Infezioni ospedaliere: la Cassazione detta i criteri della responsabilità

18 Luglio 2023

La Cassazione individua gli oneri di allegazione e prova dei congiunti della paziente - al fine del riconoscimento del danno parenterale per morte a causa di infezione nosocomiale - nonché della struttura sanitaria.
Massima

“La responsabilità della struttura sanitaria non è mai oggettiva: quest'ultima può provare di avere adempiuto esattamente la propria prestazione e dunque di avere adottato tutte le cautele previste dalle vigenti normative e dalle leges artis”.

Il caso

La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, viene chiamata a pronunciarsi in merito alla responsabilità relativa alla morte di una paziente che aveva contratto un'infezione nella struttura ospedaliera in cui era ricoverata per un intervento oculistico programmato.

Nello specifico, in data 24.09.2009, la stessa cadeva da una sedia all'interno della propria stanza d'ospedale e riportava un trauma contusivo; nonostante il manifesto dolore, la presenza di rialzi febbrili e indici infiammatori, veniva ugualmente sottoposta all'intervento chirurgico all'occhio destro. Il giorno seguente veniva dimessa in stato non febbrile.

A fronte del ripresentarsi persistente della febbre e dei dolori, la paziente veniva, a distanza di pochi giorni dall'operazione, nuovamente ricoverata nella medesima struttura sanitaria, e, accertata la presenza di una infezione da staphilococcus aureus e trattata con terapia antibiotica empirica (quindi non mirata), decedeva in ospedale in data 13.10.2009.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello di rigetto della domanda risarcitoria per perdita del rapporto parenterale, veniva proposto ricorso per Cassazione da parte dei prossimi congiunti della vittima.

La questione

La questione rimessa alla Corte di Cassazione riguarda l'individuazione degli oneri di allegazione e prova dei congiunti della paziente - al fine del riconoscimento del danno parenterale - nonché della struttura sanitaria.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte nell'annullare con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d'Appello, ricorda come la pretesa dei parenti iure proprio si iscriva nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, a differenza di quella contrattuale relativa al rapporto ospedale – paziente.

Tale distinzione viene ribadita alla luce della morte di una paziente che aveva contratto un'infezione in un nosocomio, convenuto poi in giudizio dai parenti della stessa al fine di ottenere il risarcimento per perdita del rapporto parenterale.

Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi nei confronti di terzi, in quanto l'autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall'inadempimento dell'obbligazione sanitaria, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale (Cass. Civ. n. 21404/2021).

In applicazione di tale principio, incombeva sugli attori l'onere di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, vale a dire il fatto colposo e il pregiudizio che da questo fatto è conseguito alla paziente e il nesso causale tra fatto colposo e danno.

A tal proposito i ricorrenti affermano di aver soddisfatto l'onere probatorio a loro carico deducendo l'esistenza del contratto di spedalità ed allegando l'inadempimento del debitore, consistito nell'aver infettato la paziente, durante la sua permanenza all'interno della struttura sanitaria per ragioni di cura, con lo staphiloccous aureus meticillinus, che ne provocava la morte. Affermano altresì che tale morte avrebbe potuto essere evitata a fronte di una più sollecita individuazione e cura dell'infezione.

Sul punto la Cassazione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, ricorda di avere recentemente affermato (Cass. sez. III, 23 febbraio 2021, n. 4864) che, in applicazione dei principi sul riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria, alla struttura sanitaria compete invece la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione.

Deve dunque accertare:

  1. di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l'insorgenza di patologie infettive;
  2. di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico.

Ai fini dell'affermazione della responsabilità della struttura sanitaria, rilevano, tra l'altro, il criterio temporale - e cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall'ospedale - il criterio topografico – ovverosia l'insorgenza dell'infezione nel sito chirurgico interessato dall'intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della cd. "probabilità prevalente" - e il criterio clinico - in base al quale, in ragione della specificità dell'infezione, sarà possibile verificare quali, tra le misure di prevenzione, era necessaria adottare. Alla luce di quanto esposto è possibile dunque affermare come la responsabilità della struttura sanitaria non sia oggettiva: quest'ultima può provare di avere adempiuto esattamente la propria prestazione e dunque di avere adottato tutte le cautele previste dalle vigenti normative e dalle leges artis. (Cass. sez. III, 15 giugno 2020, n. 11599). A fronte di questo corredo probatorio, la Corte d'Appello aveva tuttavia negato che fosse stata raggiunta la prova sul nesso causale, in quanto, pur ritenendo accertata l'avvenuta contrazione dell'infezione nosocomiale, asseriva che non sarebbe stato possibile affermare con certezza che la signora sarebbe guarita, escludendo così il fatto che la sua morte era dovuta alla condotta dei sanitari. Tale convinzione è tuttavia viziata in quanto veniva utilizzato un criterio di giudizio errato, ovverosia quello della certezza del rapporto di causa-effetto, e non il modello di ricostruzione del nesso causale fondato sul giudizio di probabilità logica, o del più probabile che non, da impiegare al fine di verificare la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento di danno. Alla stregua di tale criterio, la Cassazione impone la verifica, sulla base di un ragionamento ipotetico di natura controfattuale, la rilevanza eziologica dell'omissione. Occorrerà dunque stabilire se il comportamento doveroso che la struttura avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire o meno l'evento lesivo, secondo un parametro appunto probabilistico e tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità - giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma soprattutto all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica). (v. Cass. n. 21530 del 2021).

La Suprema Corte individua dunque un duplice errore di diritto commesso da parte della Corte territoriale: da un lato aveva effettuato il giudizio controfattuale limitatamente al solo comportamento dei sanitari senza considerare il dato obiettivo della contrazione dell'infezione in ambito nosocomiale, in secondo luogo aveva utilizzato un criterio di valutazione eziologica non conforme a diritto (cioè quello della certezza della possibilità di evitare il danno a fronte di un comportamento diverso) anziché probabilistico.

Se è ben vero che la prova del nesso causale tra il comportamento dei sanitari e l'evento dannoso, deve essere prodotta da chi agisce per il risarcimento dei danni (Cassazione Civile n.18392 del 2017; Cassazione Civile 3704 del 2018; Cassazione n. 26700 del 2018; Cassazione Civile n. 27606 e 28991 del 2019 e successive conformi), essa deve essere fornita in termini probabilistici e non di assoluta certezza.

La Corte d'Appello dovrà dunque rinnovare il proprio giudizio verificando se, sulla base degli elementi allegati, possa o meno ritenersi “più probabile che non” il fatto che, a causa del comportamento colposo dei sanitari ovvero e più specificatamente la contrazione di infezione in ambito nosocomiale, sia derivata la morte della paziente, imputabile alla responsabilità della struttura sanitaria, e in subordine verificare se possa ritenersi proposta la domanda anche sotto il profilo della perdita di chance e in caso affermativo rinnovare la valutazione anche a tal fine. La corte territoriale aveva infatti erroneamente interpretato che la domanda di risarcimento del danno proposta dai ricorrenti, escludendo che essa contenesse anche una domanda di risarcimento del danno da perdita di chance.

Osservazioni

La Corte di Cassazione, nel caso di specie, viene chiamata a pronunciarsi su una vicenda peculiare relativa alla richiesta di risarcimento del danno da perdita parenterale dei prossimi congiunti di una paziente, deceduta a causa di un'infezione nosocomiale contratta a seguito di una caduta avvenuta nella struttura ospedaliera nella quale era stata ricoverata per un intervento programmato all'occhio destro.

Nell'accogliere il ricorso la Corte, ribadisce il principio in base al quale, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita di un congiunto, l'azione promossa volta ad accertare l'inadempimento della struttura e dei sanitari ricade nell'alveo della responsabilità extracontrattuale e non nell'ambito di quella contrattuale spettante unicamente al paziente danneggiato.

Ne consegue che, poiché l'esecuzione della prestazione che forma oggetto dell'obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi, torna applicabile anche al contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria la regola generale secondo cui esso ha efficacia limitata alle parti (art 1372, comma 2, c.c.).

Ciò non vuol dire che i prossimi congiunti del creditore, ove abbiano subito in proprio conseguenze pregiudizievoli, quale riflesso dell'inadempimento della struttura sanitaria (“danni mediati o riflessi”), non abbiano la possibilità di agire in giudizio per ottenere il ristoro di tali pregiudizi.

Il predetto inadempimento potrà, tuttavia, rilevare nei loro confronti esclusivamente come illecito aquiliano ed essi saranno dunque legittimati ad esperire, non già l'azione di responsabilità contrattuale, (spettante unicamente al paziente che ha stipulato il contratto), ma quella di responsabilità extracontrattuale, soggiacendo alla relativa disciplina, anche in tema di onere della prova.

In applicazione di questi principi, incombeva sugli attori l'onere di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, vale a dire il fatto colposo (consistente nel mancato approfondimento delle conseguenze della caduta dalla sedia, in soggetto sovrappeso, che avrebbe consentito di individuare prima l'esistenza di una estesa infiammazione e di somministrare prima la terapia antibiotica, e nell'inadeguata sorveglianza sulla sterilità della struttura ospedaliera), il pregiudizio che da questo fatto è conseguito alla defunta e il nesso causale tra il fatto colposo e il danno.

Come emerge dalla ricostruzione dei fatti contenuta nello stesso provvedimento impugnato, gli attuali ricorrenti hanno soddisfatto gli oneri probatori a loro carico, relativi alla prova del fatto dannoso e del nesso di causalità giuridica tra l'evento di danno e il pregiudizio conseguitone.

Tuttavia, la Corte d'Appello escludeva fosse stata raggiunta la prova sul nesso causale in quanto, pur ritenendo accertata l'avvenuta contrazione dell'infezione nosocomiale, affermava che, anche se essa fosse stata trattata immediatamente con terapia antibiotica non sarebbe stato possibile sostenere con assoluta certezza non solo che la signora sarebbe guarita, ma altresì che la sua morte fosse dovuta alla condotta dei sanitari.

Tale assunto è tuttavia viziato laddove viene utilizzato un criterio di giudizio errato, quello della certezza del rapporto di causa-effetto, e non il modello di ricostruzione del nesso causale fondato sul giudizio di probabilità logica, o del più probabile che non, da utilizzare al fine di verificare la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento di danno.

Alla luce di tali considerazioni è dunque possibile concludere che: nell'impossibilità di pervenire all'accertamento del momento in cui l'infezione è stata contratta o di valutare in termini giuridicamente apprezzabili l'apporto causale che ha determinato la morte del paziente per sepsi, è sufficiente ricorrere al criterio della mera prevalenza delle probabilità invece del giudizio di probabilità logica.

A fronte della prova presuntiva della relativa contrazione in ambito ospedaliero, ed ai fini della dimostrazione di aver adottato, sul piano della prevenzione generale, tutte le misure utili alla prevenzione delle infezioni, gli oneri probatori gravanti sulla struttura sanitaria devono ritenersi, in linea generale:

a) l'indicazione dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali;

b) l'indicazione delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria;

c) l'indicazione delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami;

d) le caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande;

e) le modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti;

f) la qualità dell'aria e degli impianti di condizionamento;

g) l'attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica;

h) l'indicazione dei criteri di controllo e di limitazione dell'accesso ai visitatori;

i) le procedure di controllo degli infortuni e delle malattie del personale e le profilassi vaccinali;

j) l'indicazione del rapporto numerico tra personale e degenti;

k) la sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio;

l) la redazione di un report da parte delle direzioni dei reparti da comunicare alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella;

m) l'indicazione dell'orario della effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio.

Quanto agli oneri soggettivi, il dirigente apicale avrà l'obbligo di indicare le regole cautelari da adottarsi ed il potere-dovere di sorveglianza e di verifica (riunioni periodiche/visite periodiche), al pari del CIO; il direttore sanitario quello di attuarle, di organizzare gli aspetti igienico e tecnico-sanitari, di vigilare sulle indicazioni fornite (D.P.R. n. 128 del 1069, art. 5: obbligo di predisposizione di protocolli di sterilizzazione e sanificazione ambientale, gestione delle cartelle cliniche, vigilanza sui consensi informati); il dirigente di struttura complessa (l'ex primario), esecutore finale dei protocolli e delle linee guida, dovrà collaborare con gli specialisti microbiologo, infettivologo, epidemiologo, igienista, ed è responsabile per omessa assunzione di informazioni precise sulle iniziative di altri medici, o per omessa denuncia delle eventuali carenze ai responsabili.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.