158 c.c. di due terrazze ricavate da due aperture nel tetto dell'immobile di proprietà di un condomino, è onere della richiedente provare il possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, per oltre venti anni delle terrazze oggetto di domanda, accompagnato dall'animus possidendi; avendo ad oggetto la domanda di usucapione beni condominiali, è onere della richiedente dimostrare di avere goduto del bene stesso attraverso un possesso esclusivo, inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere uti dominus e non uti condominus. Il caso
Alcuni condomini citavano in giudizio il Condominio e un'altra condomina (proprietaria erede di un immobile all'ultimo piano) per vederli condannare in solido, previa declaratoria di nullità di tutte le delibere assembleari, alla rimessa in pristino del tetto anteriore alla realizzazione di due terrazze nell'immobile di proprietà della convenuta e per vedere condannata quest'ultima al risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del bene comune; in subordine, venivano formulate domande di condanna al risarcimento per equivalente (determinato in base alla differenza di valore che l'immobile avrebbe senza le terrazze contestate) e di condanna al pagamento di un indennizzo per l'ingiustificato arricchimento percepito dai proprietari dell'ultimo piano per il maggior valore dell'immobile dovuto alla costruzione delle terrazze. Gli attori lamentavano, infatti, che la convenuta proprietaria, erede dell'immobile all'ultimo piano, aveva ereditato un bene sul quale erano state effettuate due aperture nel tetto al fine di ricavare due terrazze, in forza di alcune delibere assembleari da considerarsi nulle/inefficaci. Il Condominio si costituiva in giudizio, deducendo in via pregiudiziale/preliminare l'improcedibilità della domanda attorea per mancato svolgimento dell'obbligatorio tentativo di mediazione, nonché l'intervenuta prescrizione/decadenza del diritto sotteso alla domanda attorea per cessazione dell'efficacia della sentenza di appello confermativa della sentenza di primo grado; nel merito chiede il rigetto delle domande. Precisamente, la Corte d'Appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa che aveva dichiarato la nullità della delibera assembleare del 30 agosto 1994, con cui il Condominio aveva consentito al proprietario dell'ultimo piano di effettuare due aperture nel tetto al fine di ricavare due terrazze; nonostante la declaratoria di nullità, nelle more del giudizio il proprietario dell'ultimo piano realizzava le terrazze vendendo poi l'immobile mentre gli attori non procedevano all'esecuzione forzata della sentenza. La convenuta, tempestivamente costituitasi, deduceva anch'ella in via preliminare/pregiudiziale l'improcedibilità delle domande per assenza della mediazione e la prescrizione/decadenza dei diritti azionati dagli attori; nel merito, contesta le domande risarcitorie degli attori, indimostrate sia sotto il profilo dell'an che sotto il profilo del quantum; in via riconvenzionale, instava per il riconoscimento del possesso uti dominus ultraventennale, pacifico, pubblico e continuato, ovvero il diritto di uso esclusivo per intervenuta usucapione, delle due terrazze; per tali ragioni, chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa degli altri condomini, destinatari della proposta domanda riconvenzionale. Autorizzata la chiamata in causa, alla prima udienza veniva dichiarata la contumacia dei condomini terzi chiamati e concessi i termini ex art.183 c.p.c. Rigettate le istanze istruttorie articolate dalle parti, la causa veniva ritenuta matura per la decisione e, precisate le conclusioni, venivano assegnati i termini di legge per conclusionali e repliche. Il Tribunale ritiene sussistere gli elementi del corpus possessionis e dell' animus possidendi in accoglimento della domanda riconvenzionale di usucapione ex art. 1158 c.c., dichiara la condomina convenuta proprietaria in via esclusiva per intervenuta usucapione ventennale delle due terrazze poste all'ultimo piano del condominio e, per l'effetto, rigetta la domanda degli attori di rimessione in pristino della porzione di tetto, di risarcimento del danno e di nulllità delle delibere assembleari in quanto non supportata sul versante probatorio; con condanna degli attori alle spese di lite del Condominio e della convenuta e compensazione integrale delle spese di lite tra la convenuta e i terzi chiamati. La questione
Il Tribunale è intento a vagliare l'istituto dell'usucapione ex art. 1158 c.c., in forza del quale è onere di chi intende usucapire il bene immobile (oppure un diritto reale immobiliare) provarne il possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, per oltre vent'anni, unitamente alla sussistenza dell'animus possidendi. Nel caso di specie, avendo ad oggetto la domanda di usucapione dei beni condominiali, in particolare due terrazze ottenute abbattendo due muri perimetrali di un sotto tetto e praticate due aperture nel tetto pari all'area di suolo non praticabile, l'onere probatorio in capo a chi intende usucapire il bene consiste nel dimostrare di avere goduto del bene stesso attraverso un possesso esclusivo, inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da indicare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non uti condominus. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Vicenza, lette le deduzioni di tutte le parti in giudizio, esamina in prima battuta l'eccezione di improcedibilità per mancato esperimento del tentativo di mediazione, ritenendola infondata in considerazione del fatto che la proposta istanza di mediazione (di cui non veniva fornita copia in giudizio ma, invece, per stessa ammissione di parte convenuta) copriva le richieste di nullità delle delibere assembleari e di condanna alla rimessione in pristino; la circostanza che nella domanda non fossero ricomprese alcune domande risarcitorie è irrilevante, non essendo per queste ultime obbligatorio l'esperimento della procedura di mediazione. Quindi, prima di delibare il merito dei fatti controversi, il giudice di prime cure identifica e qualifica le domande svolte dagli attori di rimessa in pristino della situazione anteriore alla realizzazione delle due terrazze nell'abitazione all'ultimo piano di proprietà della convenuta. Precisamente, le terrazze venivano realizzate dall'originario proprietario dell'immobile (poi caduto in successione) a seguito della delibera assembleare del 30 agosto 1994 con cui il Condominio aveva consentito alla esecuzione di due aperture nel tetto al fine di ricavare due terrazze; detta delibera veniva poi dichiarata nulla dalla sentenza del Tribunale di merito e confermata dal Giudice di secondo grado. Le domande degli attori sono, quindi dirette a tutelare l'uso della cosa comune ex artt. 1102 e 1117 c.c., ovvero la parte di tetto rimossa per l'apertura delle terrazze e la parte già corrispondente al sottotetto, ora occupata dalle terrazze, che costituiva un bene comune a tutti i condomini. Identificato così l'oggetto delle domande attoree, va rigettata anche l'eccezione sollevata dal Condominio di carenza di interesse degli attori, i quali invece hanno un interesse alla proposizione della domanda in quanto volta a contestare l'uso esclusivo della cosa comune da parte della condomina convenuta. In considerazione di quanto sopra, il Tribunale vicentino ritiene necessario esaminare preliminarmente la domanda riconvenzionale diretta ad accertare l'acquisto per usucapione da parte della convenuta al fine di verificare la eventuale proprietà esclusiva delle terrazze, circostanza dirimente per la decisione della causa che comporterebbe l'automatico rigetto della domanda di ripristino del tetto. In prima battuta, infatti, viene avanzata dalla convenuta la domanda di usucapione ex art. 1159 c.c. ritenendo sussistere i presupposti per l'usucapione abbreviata - ovvero l'acquisto a non domino del bene immobile avvenuto in buona fede, in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà, debitamente trascritto - facendo decorrere il termine decennale previsto dalla norma, ovvero dalla data di trascrizione dell'atto. Il Tribunale rigetta la domanda in considerazione del fatto che la convenuta, pur avendo prodotto in giudizio copia dell'atto con cui il suo dante causa acquistava l'immobile dall'Impresa proprietaria - dalle cui planimetrie allegate si faceva riferimento chiaramente alle citate terrazze - non allegava né provava che l'atto fosse stato trascritto, difettando pertanto i presupposti di applicabilità della disposizione legislativa di cui all'art. 1159 c.c. Secondariamente, il Tribunale si trova ad indagare anche la domanda di usucapione ex art. 1158 c.c., sempre proposta dalla convenuta, ovvero l'accertamento in capo alla medesima del possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, per oltre vent' anni delle terrazze oggetto di domanda, accompagnato dall'indefettibile presupposto dell'animus possidendi. All'esito della propria disamina, il Giudicante ritiene provato il possesso della convenuta uti dominus e non uti condominus sulla base di diverse circostanze: che l'immobile in oggetto veniva acquistato dal dante causa della convenuta nel novembre 1995; che l'unico modo per raggiungere le terrazze avveniva per il tramite dell'immobile della convenuta e che pertanto, sin dal novembre 1995, l'accesso alle terrazze era escluso a tutti gli altri condomini, attori compresi; che al precedente proprietario succedette la convenuta nell'aprile 2018, unica erede, ritenendosi dimostrato l'animus possidendi in capo alla convenuta e al suo dante causa, il quale acquisto l'immobile ritenendo in buona fede che fosse comprensivo anche delle terrazze. Peraltro, il Tribunale di primo grado evidenzia che, nonostante l'impugnativa della delibera assembleare del 30 agosto 1994 da parte del Condominio, non è stato provato in giudizio - né dagli attori né da altri condomini - che fosse stato materialmente impedito il possesso del dante causa della convenuta. Quindi, essendo la convenuta succeduta nel possesso al suo dante causa (iniziato nel novembre 1995), al momento della proposizione del giudizio (2019) risulta ampiamente decorso il tempo utile ad usucapire ex art. 1158 c.c. Non risulterebbe, infatti, interrotto il tempo utile ad usucapire né dalla proposizione del giudizio della declaratoria di nullità della delibera assembleare del 1994, né dall'invio di una lettera di messa in mora del 29 settembre 2016 della quale, peraltro, non vi è prova della sua ricezione. Prosegue, poi, il Tribunale vicentino motivando che, ai sensi dell'art. 1165 c.c., le disposizioni codicistiche relative alla prescrizione ed alla sua interruzione sono applicabili anche all'usucapione in quanto compatibili e, tenuto conto che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso agli atti che non comportino la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa per il possessore, oppure alle azioni giudiziarie dirette ad ottenere la privazione del possesso nei riguardi del possessore che vuole usucapire, rilevanti ai fini dell'interruzione, la mera proposizione e l'accoglimento dell'impugnativa della delibera assembleare non possono essere considerati atti interruttivi del possesso utile ai fini dell'usucapione. Pertanto, il giudice di primo grado, ritenuto sussistere gli elementi del corpus possessionis e dell'animus possidendi in capo alla convenuta, accoglie la domanda formulata di usucapione da ella formulata, dichiarandola proprietaria esclusiva delle due terrazze dell'ultimo piano del fabbricato immobiliare; rigetta la domanda degli attori di rimessione in pristino della porzione di tetto; assorbite le eccezioni di prescrizione; rigettate le ulteriori domande risarcitorie, comprese le richieste di parte attrice di accertare e dichiarare la nullità conseguenziale di tutte le delibere assembleari oggetto di domanda. In conseguenza del rigetto delle domande di rimessa in pristino del tetto e risarcitorie formulate dagli attori, la domanda riconvenzionale trasversale di manleva proposta dal Condominio verso la convenuta rimane assorbita. Le spese di lite seguono la soccombenza fra gli attori e il Condominio convenuto e fra gli attori e la condomina convenuta; spese compensate fra la convenuta e i terzi chiamati; nulla sulle spese fra la convenuta e il Condominio per assenza di soccombenza. Osservazioni
A prescindere dalle numerosissime questioni procedurali e di merito che interessano la pronuncia giurisprudenziale in oggetto, l'argomento da ritenere chiave in questa disanima è l'istituto dell'usucapione operante nell'àmbito dei rapporti condominiali. L'usucapione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario e viene disciplinato dall'art. 1158 c.c.che regola, in via generale, l'istituto prevedendo che la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni. Il possesso suscettibile di usucapione deve avere i seguenti requisiti: a) deve trattarsi di un possesso (non di detenzione) continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico; b) deve riguardare una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (non essendo suscettibili di usucapione i diritti personali); c) occorre che il possesso si protragga ininterrottamente per venti anni e che sia accompagnato dall'intenzione e volontà di esercitare un potere sulla cosa (sia direttamente che tramite il detentore), ovvero il cosiddetto animus possidendi. Gli elementi costituenti il possesso utile ad usucapire si compongono, quindi, del corpus possessionis e dell'animus possidendi e l'istituto dell'usucapione trova applicazione anche nei rapporti condominiali e può determinare l'acquisto da parte di un condomino di un bene condominiale. Sulla questione, peraltro ormai pacifica, si è di recente pronunciata una sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2016, n. 20039), la quale ha ribadito che: “in tema di condominio, un condomino può usucapire la quota degli altri condomini senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso, con la precisazione che però non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall'uso del bene comune, ma occorre allegare e dimostrare di avere goduto del bene attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere non più in qualità di condomino, ma in qualità di proprietario esclusivo, senza che inoltre vi sia stata alcuna opposizione da parte degli altri eventi diritto per tutto il tempo utile ad usucapire” (come già affermato anche da Cass. civ., sez. II, 23 luglio 2010, n. 17322). E ancora: “il condomino che deduce di avere usucapito la cosa comune deve provare di averla sottratta all'uso comune per il periodo utile all'usucapione; e ciò significa che deve dimostrare di avere tenuto una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univoci diretti nei confronti dei compossessori, e tale da manifestare loro la volontà di non possedere più come semplice compossessore, in quanto non basta la sola prova del non uso da parte degli altri condomini, a causa dell'imprescrittibilità del diritto in comproprietà” (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2016, n. 20039: conforme Cass. civ., sez. II,2 marzo 1998, n. 2261). Il corpus e l'animus sono le due componenti imprescindibili del possesso: il primo si manifesta nella condotta del soggetto che esercita sul bene una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale mentre il secondo attiene alla volontà di gestire ed utilizzare la cosa, come proprietario o come titolare di un diritto reale. In particolare, per la configurabilità dell'animus possidendi, non è richiesta la convinzione o la consapevolezza di esserne proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì risulta bastevole l'intenzione di comportarsi come tale, esercitando i corrispondenti poteri, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini della usucapione (v., ex multis, Cass. n. 14092/2010; Cass. n. 17488/2014) Nello specifico, nelle ipotesi di usucapione in Condominio, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può usucapire la quota degli altri comproprietari a condizione che mantenga un possesso continuativo e indisturbato del bene per almeno venti anni e, nel contempo, che impedisca agli altri comproprietari di farne parimenti uso. Riguardo questo ultimo aspetto, posto che riveste i caratteri della assoluta normalità il fatto che uno dei condomini utilizzi il bene comune come se fosse proprio - attesa la contitolarità del bene e la possibilità di uso esclusivo dello stesso ai sensi dell'articolo 1102 c.c. - ciò che contraddistingue e differenza la particolare situazione dell'usucapione del condomino è la violazione del secondo limite imposto dal citato articolo 1102 c.c., ossia l'esclusiva e totale detenzione del bene incompatibile con il diritto degli altri condomini. Quindi, se costituisce un principio generale quello secondo cui, in tema di condominio di edifici, il condomino che pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene indicato nell'art. 1117 c.c., deve fornire la prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario consistente in un negozio o nell'usucapione (Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268), è altrettanto imprescindibile che, in questa ultima ipotesi, l'onere della prova consti della contemporanea sussistenza di più fattori utili a conferire al condomino - che intende usucapire - un diritto di proprietà a scapito dell'eguale diritto spettante ai comproprietari condomini. Si presti attenzione anche al fatto che, per il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei condomini non è, di per sé, idoneo all'esercizio del possesso ad usucapionem un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore o degli altri partecipanti al Condominio (Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2005, n. 16841), essendo viceversa necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato, attraverso una attività apertamente contrastante ed incompatibile con il possesso altrui. E' evidente, infatti, che il condomino che deduce di avere usucapito la cosa comune deve certamente provare di averla sottratta all'uso comune da parte di terzi per tutto il periodo utile al computo dell'usucapione, cioè deve dimostrare che la condotta assunta era diretta al compimento di atti univocamente rivolti contro i compossessori, tali da rendere riconoscibile ai compossessori medesimi la volontà di non possedere più il bene come semplice compossessore, bensì come unico possessore. Quindi, secondo la giurisprudenza di legittimità: “in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l'usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell'atto materiale, il termine per l'usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva” (così Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2015, n. 11903) Oltre che sulla configurabilità dell'atto materiale posto in essere dal condomino per l'usucapione della la cosa comune - che può essere foriero di dubbi sulla sua reale consistenza - risultano atti idonei ad interrompere il decorso del tempo utile per l'usucapione gli atti giudiziali ma non anche le lettere di diffida o messa in mora, in quanto “gli atti di diffida e di messa in mora sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione, ma non anche il termine utile per usucapire, potendosi esercitare il relativo possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare del diritto reale, cosicché è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso solo ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, come la notifica dell'atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna di tutti i beni immobili in ordine ai quali si vanti un diritto dominicale” (Cass. civ., sez. II, 6 maggio 2014, n. 9682). Nel caso di specie, quindi, il Tribunale vicentino, proprio all'esito di una articolata disanima sia degli istituti di diritto richiamati, sia delle prove e testimonianze raccolte in corso di causa, ha correttamente ritenuto acquisita la prova della intervenuta usucapione, rilevando che non era consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti del possesso che non avessero comportato per il possessore la perdita materiale del potere di fatto (nel caso di specie, né alla proposizione del giudizio della declaratoria di nullità della delibera assembleare del 1994 - che non aveva di fatto impedito materialmente il possesso del dante causa della convenuta - né all'invio di una lettera di messa in mora della quale non era stata data prova in giudizio della sua concreta ricezione). Riferimenti
De Tilla, Il possesso, tomo II, Milano, 2005, 1613; Mazzon, L'usucapione di beni mobili ed immobili. Requisiti per l'acquisto della proprietà e strategie di difesa, Rimini, 2013; Mazzon, Il possesso. Usucapione, azioni di reintegrazione e di manutenzione, denuncia di nuova opera e di danno temuto, Padova, 2011; Penuti, Uso esclusivo delle parti comuni: libertà e limiti all'iniziativa del singolo condomino, in Il Civilista, 2012,fasc. 7, 32; Rezzonico, Manuale del condominio, Rimini, 2018, 171. |