Un secondo matrimonio e i figli del coniuge nati da un'altra relazione rilevano ai fini della revisione dell'assegno divorzile
14 Luglio 2023
Massima
Per la modifica - ex art. 9 legge n. 898/1970 - dell'assegno divorzile occorre verificare la sussistenza di circostanze sopravvenute che ne giustificano la revoca o la riduzione e, a tal fine, deve essere valutata anche la costituzione di una nuova famiglia da parte dell'obbligato. Rilevano a tal fine sia le esigenze di mantenimento del nuovo coniuge, sia la circostanza che entrambi i coniugi sono onerati, ai sensi dell'art. 143 c.c., anche nei confronti dei figli nati dal precedente matrimonio di uno di essi, nell'ottica di un bilanciamento tra i nuovi doveri di solidarietà derivanti dalla costituzione del nuovo nucleo famigliare ed i pregressi doveri di solidarietà post-coniugale verso l'ex coniuge Il caso
Un uomo aveva chiesto al Tribunale di revocare o, in subordine, di ridurre l'assegno divorzile in favore della ex moglie, stabilito nell'anno 2003, in considerazione delle mutate condizioni di vita. La domanda era stata respinta sia in primo grado sia in appello e, in particolare, la corte aveva affermato che da un lato era verosimile che la moglie non fosse riuscita a reperire un'occupazione e fosse stata quindi costretta ad indebitarsi con il fratello e, dall'altro, che l'ex marito, pur dovendo sostenere un canone di locazione e ratei di mutui, poteva contare sul reddito – seppur modesto – della attuale moglie, mentre non era tenuto “a provvedere al mantenimento dei figli della seconda da moglie, nati da una precedente relazione, nei confronti dei quali egli non avrebbe “vincoli giuridici”. L'ex marito ricorreva pertanto al giudice di legittimità deducendo la nullità del decreto per omessa, illogica o apparente motivazione. La questione
Come è ripartito l'onere della prova nei procedimenti per modifica delle condizioni di divorzio e quanto e come incidono nella decisione gli oneri derivanti dalla costituzione, da parte dell'onerato, di un nuovo nucleo familiare? Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza in esame affronta in primo luogo la questione della motivazione dei decreti che definiscono i procedimenti in camera di consiglio, tra i quali la modifica delle condizioni di divorzio ex art. 9 l. n. 898/1970. Nella decisione impugnata la Corte di appello si era limitata ad un generico richiamo alla “verosimiglianza” della affermazione della ex moglie, senza alcun riferimento alla concreta dimostrazione di quanto sostenuto, sia con riferimento alle asserite difficoltà nel reperire una idonea occupazione, sia in relazione all'utilizzo delle ingenti somme che la stessa aveva ricavato dalla vendita di beni immobili di sua proprietà. Al riguardo, la Suprema Corte ha ribadito che la motivazione del decreto è necessaria ai sensi dell'art. 737 c.p.c. e, inoltre, deve consentire di identificare con chiarezza il thema decidendum e le ragioni della decisione. Il fatto che sia consentita una motivazione sommaria, infatti, permette al giudicante di limitare l'esposizione dei fatti di causa e dello svolgimento del processo, ma la lettura del provvedimento deve sempre consentire di comprendere immediatamente e con chiarezza le ragioni della decisione. Nel caso di specie, il solo richiamo alla verosimiglianza delle allegazioni della ex moglie è stato ritenuto non idoneo a far comprendere il fondamento della decisione, in assenza di riferimenti alle acquisizioni probatorie. Al riguardo, la suprema Corte ricorda che il giudizio di verosimiglianza è ammesso esclusivamente nei procedimenti cautelari – nei quali il giudice deve valutare il fumus boni iuris del diritto azionato - mentre i procedimenti ordinari di cognizione si devono fondare su prove in senso tecnico, ovvero le decisioni devono essere supportate da materiale idoneo a dimostrare i fatti allegati, così da portare ad un risultato di certezza (un richiamo espresso alle “circostanze sopravvenute e provate dalle parti” si rinviene di recente in Cass. civ., sez. I, 09 marzo 2022, n. 7731). Nella fattispecie esaminata dal giudice di legittimità, la beneficiaria dell'assegno non aveva neppure indicato delle fonti di prova, e si era limitata ad una serie di mere dichiarazioni che, dunque, non potevano essere idonee a fondare la decisione della corte territoriale. La seconda questione affrontata dagli ermellini riguarda la valutazione delle circostanze sopravvenute – allegate e dimostrate dal ricorrente – e relative alla creazione di una nuova famiglia costituito da lui, dalla seconda moglie e dai figli di quest'ultima (nati da una precedente relazione). La corte di appello sul punto si era limitata ad affermare che l'onerato non era tenuto a mantenere i figli della seconda moglie, non avendo nei loro confronti “vincoli giuridici”. La Cassazione evidenzia, in primo luogo, che non era stato approfondito se e quanto la circostanza avesse inciso sulla necessità di mantenimento della moglie stessa (che aveva un reddito assai modesto) e, sotto altro profilo, che, in realtà, ai sensi dell'art. 143 c.c. entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia, da intendersi in senso ampio, ovvero comprensiva anche dei figli nati da precedente matrimonio (o relazione) di uno dei due. A conferma dell'ampiezza del concetto di nucleo familiare, nell'ordinanza si richiama la decisione della Corte cost. n. 181/1988 che in materia di quote di aggiunta di famiglia, previste dal d.lgs. 21 novembre 1945, n. 722 (Provvedimenti economici a favore dei dipendenti statali) - previste “per la prima persona a carico” e per “ciascuna delle altre persone a carico, considerando come tali la moglie e i figli minorenni” oltre che, in particolari condizioni, per i genitori – ha dichiarato incostituzionale l'art. 4 che disponeva che “ai fini dei precedenti articoli si considerano anche i figli naturali legalmente riconosciuti, i figli adottivi e gli affiliati” per contrasto con l'art. 3 Cost.. Nella suindicata pronuncia la Corte Costituzionale ha evidenziato che per i dipendenti privati, il d.P.R. 30 maggio 1955 n. 797 dispone che gli assegni familiari sono corrisposti al dipendente anche “per il figli del coniuge nati dal precedente matrimonio” e che nulla giustifica la “disparità di trattamento fra il lavoratore pubblico dipendente e quello del settore privato, che si trovino nell'identica condizione di avere nella propria famiglia conviventi a carico figli del coniuge nati da precedente matrimonio di questi”. Già da tempo, quindi, il nostro ordinamento aveva previsto che il concetto di famiglia si riferisce non solo ai legami di sangue in senso stretto. A ciò si aggiunga che anche la più recente giurisprudenza sovranazionale in materia di libertà di circolazione dei lavoratori all'interno dell'unione e di sussidi economici per i figli dei lavoratori impone di equiparare i figli del coniuge o del partner ai figli del lavoratore transfrontaliero, laddove quest'ultimo provveda al loro mantenimento. Se dunque il nuovo coniuge dell'onerato è affidatario dei figli nati da precedente relazione, non si può affermare che la circostanza sia irrilevante ai fini di verificare se sussistano i presupposti per una modifica dell'assegno divorzile, dovendosi invece accertare le condizioni di affidamento e l'eventuale contributo al loro mantenimento fornito dall'onerato.
Osservazioni
Per la prima volta viene affrontata specificamente la questione relativa agli oneri inerenti il mantenimento dei figli del coniuge. Se può infatti ritenersi pacifico che la creazione di un'altra famiglia e la nascita di un altro figlio può portare - purché la circostanza incida sensibilmente sull'assetto economico, e tenuto conto delle circostanze concrete - a una revisione del contributo per il mantenimento nei confronti dell'ex coniuge o dei figli (già Cass. civ., 16 maggio 2005, n. 10197; Cass. civ., 30 novembre 2007, n. 25010 aveva affermato il principio, ripreso poi costantemente sino a Cass. civ., 22 marzo 2012, n. 4551 e Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2014 n. 6289) non era mai stata portata all'esame della Suprema Corte la vicenda di un coniuge tenuto al mantenimento dei figli del nuovo partner, nati da altra relazione. Indubbiamente l'attuale concetto di famiglia ha una portata più estesa rispetto al passato: sono frequenti, infatti, le cosiddette famiglie ricostituite, in cui i coniugi hanno figli che convivono con loro, nati da precedenti relazioni e non si può negare che in assenza di un vincolo di parentela il marito o la moglie del genitore siano comunque tenuti a provvedere anche alle loro necessità. Del resto, non si può affermare che l'art. 143 c.c., nel prevedere il generale obbligo reciproco di assistenza morale e materiale, abbia voluto escludere eventuali necessità dei figli del partner, in particolar modo quando essi convivano con la nuova coppia di sposi. Non si vede infatti come si possa ipotizzare di prestare assistenza al marito o alla moglie senza considerare i bisogni dei suoi figli, atteso che, in linea generale, la serenità e il benessere di un genitore è strettamente connesso a quello della prole. A ciò si aggiunga che un concetto ampio di famiglia si rinviene non solo nelle specifiche norme in materia di sussidi economici richiamate nel provvedimento in commento, ma anche in altre disposizioni codicistiche, quali, ad esempio, quelle che disciplinano l'erogazione del trattamento di fine rapporto e dell'indennità sostitutiva del preavviso del lavoratore deceduto. L'art. 2122 c.c. dispone infatti che tali somme devono essere corrisposte ai familiari del lavoratore deceduto, più precisamente al coniuge, ai figli e, se conviventi a carico del lavoratore, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo. I figli della moglie o del marito sono affini di primo grado e, dunque, la disposizione li considera - purché siano conviventi a carico del lavoratore – al pari dei parenti, e, al secondo comma, il medesimo articolo dispone che, in difetto di accordo tra le parti la ripartizione delle indennità “deve farsi secondo il bisogno di ciascuno”, senza alcuna distinzione tra parenti e affini. È chiaro quindi che il legislatore ha sempre avuto ben presente che all'interno della famiglia possano verificarsi situazioni in cui un soggetto è tenuto a provvedere al mantenimento di persone cui non è legato da uno stretto vincolo di parentela, ma alle quali provvede per ragioni di solidarietà familiare. Pertanto, come è ormai pacifico che si debbano necessariamente contemperare le esigenze del nuovo nucleo familiare con quelle della famiglia precedente (la nascita di nuovi obblighi di carattere economico, deve essere valutata come circostanza sopravvenuta che “può”, ma non necessariamente “deve” portare alla modifica delle condizioni stabilite in precedenza, si veda in proposito Cass. civ. sez. VI, 12 luglio 2016 n. 14175), nell'operare tale bilanciamento si dovranno tenere presenti anche le necessità del nuovo nucleo familiare “esteso”. Riferimenti
Martina Botton, Separazione e divorzio: l'incidenza dei figli di altre unioni nella determinazione dei contributi economici, in IUS Famiglie, 5 aprile 2016. |