L'omesso pagamento dei canoni di locazione come valida attuazione dell'eccezione di inadempimento in caso di menomazione del godimento dell'immobile

Edoardo Valentino
17 Luglio 2023

Il Tribunale di Massa, con la decisione in commento, specifica che, in applicazione del principio di buona fede, al locatore non è sufficiente allegare il mancato pagamento di alcuni canoni per ottenere d'ufficio la risoluzione del contratto, in quanto il conduttore può dimostrare che il suddetto mancato pagamento rispondeva ad un corrispondente inadempimento da parte del proprietario e, quindi, era giusta applicazione della ”eccezione di inadempimento”, che consente ad una parte contrattuale di omettere il pagamento del prezzo, laddove l'obbligazione principale non è adempiuta.
Massima

Il conduttore, che si veda limitato nei propri diritti, può omettere il versamento del canone di locazione, o parte di esso, al proprietario; tale circostanza costituisce normale applicazione del principio della “eccezione di inadempimento” di cui all'art. 1460 c.c., e risulta valido a patto che vengano rispettati due presupposti, ossia che esista un inadempimento ad opera della controparte e che vi sia proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti.

Il caso

Un locatore conveniva in giudizio il conduttore di un immobile commerciale lamentando l'omesso pagamento di somme corrispondenti a due canoni di locazione.

Il conduttore si costituiva in giudizio contestando il presupposto del ricorso di sfratto per non avere potuto godere appieno dell'immobile così come previsto dagli accordi tra le parti.

Secondo il conduttore, infatti, l'inizio del rapporto di locazione era principiato in un periodo successivo a quello preventivato a causa della tardiva fuoriuscita del precedente occupante.

L'immobile, poi, avrebbe avuto alcune problematiche che avevano costretto il conduttore opponente a effettuare lavori edili che sarebbero stati imputabili al locatore.

Da ultimo, il passo carraio antecedente ai locali sarebbe stato frequentemente occupato dai veicoli di altri soggetti.

Nel corso del giudizio di merito, il decidente, sostanzialmente, accertava che le doglianze in fatto del conduttore trovavano una rispondenza istruttoria in quanto sia i documenti (e-mail, comunicazioni e fotografie) che i testimoni, dimostravano la realtà di quanto sopra affermato.

Dimostrata la situazione di fatto, quindi, occorreva al decidente calare la stessa nel contesto giuridico e appurare se il mancato pagamento dei canoni fosse in qualche modo derivante e giustificato dalle condizioni dell'immobile e dal menomato godimento dello stesso da parte del conduttore.

La questione

La questione decisa dal Tribunale di Massa appare decisamente concreta e interessante per il diritto immobiliare e locatizio.

È circostanza nota e frequente che, nell'alveo di un rapporto di locazione, il conduttore ometta in tutto o in parte il versamento di canoni di locazione.

Tali omissioni sono spesso accompagnate da giustificazioni in merito alla presunta inutilizzabilità dell'immobile o vizi dello stesso.

È interessante, giuridicamente, tracciare una ideale linea per distinguere quali di queste doglianze siano effettive e quali siano invece meri pretesti per omettere il versamento di somme invece dovute al proprietario.

La sentenza in commento, in modo efficace, indica alcuni criteri che consentono di distinguere le eccezioni poste correttamente, dai meri inadempimenti contrattuali dei conduttori.

Le soluzioni giuridiche

La decisione del Tribunale di Massa - come anticipato - principia dichiarando l'accertamento in punto di fatto delle circostanze narrate dalla parte conduttrice.

Era dimostrato, quindi, che il precedente conduttore avesse continuato ad occupare l'immobile dopo l'inizio del nuovo contratto di locazione, che i beni locati si trovassero in uno stato di degrado con riguardo all'asfalto antistante l'immobile, le sue recinzioni e l'abbandono di rifiuti nel piazzale di parcheggio.

Il conduttore aveva, poi, dimostrato come l'impianto elettrico e le porte di emergenza non fossero a norma e non funzionassero correttamente.

Alcune aree dell'immobile, poi, erano correntemente occupate da soggetti terzi con materiali e manufatti che rendevano impossibile l'utilizzo alla locatrice.

Al fine di correggere tali problematiche, quindi, il conduttore aveva realizzato a propria cura e spese lavori di adeguamento volti a mettere a norma e rendere locabile l'immobile.

Tali circostanze, come detto, venivano provate in sede istruttoria dalla parte conduttrice ed erano altresì parzialmente non contestate dalla parte proprietaria.

Dal punto di vista del fatto, quindi, il giudice evidenziava le sostanziali differenze nell'impatto delle predette circostanze rispetto alla concreta utilizzabilità dell'immobile.

Secondo il magistrato, infatti, non tutte le circostanze avevano il medesimo peso e alcune erano sostanzialmente superate o superabili - ad esempio l'ingombro del passo carrabile da parte di terzi, dato che non risultava essere l'unico accesso - mentre altre menomavano i diritti del conduttore (ad esempio, la presenza di impianti non a norma).

Il passaggio di un periodo tra l'inizio del rapporto e le doglianze del conduttore, poi, non era da considerarsi come un'accettazione tacita dello stato dei luoghi, quanto piuttosto come un tentativo della conduttrice di ricercare una soluzione bonaria con la proprietà.

Accertate tali circostanze in fatto, il giudice si concentrava sugli aspetti in diritto della vicenda.

Principiava, innanzitutto, il decidente, a definire la condotta della conduttrice di omissione del versamento di canoni come una eccezione di inadempimento.

Tale facoltà, descritta nell'art. 1460 c.c. prevede che: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia, non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”.

La sussistenza nel contratto di una clausola risolutiva espressa che consente al proprietario di risolvere il contratto in caso di mancato pagamento, poi, non è comunque utilizzabile nel caso in cui l'omissione sia conseguente ad una diminuzione dell'utilità del bene.

Secondo un precedente orientamento giurisprudenziale, infatti, “anche in presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede ed il divieto di abuso del diritto, preservando l'uno gli interessi dell'altro. Il potere di risolvere di diritto il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa, in particolare, è necessariamente governato dal principio di buona fede, da tempo individuato dagli interpreti sulla base del dettato della normativa (art. 1175, 1375, 1356, 1366, 1371 c.c. ecc.) come direttiva fondamentale per valutare l'agire dei privati […]” e anche “il principio di buona fede si pone allora, nell'ambito della fattispecie dell'art. 1456 c.c. come canone di valutazione sia dell'esistenza dell'inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l'abuso ed impedendone l'esercizio ove contrario ad essa” (così Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2553).

Dunque, il giudice sposava il precetto in ragione del quale, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, vige per il contraente non inadempiente il principio di cui all'art. 1375 c.c. che gli impone di valutare la condotta della controparte prima di azionare la risoluzione, avendo al contempo contezza del rispetto del principio di buona fede.

Nel caso in questione, quindi, secondo il Tribunale, la domanda di risoluzione contrattuale della proprietaria andava respinta.

Tale domanda, infatti, era basata sul mero mancato pagamento di canoni da parte della conduttrice, ma nulla spiegava sulla rispondenza o meno di tali omessi versamenti rispetto al godimento dell'immobile da parte della conduttrice.

Quest'ultima, invece, si era costituita dimostrando la propria buona fede, ossia che l'omesso versamento degli affitti era dovuto a un minor godimento dell'immobile per la presenza di vizi, nonché alla presenza di spese impreviste ed effettuate dalla stessa in vece della parte locatrice.

Tutto ciò premesso - statuiva il giudice - la condotta della conduttrice appare legittima ex art. 1460 c.c. e inidonea a integrare la gravità prevista dall'art. 1455 c.c.

La domanda attorea veniva, quindi, respinta e, con l'accoglimento delle tesi della conduttrice convenuta, le spese di lite venivano poste sulla parte soccombente.

Osservazioni

Chi scrive condivide appieno la sentenza in oggetto.

Più che le circostanze di fatto, che vengono prese per vere e appaiono secondarie rispetto alla portata della presente decisione, il pregio della sentenza è nella chiarezza dell'esplicazione dei criteri distintivi tra inadempimento del pagamento dei canoni immotivato e uno sostenuto da una legittima motivazione.

Si condivide appieno il ragionamento del giudice.

In primo luogo, la sentenza si premura di certificare la validità fattuale delle eccezioni della conduttrice.

In seconda battuta, stante il predetto accertamento, il magistrato adìto chiarisce come la condotta della convenuta fosse del tutto legittima: il mancato pagamento di canoni di locazione è corretto se e quando l'immobile locato è in uno stato fisico e giuridico tale da consentire al conduttore un godimento minore rispetto a quanto preventivato nel contratto.

Nel caso in questione, i vari vizi dell'immobile, la parziale occupazione di alcune sue parti da parte di soggetti terzi e le spese che si erano rese necessarie per renderlo utilizzabile e sicuro, giustificavano indubbiamente l'applicazione del principio dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.

Per comprendere la portata dell'eccezione, e stabilire se le condotte delle parti siano conformi a buona fede, si spiega nella decisione che queste debbano essere valutate secondo due elementi: la sussistenza di un inadempimento delle obbligazioni contrattuali e la proporzionalità dei rispettivi inadempimenti.

È chiaro, infatti, che non risponde a buona fede e non consente quindi l'applicazione della tutela dell'art. 1460 c.c. la condotta della parte che ometta totalmente il versamento di canoni d'affitto in presenza di vizi minimi nell'immobile.

Tale condotta, ossia utilizzare strumentalmente qualsiasi vizio per omettere il pagamento di canoni, chiaramente è legittima e costituisce inadempimento tout court.

Diversa la situazione - come nel caso presente - di una parte che dopo avere sopportato un lungo periodo di menomazione nel proprio diritto decida di omettere il versamento dei canoni.

La sentenza pare sottolineare bene la differenza delle due modalità di condotta e ha l'ulteriore pregio di evidenziare come, in alcuni casi, il passaggio di tempo tra la menomazione del diritto del conduttore e l'omissione del versamento del canone non ha il significato dell'acquiescenza, bensì il contrario significato del tentativo di ricerca di una soluzione bonaria, che correttamente vede l'omissione del pagamento del canone e l'azione giudiziale come l'ultima risorsa, e non la prima reazione ad una ingiusta condotta della controparte.

Riferimenti

Balbusso, Riduzione del godimento della cosa locata ed exceptio non rite adimpleti contractus: si consolida il nuovo indirizzo della Suprema Corte, in Resp. civ. e prev., 2022, fasc.1-2, 257;

Celeste, Sospensione del pagamento del canone e corretta perimetrazione dell'eccezione di inadempimento, in IUS Condominio e locazione, 22 aprile 2021;

Scarpa, Le principali questioni processuali del contenzioso in materia di locazioni, in Giur. merito, 2011, fasc. 11, 2863.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.