Il condomino può installare tettoie nel giardino di sua proprietà esclusiva che si appoggino al muro comune perimetrale?
10 Luglio 2023
Massima
In tema di condominio negli edifici, la realizzazione, in appoggio al muro perimetrale del fabbricato, di una tettoia insistente su una porzione in proprietà esclusiva di uno dei condomini deve rispettare la distanza di tre metri dalle vedute degli altri appartamenti, in applicazione dell'art. 907 c.c., non ponendosi alcuna questione di compatibilità tra la disciplina sulle distanze e quella sull'uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., giacché la tettoia insiste su un'area di proprietà esclusiva e non condominiale ed essendo i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite ll caso
Due condomini proprietari ciascuno di un appartamento dotato di ampia terrazza a livello che si affacciano sul sottostante giardino di proprietà di altro condomino, lamentandosi del fatto che quest'ultimo avesse realizzato nel giardino medesimo una tettoia e due pensiline appoggiandole al muro perimetrale a brevissima distanza dal parapetto della terrazza, lamentavano la violazione dell'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, e proponevano ricorso ex art. 702-bis c.p.c. avanti il Tribunale di La Spezia chiedendo la condanna del convenuto alla rimozione delle opere realizzate. Il giudice adìto respingeva la domanda dichiarando che dovesse trovare applicazione nel caso di specie l'art. 1102 c.c., ritenendo che il condomino avesse agito nel rispetto delle prescrizioni approvate dalla assemblea, posto che quest'ultima aveva approvato un modello di tettoia in modo che qualunque condomino interessato l'avrebbe potuta realizzare, se conforme al modello disciplinato. Il magistrato ligure, rilevato che il condomino proprietario del giardino si era attenuto per conformità al modello deliberato dalla assemblea, ha ritenuto le opere legittime non sussistendo violazione dell'art. 907 c.c. in quanto non doveva trovare applicazione tale norma, bensì l'art. 1102 c.c. Impugnavano la decisione i condomini soccombenti avanti la Corte d'Appello di Genova, motivando l'appello deducendo che il giudice di primo grado aveva violato il regolamento contrattuale del condominio che prevedeva un divieto di apportare modifiche ai giardini e, in particolare, di aggiungervi corpi e sovrastrutture chiuse o aperte (quali gabbiotti, verande e simili) in un qualsiasi materiale fossero costruiti) siano essi fissi o amovibili o provvisori all'interno dei giardini privati o zone verdi private al piano terra e che tale disposizione poteva essere derogata solo con il consenso di tutti i condomini evidenziando, nonchè deducendo che anche in materia condominiale devono trovare applicazione le norme sule distanze legali. Avanti il Giudice di secondo grado veniva espletata una CTU, la quale accertava che la costruzione era appoggiata al muro comune ad una distanza dal parapetto della terrazza, dalla quale gli appellanti esercitavano la veduta, inferiore rispetto a quella stabilita dall'art. 907 c.c. La questione
La Corte d'Appello di Genova ha affrontato la dibattuta questione sulla applicabilità o meno al condominio delle norme sulle distanze legali ed in particolare sul rapporto intercorrente tra queste e l'art. 1102 c.c., considerata l'esistenza, nel caso concreto, anche di un regolamento contrattuale che pone divieti di realizzare costruzioni nei giardini di proprietà esclusiva. Le soluzioni giuridiche
La Corte territoriale ha ritenuto che, quando nel condominio la realizzazione di opere da parte dei condomini coinvolga proprietà esclusive, trovano applicazione le norme sulle distanze e non l'art. 1102 c.c. Pur rilevando che parte della giurisprudenza ritiene che, quando si verifica un caso di conflitto tra l'art. 1102 c.c. e le norme sulle distanze, debba prevalere la prima disposizione, in quanto norma speciale rispetto alla normativa sulle distanze, ha osservato che è compito del giudice di merito valutare la compatibilità tra la disciplina delle distanze e le caratteristiche del fabbricato condominiale. Ha richiamato il precedente di Cass. civ. sez., 27 febbraio 2019, n. 5732, secondo la quale quando una costruzione è collocata su una porzione di proprietà esclusiva e non su suolo comune e viola l'art. 907 c.c., l'àmbito giuridico condominiale rimane sullo sfondo, ragione per la quale non si pone neppure una questione di uso della cosa comune anche se vi sia un appoggio della costruzione alla muratura perimetrale del fabbricato. Inoltre, in relazione alla delibera di assemblea che avrebbe autorizzato i condomini a realizzare nella loro proprietà il manufatto per cui è causa definendone il modello, il giudice distrettuale ha osservato che l'assemblea può solo occuparsi delle cose condominiali, mentre non ha alcun potere in relazione alla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini e le relative delibere, che decidono su tali questioni, sono adottate in carenza di potere e, quindi, sono nulle (Cass. civ.,sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806). Rilevato, infine, che il regolamento contrattuale esistente poneva un divieto di sopraelevare, e di realizzare costruzioni all'interno dei giardini di proprietà esclusiva ed osservato che esso può legittimamente contenere clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni (Cass. civ.,sez. un., 30 dicembre 1999, n. 943), la Corte d'Appello ha dichiarato che lo stesso non può certo essere derogato dalla maggioranza assembleare, dovendo eventuali modifiche essere adottate all'unanimità dei consensi e per iscritto (Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5626). Pertanto, la medesima Corte, rilevando che, all'esito della CTU, le distanze di cui all'art. 907 c.c. non risultavano rispettate, ha accolto il ricorso. Osservazioni
Sul rapporto tra l'art. 1102 c.c. e le norme sulle distanze legali, la giurisprudenza è talvolta contraddittoria nel ritenere prevalente l'una o l'altra disciplina. Nell'ordinamento condominiale, è previsto che il singolo, nell'uso delle parti comuni, debba conformarsi ai limiti disposti nella disposizione generale dell'art. 1102 c.c., ma tra essi non è previsto alcun richiamo all'obbligo di osservare le norme sulle distanze legali qualora l'opera sia realizzata nelle vicinanze della proprietà esclusiva di altro condomino. La giurisprudenza di legittimità non pare, però, aver individuato chiari e definitivi presupposti normativi per dirimere la questione della compatibilità della disciplina sulle distanze legali con l'ordinamento condominiale, demandando tale compito al giudice di merito. Il tentativo di raccordo tra istituti giuridici diversi si rivela in alcuni casi non convincente. Nella giurisprudenza di legittimità, trovasi un orientamento che ritiene applicabile con prevalenza la disciplina sulle distanze legali (Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 2019, n. 5732; Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2014, n. 7269). Vi è, tuttavia, anche un orientamento che tende ad attribuire prevalenza all'art. 1102 c.c., ovvero alla disciplina dell'uso delle parti comuni del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2010, n. 6546, in tema di balconi; Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096; Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2014, n. 10852, in tema di ascensori; Cass.civ., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1989, in tema di tubazioni; Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2017, n. 23973, in tema di canne fumarie; da ultimo, in un caso di realizzazione di tettoia in appoggio al muro perimetrale del fabbricato, Cass.civ., sez. II, 19 dicembre 2017, n. 30528). Come osserva la Corte d'Appello di Genova, anche nell'orientamento che fa prevalere l'art. 1102 c.c., si afferma, però, che la valutazione concreta della compatibilità tra le due discipline in relazione alle caratteristiche del fabbricato condominiale compete al giudice di merito. Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2017, n. 30528 precisa: “più in generale, nell'applicare in materia di condominio le norme sulle distanze legali - nella specie con riferimento al diritto di veduta - spetta al giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), c.p.c., tener conto in concreto della struttura dell'edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, verificando, nel singolo caso la compatibilità dei rispettivi diritti dei condomini. Non precisa, tuttavia, la Suprema Corte quali siano i criteri in base ai quali debba essere valutata la compatibilità o meno delle due discipline. Inizialmente, i giudici di Piazza Cavour ritenevano che il condomino non potesse esimersi dall'osservare le norme sulle distanze legali qualora l'uso della cosa comune fosse esorbitante dalla normale destinazione di questa e, volgendo al profitto della sua proprietà esclusiva, risultasse lesiva dei diritti dell'altro condomino che le norme stesse tendono a tutelare (Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1954, n. 2955). In altre decisioni (Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1981, n. 1941), trovasi affermato che, ai fini dell'applicabilità delle distanze legali negli edifici condominiali, bisogna distinguere gli usi primari che i condomini possano trarre dalle parti comuni, ovvero gli usi che siano connessi con il fine e la funzione per la quale le parti comuni sono state costituite, rispetto agli usi secondari che non siano connessi con la funzione predetta per cui, solo per i primi non sarebbero applicabili le norme sull'osservanza delle distanze legali, mentre invece lo sarebbero per gli usi secondari, quali le costruzioni eseguite da un condomino sul muro comune a vantaggio proprio della sua proprietà esclusiva. Ed ancora non sarebbero applicabili le norme sulle distanze legali riguardo a quelle opere che risultino indispensabili per la effettiva abitabilità ed utilizzabilità della unità immobiliare secondo le moderne concezioni di sicurezza salubrità ed igiene (Cass.civ., sez. II, 15 luglio1995, n. 7752). In altre ipotesi, sempre in tema di compatibilità tra le discipline, viene affermato che le norme sulle distanze legali, riguardando rapporti tra proprietà autonome, sarebbero applicabili negli edifici in condominio solo nel caso in cui l'applicazione delle norme sull'uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.) non si riveli in contrasto con le prime e, delle une e, delle altre, sia possibile appunto una applicazione complementare e, ove questo non sia possibile, va assunta come prevalente la normativa condominiale (Cass.civ., sez. II, 14 aprile 2004, n. 7044). Infine, in altre pronunce si fa riferimento ad un criterio di ragionevolezza. Ad avviso di Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2010, n.12520 (in tema di condutture) ad esempio, qualora le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell'art. 889 c.c., siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali. Contrasti sembrano sussistere anche sulla individuazione del rapporto tra le norme sulle distanze legali e l'art. 1102 c.c., non essendo chiaro quali, tra le due discipline, debbano ritenersi generali e quali, speciali. Si tenga conto al riguardo che, se l'art. 1102 c.c., norma dettata per la comunione, viene richiamata dall'art. 1139 c.c. come applicabile al condominio, per quanto non espressamente previsto nel capo relativo, se ne dovrebbe dedurre che sia essa a dover essere considerata norma generale rispetto alle norme sulle distanze. In realtà si tratta di norme che stanno su piani diversi, come spiega acutamente la migliore dottrina con la seguente riflessione: “l'apertura di una finestra nel muro perimetrale può rispettare le distanze in tema di vedute dall'appartamento del vicino, ma può non essere consentita, ad esempio, perché lesiva del decoro architettonico dell'edificio; viceversa, può non essere lesiva del decoro architettonico dell'edificio, ma non in regola con le distanze legali in tema di vedute (così Triola). Si noti che le norme sulle distanze legali fanno riferimento a “fondi finitimi distinti” (v. ancora Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2004, n. 7044, sopra richiamata, la quale evidenzia che l'autonomia degli edifici è il presupposto funzionale che giustificherebbe l'applicazione delle norme sulle distanze legali), autonomia che invece non pare rinvenirsi nelle varie porzioni costituenti il condominio negli edifici, giacchè in un siffatto complesso edilizio convivono parti strutturalmente e giuridicamente collegate tra loro. Una vera autonomia potrebbe rinvenirsi solo nei complessi condominiali strutturati con corpi di fabbrica a sé stanti. Altra dottrina sostiene che fra la disciplina delle distanze e quella del condominio sussiste una incompatibilità tale che non è possibile estendere la prima, di carattere generale, all'istituto particolare del condominio, perché altrimenti la proprietà condominiale resterebbe annullata (così Colasurdo e Salis). E' vero, però, che nel condominio verticale anche se difetta la caratteristica di una piena autonomia architettonica tra le varie porzioni, è indubbio che esista una separazione tra le proprietà esclusive e, tra esse, può verificarsi una situazione di contiguità che può generare gli stessi problemi che possono rinvenirsi tra i fondi finitimi. La decisione che qui si commentata, in tema di distanze delle costruzioni dalle vedute in condominio, appare comunque convincente. Quando la costruzione viene collocata dal condomino nella porzione di sua proprietà esclusiva, seppur parzialmente appoggiata anche ad una parte comune dell'edificio (muro perimetrale), si deve convenire che il conflitto non riguarda più la collettività condominiale nei cui confronti potrebbe essere invocata l'applicazione dell'art. 1102 c.c. ma, esclusivamente, i proprietari coinvolti, ovvero colui che ha realizzato la costruzione e colui che è proprietario della porzione esclusiva che subisce il pregiudizio derivante dalla vicinanza della nuova opera in favore della quale è posta la tutela del rispetto alle distanze. Come ha giustamente stabilito Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 2019, n. 5732, il conflitto in tale caso si pone tra diritti spettanti alle proprietà esclusive dei contendenti, risultando quindi non invocabile la diversa previsione di cui all'art. 1102 c.c., che attiene al concorrente godimento della cosa comune e, la controversia, deve avere pertanto la sua soluzione in base alla sola applicazione della norma sulle distanze. Dal canto suo, Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2013, n.955 precisa che è la stessa norma dell'art. 907 c.c.. ad aver operato il bilanciamento con l'interesse, obiettivo, alla riservatezza, dando rilievo all'interesse alla salvaguardia del diritto di veduta in ragione del suo contenuto che esprime un “valore sociale”, posto che “luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici soddisfacendo bisogni elementari di chi li abita” (così Corte Cost. n. 394/1999). E ancora, Cass. civ. sez. II, 18 agosto 2020, n.17216 rimarca chenon si pone, quindi, una questione di conflitto tra l'art. 907 c.c. e l'art. 1102 c.c., come giustamente ha rilevato anche la Corte d'Appello di Genova quando l'area confinante con il fabbricato condominiale su cui insista una tettoia lesiva del diritto di veduta di un condomino non sia di proprietà condominiale, ma sia di proprietà esclusiva del proprietario dell'unità condominiale del piano terra al cui servizio la tettoia è posta. Secondo la citata decisione, un problema di applicazione dell'art. 1102 c.c. nemmeno - a ben vedere - si pone. In tal caso, infatti, non vi è alcun uso della cosa comune (salvo l'uso della muratura perimetrale del fabbricato per l'infissione delle travi che sorreggono la tettoia, la cui compatibilità con il disposto dell'art. 1102 c.c. non è qui in discussione), atteso che si tratta di una costruzione realizzata su proprietà individuale, lesiva del diritto di veduta di altra proprietà individuale. D'altronde, secondo una vecchia pronuncia ma ancora attuale (Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1977, n. 5025), le limitazioni all'applicazione delle norme sulle distanze degli edifici in regime di condominio, anche nei rapporti tra le proprietà individuali, non trovano giustificazione nel fatto che la normativa del condominio e della comunione costituisca un sistema chiuso ed escludente altri limiti per i diritti dei singoli, bensì hanno origine nella esistenza di una serie di servitù reciproche tra gli appartamenti componenti il condominio, le quali servitù sono costituite per destinazione di padre di famiglia, nel caso del costruttore dell'edificio che successivamente proceda alla sua vendita frazionata. Riferimenti
Triola, Il nuovo condominio, Milano, 2013,362; Salis, Il condominio negli edifici, Torino, 1950, 72; Branca, Foro it., 1952, I ,1166; Colasurdo, in Giust. civ., 1965, I, 630; Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 192. |