Imposta di registro a titolo principale sugli atti “enunciati”: responsabile in solido il notaio che roga l'atto “enunciante”

27 Luglio 2023

Un notaio rogava un atto – registrato in via telematica – riguardante un'assemblea straordinaria dei soci di una S.P.A. nella quale era stato deliberato l'aumento del capitale sociale di euro 93.000, anche mediante rinuncia di uno dei soci, per l'importo equivalente ad un maggior credito di euro 693.307, già contabilmente appostato nel bilancio societario quale “finanziamento infruttifero”, con contestuale estinzione per equivalente del più ampio debito per tale titolo della società.
Massima

In tema di imposta di registro, qualora in un atto notarile, anche registrato telematicamente, vengano enunciate disposizioni di altri atti, scritti o verbali, posti in essere dalle stesse parti, ma non già registrati, la cui configurazione giuridica non richiede accertamenti di fatto ovvero extratestuali né valutazioni interpretative particolarmente complesse, l'imposta dovuta per questi atti in virtù dell'art. 22 d.P.R. n. 131/1986 deve qualificarsi come imposta principale e, in rettifica dell'autoliquidazione, l'ente impositore può legittimamente richiederla emettendo un avviso di liquidazione, purché, trattandosi di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, gli effetti di essi non siano già cessati o cessino con l'atto che li enuncia; in tal caso, ai sensi dell'art. 57, comma 1, d.P.R. n. 131/1986, il notaio che ha rogato o autenticato l'atto enunciante è responsabile per il pagamento dell'imposta solidalmente con le parti dell'atto stesso.

Il caso

L'agenzia delle entrate emetteva a carico del notaio rogante – ritenuto debitore solidale – un avviso di liquidazione dell'imposta proporzionale di registro con irrogazione delle sanzioni amministrative in relazione all'“enunciazione” (verbale) nell'atto assembleare a suo rogito di due atti sui quali non era stata versata l'imposta: il finanziamento eseguito dal socio ed iscritto a bilancio per il suddetto importo di euro 693.307 (tassato al 3%) e la remissione parziale del correlativo debito societario di euro 93.000 (tassato allo 0,5%), contestualmente imputato a sottoscrizione dell'aumento di capitale da parte dello stesso socio.

Il notaio, ritenendosi estraneo dal debito d'imposta rispetto ad atti solo “formalizzati”, per i quali cioè non aveva prestato direttamente il proprio ministero avendoli solamente “ricevuti” nel verbale di assemblea straordinaria, impugnava l'avviso di liquidazioneinnanzi alla competente C.T.P. che, tuttavia, ne respingeva il ricorso.

La C.T.R., adita dal contribuente soccombente, confermava la decisione di primo grado, sul presupposto che la rogazione dell'atto “enunciante” (il verbale assembleare portante l'aumento gratuito del capitale sociale) comportasse la responsabilità solidale del notaio anche per gli atti ivi “enunciati”, ai sensi e per gli effetti dell'art. 22 d.P.R. n. 131/1986.

Avverso la decisione dei giudici regionali proponeva infine ricorso per cassazione il notaio che denunciava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 22 e art. 57, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 sollevando la questione della responsabilità solidale del professionista per l'imposta di registro sugli atti enunciati nell'atto pubblico rogato o nella scrittura autenticata per suo ministero.

La Sezione tributaria della Suprema Corte, assegnataria del ricorso, rilevata la sussistenza (non di contrasto giurisprudenziale ma) di questione di massima di particolare importanza in relazione ai riflessi pregiudizievoli di carattere patrimoniale ed alle ricadute nocive di ordine sanzionatorio a discapito dei risvolti pubblicistici della funzione notarile, trasmetteva gli atti al Primo Presidente della Cassazione per la rimessione alle Sezioni unite civili.

Il giudice nomofilattico con la sentenza in rassegna, enunciato il principio di diritto sopra massimato, ha infine rigettato il ricorso del professionista.

La questione

Ferma l'estraneità del notaio rogante rispetto al presupposto dell'imposta di registro – da riferirsi esclusivamente alle “parti” che a lui si rivolgono per ottenerne il ministero, le uniche qualificabili “soggetti passivi” in senso stretto (ex multis, Cass., Sez. 5, n. 17357/2020; Cass., Sez. 6-5, n. 5016/2015) – la sentenza annotata affronta la specifica questione se il notaio che abbia rogato un atto pubblico o abbia autenticato una scrittura privata sia da ritenersi responsabile solidalmente ex art. 57, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 anche per il pagamento dell'imposta di registro sugli atti enunciati ex art. 22, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 (“[s]e in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stessi parti intervenute nell'atto che contiene la enunciazione, l'imposta si applica anche alle disposizioni enunciate […]”).

In breve, si pone il tema controverso della responsabilità fiscale in solido del notaio che abbia rogato l'atto “enunciante” rispetto agli atti ivi “enunciati” non sottoposti a registro.

Il dubbio di pone in quanto, da un lato, l'art. 22 d.P.R. n. 131/1986 non stabilisce, in astratto, di quale “tipo” di imposta si tratta nel caso di atti tassati per “enunciazione”, dall'altro perché la responsabilità d'imposta del notaio, fondata sul cit. art. 57, è limitata all'imposta di registro “principale”, escludendosene quella “suppletiva” e quella “complementare”, tripartizione derivante, a sua volta, dalla norma-base di cui all'art. 42, comma 1, d.P.R. n. 131/1986. A tal fine è allora dirimente la qualificazione dell'imposta pretesa con l'atto impositivo imputato e, quindi, l'ermeneutica “in concreto” della norma-base di cui all'art. 42, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 con quella di cui all'art. 22 d.P.R. n. 131/1986.

La soluzione giuridica

Il giudice nomofilattico nella decisione in rassegna prende le mosse dalla riconosciuta qualifica del notaio quale “responsabile di imposta” (ex multis, Cass., Sez. 5, n. 9538/2022), situazione soggettiva passiva ingenerante – pacificamente – un'obbligazione (solidale ma) “dipendente” (Cass., Sez. 5, n. 12759/2016; conf. Cass., Sez. 5, n. 18113/2021), il cui fondamento si rinviene nella garanzia ordinamentale della funzione pubblica notarile.

Ai sensi dell'art. 57, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 vi è una responsabilità solidale tra le “parti” negoziali e il notaio, in quanto pubblico ufficiale costituito fideiussore ex lege relativamente agli atti che ha “redatto, ricevuto o autenticato” ma – come detto – limitatamente all'imposta principale, essendone espressamente escluse quella complementare e quella sostitutiva.

Ciò posto, le sezioni Unite civili reputano pregiudiziale alla soluzione del caso al vaglio la valutazione dei tre presupposti che l'art. 22 d.P.R. n. 131/1986 pone, in generale, per l'applicazione dell'imposta sugli atti “enunciati” non registrati:

  1. l'autonomia giuridica oggettuale dell'enunciazione;
  2. l'identità delle parti dell'atto “enunciante” e dell'atto “enunciato”;
  3. la permanenza degli effetti dell'atto “enunciato”.

Sul primo requisito, la Corte ha ritenuto che, per le caratteristiche oggettive dei due atti enunciati, l'atto impositivo recasse una pretesa creditoria da ascriversi, di per sé, alla categoria dell'imposta di registro “principale”, con conseguente legittimità della forma provvedimentale adottata dall'agenzia (avviso di liquidazione), siccome fondata sulla rettifica de plano dell'imposta autoliquidata (e non su una contestazione funditus di essa: ipotesi in cui la natura di imposta “complementare” avrebbe imposto, invece, un avviso di accertamento recante la determinazione autoritativa del maggior credito tributario correlato al presupposto: così Cass., Sez. 5, n. 6617/2022; Cass., Sez. 5, n. 18113/2021; Cass., Sez. 5, n. 15450/2019). Di qui il principio di diritto sopra massimato, secondo cui qualora in un atto notarile vengano enunciate disposizioni di altri atti, scritti o verbali, posti in essere dalle stesse parti, ma non già registrati, l'imposta di registro dovuta per questi deve qualificarsi come imposta principale e, in rettifica dell'autoliquidazione, l'amministrazione può legittimamente richiederla emettendo un avviso di liquidazione.

Sul secondo presupposto, nulla questio in ordine all'identità delle parti nella specifica vicenda considerata: la presenza di soci in assemblea giuridicamente “contiene” la loro, anche individuale, qualità di “parte” degli atti “enunciati”, secondo il canone logico-ermeneutico del “più che comprende necessariamente il meno”.

Infine, quanto alla terza condizione, nella specie non potevano considerarsi cessati gli effetti degli atti enunciati, posto che, da un lato, il finanziamento del socio all'esito dell'assemblea societaria risultava valido ed efficace de residuo (per euro 600.307), dall'altro proprio nell'assemblea stessa si sono realizzati gli effetti della rinuncia parziale al correlativo credito restitutorio del socio finanziatore. Di qui la rassegnata condizione – come sopra massimata – secondo la quale, ai fini della ripresa fiscale, trattandosi di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, gli effetti degli stessi non devono essere già cessati con l'atto che li enuncia.

Pertanto, il giudice di legittimità, nella sua più autorevole composizione, giunge alla generale conclusione della piena sussistenza dei presupposti giuridici per la tassazione a titolo di imposta “principale” (sia pure nella forma cd. “postuma”, cioè richiesta integrativamente dall'ufficio allo scopo di correggere errori od omissioni in sede di autoliquidazione) anche degli atti enunciati, scritti o verbali, posti in essere dalle stesse parti dell'atto enunciante, ma non già registrati, sempreché la loro configurazione giuridica non richieda accertamenti di fatto ovvero extratestuali né valutazioni interpretative particolarmente complesse.

Per la Corte, si verte – in questa ipotesi – in una fattispecie impositiva complessa in cui ogni singolo atto (enunciante/enunciato) è separatamente ed individualmente soggetto ad imposta (principale), secondo la logica, anche costituzionale, della tipologia fiscale che titola le pretese tributarie azionate, ossia quella dell'“imposta d'atto”. Ne deriva l'affermata responsabilità ex art. 57, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 del notaio che ha rogato (o autenticato) l'atto enunciante per il pagamento dell'imposta, in solido con le parti dell'atto stesso.

Osservazioni

Al fine di dirimere giuridicamente la questione in contestazione relativa alla responsabilità fiscale del notaio rispetto all'atto “enunciante”, il giudice nomofilattico non si è limitato ad affermare l'applicabilità dell'imposta di registro agli atti ivi “enunciati”, ma ha altresì risolto – in termini positivi – il dubbio se questo titolo impositivo rientri nel perimetro applicativo delle norme delimitanti l'obbligazione solidale del notaio in relazione all'imposta stessa.

La Corte regolatrice riconsce la pretesa creditoria erariale in termini di imposta “principale” di registro, per plurime ragioni.

Anzitutto per le ragioni sopra esposte, in dipendenza della ontologia concreta degli atti “enunciati”.

In secondo luogo, perché l'art. 42, comma 1, primo periodo, d.P.R. n. 131/1986 indica come principale l'imposta richiesta dall'ufficio “se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica”. Nel caso di specie ed in quelli omologhi, risultando “elementi desumibili dall'atto” (art. 3-ter, comma 1, primo periodo, D.Lgs. n. 463/1997) altri atti tassabili, secondo la previsione dell'art. 22 cit., l'agenzia fiscale, avvalendosi del potere di rettifica, ben poteva “correggere” la relativa “omissione” sicché – nella specie – con l'avviso di liquidazione impugnato legittimamente ha preteso dal notaio presentante il M.U.I. il pagamento di un'imposta di registro senz'altro qualificabile “principale” sia pure nella forma cd. “postuma” ex art. 42 cit. evocandone la responsabilità solidale ex art. 57 cit. In pratica, al notaio è stata richiesta né più né meno (al netto delle sanzioni) la stessa imposta principale che le parti degli atti “enunciati” avrebbero dovuto – e devono – versare per la loro registrazione e che il notaio stesso, quale responsabile d'imposta, avrebbe dovuto autoliquidare e versare in sede di presentazione del M.U.I (così anche Cass., Sez. 5, n. 18113/2021).

La soluzione divisata non si pone affatto in contrasto con la natura dell'imposta di registro quale “imposta d'atto” – secondo la visione della giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 158/2020; Corte cost. n. 39/2020) cui si è conformata costantemente la giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass., Sez. 6-5, n. 590/2022; Cass., Sez. 6-5, n. 71/2022; Cass., Sez. 6-5, n. 38003/2021; Cass., Sez. 6-5, n. 38005/2021; Cass., Sez. 5, n. 25601/2021; Cass., Sez. 5, n. 9065/2021; Cass., Sez. 5, n. 4319/2021; Cass., Sez. 5, n. 4315/2021; Cass., Sez. 6-5, n. 14318/2021; Cass., Sez. 6-5, n. 14342/2021) – nella misura l'atto “enunciante” sia un atto fiscalmente cumulativo, come tale di per sé autonomamente imponibile in relazione al suo oggetto principale ma contenente ulteriori atti (disposizioni di ) non richiedenti accertamenti di fatto ovvero extratestuali né valutazioni interpretative particolarmente complesse e la cui imponibilità, “per attrazione”, è comunque sancita dall'art. 22 d.P.R. n. 131/1986, norma costituente la base normativa necessaria al rispetto del generale principio di legalità (riserva relativa di legge) dell'imposizione fiscale, sancito dall'art. 23 Cost.

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