Violazione dell'obbligo informativo in relazione alla lesione del diritto all'autodeterminazione e alla salute

04 Agosto 2023

Il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione è risarcibile anche qualora il paziente non provi che avrebbe rifiutato l'operazione se fosse stato informato dei rischi della stessa.
Massima

“Il consenso del paziente deve essere, oltre che informato, consapevole, completo, globale ed esplicito. Un danno risarcibile da lesione del diritto all'autodeterminazione è predicabile se e solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni. Il paziente va risarcito anche qualora non provi che avrebbe rifiutato l'operazione se fosse stato informato dei rischi della stessa”.

Il caso

Il caso di specie trae origine dalla richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e biologici subiti da un paziente a causa di un errore nell'esecuzione di un intervento chirurgico, consistente nella asportazione di un'ernia discale, nonché di quelli derivanti dalla lesione al diritto all'autodeterminazione, per mancanza del consenso informato: ciò, in relazione all'aggravamento, nei mesi successivi alle dimissioni, della sintomatologia dolorosa che aveva spinto il paziente ad effettuare l'intervento.

Il paziente conveniva in giudizio, a tal proposito, l'Azienda Sanitaria ed il tribunale, in primo grado, rigettava la domanda risarcitoria.

La Corte d'appello, in parziale accoglimento del gravame proposto, riconosceva fondata la pretesa risarcitoria per il danno non patrimoniale, diverso dal danno biologico, sulla base della mancanza della prova che fosse stata fornita al paziente adeguata e completa informazione, anche sulle possibili complicanze dell'intervento, pur correttamente eseguito. In particolare, il giudice d'appello stabiliva che fosse liquidata all'appellante la somma di settemila euro, condannando l'Azienda Sanitaria anche al pagamento per intero delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso tale decisione, l'Azienda Sanitaria proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Nell'ordinanza in esame, la Suprema Corte affronta il tema dalla lesione del diritto all'autodeterminazione per mancanza del consenso informato, con particolare riferimento all'aggravamento, nei mesi successivi alle dimissioni, della sintomatologia dolorosa che aveva spinto il paziente ad effettuare l'intervento.

Le soluzioni giuridiche

L'Azienda Sanitaria ricorrente, nel caso di specie, ha contestato l'asserita mancanza di prova relativa all'assunta carenza del consenso informato, con le seguenti argomentazioni.

In primo luogo, ha obiettato che la prova del consenso informato andava, comunque e di contro, desunta dalla mera sottoscrizione dell'apposito modulo, sostenendo che l'informazione poteva essere data anche oralmente e che la relativa prova si poteva trarre per presunzioni. Inoltre, secondo l'Asl, un modulo eccessivamente dettagliato potrebbe far ritenere inadeguata l'informativa , proprio perché troppo articolata e complessa e, quindi, non intellegibile per un paziente privo di conoscenze specifiche.

Sempre secondo la tesi difensiva dell'Azienda Sanitaria, l'elemento indiziario da cui trarre la prova, per presunzioni, dell'adeguata informativa si poteva - e doveva - trarre dal fatto che il paziente era stato sottoposto a diverse visite e controlli (elemento, questo, che emergeva dal modulo sottoscritto del consenso informato), nonché da altre prove documentali, quali l'annotazione nel diario clinico in ordine all'avvenuta informazione redatta dal medico che vi aveva materialmente provveduto ed il giudizio del consulente tecnico d'ufficio nominato dal giudice, secondo il quale non risultava esservi stata alcuna carenza nell'informazione del paziente che ha regolarmente firmato un consenso informato.

L'Azienda Sanitaria aveva, inoltre, aggiunto che, alla base della ricomparsa della grave sintomatologia dolorosa dopo l'intervento, non vi sarebbe stata una complicanza medica vera e propria - come affermato nella sentenza impugnata - ma una semplice reazione cicatriziale incongrua, determinata da fattori di predisposizione individuale del paziente, evidenziando anche che la formazione di fibromi (o aderenze chirurgiche), in caso di interventi simili a quelli del caso di specie, avesse un'incidenza statistica bassissima, pari al cinque per cento.

Infine, la ricorrente imputava alla Corte d'appello un grave “error in iudicando”, in quanto la responsabilità risarcitoria per mancato consenso informato presupporrebbe la prova - nello specifico mancante (ed anzi, potendo ben trarsi una prova contraria) - che il paziente, ove correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento.

La Suprema Corte ha rigettato tutti i predetti motivi di ricorso, confermando integralmente le argomentazioni del giudice d'appello.

La Cassazione, infatti, afferma che il consenso del paziente, oltre che informato, deve essere consapevole, completo (deve riguardare cioè tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) e globale (deve coprire non solo l‘intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso); inoltre, esso deve essere esplicito e non meramente presunto o tacito (così anche Cass., n. 20984/2012; Cass., 26827/2017; Cass., 7248/2018; Cass., 9053/2018, Cass., 9807/2018, Cass., 9179/2018, Cass., 16336/2018; Cass., 3992/2019).

Nel caso di specie, la complicanza verificatasi successivamente all'intervento non è stata considerata eccezionale o altamente improbabile, essendo piuttosto ad essa assegnata una percentuale di verificazione bassa (ossia del 5%), ma tuttavia non al punto da potersi qualificare come assolutamente eccezionale.

In tale contesto, spiega la Corte, è del tutto irrilevante, (oltre che privo di riconoscibile consistenza sul piano lessicale) l'assunto della Azienda ricorrente - secondo cui l‘accertata origine della sintomatologia dolorosa, ossia la reazione cicatriziale determinata da fattori di predisposizione individuale non potrebbe considerarsi una vera e propria complicanza medica – in quanto quel che rileva, ai fini della valutazione da compiere sulla completezza delle informazioni da fornire al paziente, è che si tratti di evento correlabile alla prestazione sanitaria, la cui possibile verificazione sia, comunque, nota nella letteratura medica e, come tale, prevedibile, ancorché quale conseguenza di bassa frequenza statistica.

La Cassazione evidenzia, altresì, la contraddittorietà delle asserzioni dell'Azienda Sanitaria ricorrente laddove, da un lato, ammetteva che il modulo del consenso informato non era ricco di dettagli, e, dall'altro, sosteneva che dal mero fatto che in esso si riferiva che il paziente era stato sottoposto a visita, si sarebbe dovuto trarre la prova presuntiva dell'adeguata e completa informazione.

In partcolare, la Cassazione considera infondata la censura relativa alla mancanza della prova che il paziente, ove correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento: ciò, in considerazione delle sofferenze di carattere morale derivate dagli esiti inattesi dell'intervento in termini di sorpresa, impreparazione e maggiore afflittività. La Corte d'appello, difatti, aveva giustamente ritenuto che la prova dell'esistenza di tale diverso tipo di pregiudizio fosse stata efficacemente offerta dal paziente.

A questo punto, la Suprema Corte coglie l'occasione per ripercorrere i principi che presiedono il tema della responsabilità da mancato consenso informato, quale emergente dalla ormai consolidata giurisprudenza della Terza Sezione Civile della Cassazione.

Ebbene, la Corte ricorda, richiamando i propri precedenti, che l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente può assumere diversa rilevanza causale, a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute. Nel primo caso, l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia, ex se, una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario. Nel secondo caso, l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende, invece, dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile, di regola, in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato (tra le tante, cfr. Cass. 2447/2020; Cass., 28985/2019).

Il fatto costitutivo del credito risarcitorio richiede la presenza dei seguenti elementi:

a) la condotta lesiva (ovvero l'omissione o l'incompletezza delle informazioni rese al paziente, insieme al presunto dissenso all'atto terapeutico);

b) l'evento di danno - che può essere rappresentato dalla violazione del diritto all'autodeterminazione, o dalla lesione del diritto alla salute, o da entrambi - legato alla condotta lesiva da nesso di causalità materiale (Cass., n. 28985/2019);

c) il danno-conseguenza, ossia le concrete conseguenze pregiudizievoli derivanti, secondo il nesso di causalità giuridica ex art. 1223 cod. civ., dall'evento di danno (queste costituenti danno risarcibile nel vigente ordinamento, che non ammette la risarcibilità di un danno in re ipsa: Cass., 582/2018, Cass., 581/2008; Cass. n. 33645/2022)

In sintesi, la violazione degli obblighi informativi dovuti al paziente può, dunque, essere dedotta sia in relazione eziologica rispetto all'evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto alla salute, sia in relazione all'evento di danno rappresentato dalla violazione del diritto all'autodeterminazione, sia, contemporaneamente, in relazione ad entrambi.

Nel primo caso, quello cioè del deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla salute, non vi sono considerazioni particolari da fare, quanto al secondo ed al terzo elemento dello schema concettuale già ricordato si osserva che risarcibile non sarà, in sé, la lesione dell'integrità psico-fisica, ma le conseguenze pregiudizievoli da questa derivanti (danno patrimoniale, danno biologico, danno morale)(cfr. Cass., n. 901/2018, Cass., 7513/2018).

La particolarità, in tal caso, proseguono i giudici, riguarda piuttosto il primo elemento della fattispecie, ossia il fatto lesivo. In tal caso, infatti, l'omessa informazione assume di per sé carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la rilevanza causale dell'inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa “consenso/dissenso” che qualifica detta omissione. In caso, infatti, di presunto consenso, l'inadempimento dell'obbligo informativo, pur esistente, risulterebbe privo di incidenza deterministica sul risultato infausto dell'intervento correttamente eseguito, in quanto comunque voluto dal paziente. Diversamente, in caso di presunto dissenso, detto inadempimento assume invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l'intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito – e l'esito infausto non si sarebbe verificato – non essendo stato voluto dal paziente. L'allegazione (e la verifica giudiziale) dei fatti dimostrativi dell'opzione “a monte” che il paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante del nesso eziologico (da provarsi da parte attrice) tra l'inadempimento e l'evento dannoso (Cass., n. 19199/2018).

Nel secondo caso - quello cioè del deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione - le considerazioni da fare riguarderanno, invece, il terzo elemento dello schema concettuale, ossia i pregiudizi risarcibili - chiarisce la Cassazione - venendo così al cuore della questione.

Quanto al fatto lesivo, invero, se, di regola, occorre allegare e provare, oltre alla violazione dell'obbligo informativo, anche che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento, è di converso ipotizzabile che, pur nel caso in cui possa presumersi che questi avrebbe prestato il consenso (o in cui, comunque, non v'è prova del contrario), egli non sia stato messo nelle condizioni di autonomamente determinarsi ed affrontarlo consapevolmente (Cass. n. 7248/2018). Anche in tale ipotesi, dunque, la violazione dell'obbligo informativo determina la lesione del diritto all'autodeterminazione. Con ciò, però, si rimane pur sempre sul piano dell'evento lesivo (o danno-evento), il quale non costituisce, ex se, danno risarcibile. Secondo la Suprema Corte, la peculiarità del caso in esame è rappresentata dal rilievo che, mentre nel caso di deficit informativo eziologicamente rilevante nella determinazione del danno da lesione del diritto alla salute, il danno risarcibile è, per l'appunto, rappresentato dalle conseguenze di tale lesione (secondo i noti criteri che le definiscono sul piano relazionale e morale), nel caso in cui – quale quello di specie – non sia tale il danno che viene in considerazione, è indispensabile allegare e provare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito. Va, dunque, ribadito che un danno risarcibile da lesione del diritto all'autodeterminazione è predicabile se e solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni.

In relazione all'intrecciarsi, con riferimento alla medesima fattispecie, di allegazioni riguardanti l'esecuzione – inadempiente (ex art. 1218 c.c.) o colposa (ex art. 2043 c.c.) - della prestazione sanitaria e la violazione dell'obbligo informativo - quest'ultima in relazione sia alla lesione del diritto all'autodeterminazione sia alla lesione del diritto alla salute - possono verificarsi diverse ipotesi.

Quanto alla prima ipotesi, ricorrono:

a) il consenso presunto (“ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso”);

b) il danno iatrogeno (“l'intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti”);

c) la condotta inadempiente o colposa del medico. In tal caso sarà risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria.

Quanto alla seconda ipotesi, ricorrono:

a) il dissenso presunto (ossia, “può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all'atto terapeutico);

b) il danno iatrogeno;

c) la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria. In tal caso sarà risarcibile sia, per intero, il danno biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, ossia le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, che siano allegate e provate, sia pure per presunzioni.

Nelle terza opzione, ricorrono sia il dissenso presunto che il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria (l'intervento è stato correttamente eseguito). In tal caso, il risarcimento sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto all'autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra li maggiore danno biologico conseguente all'intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto.

Nella quarta ipotesi, ricorre il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso), e non vi è alcun danno derivante dall'intervento, in tal caso nessun risarcimento sarà dovuto.

Come quinta e ultima ipotesi, ricorrono il consenso presunto ed il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria (l'intervento è stato correttamente eseguito): in tal caso, spiega la Corte, il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all'autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi e provi che, dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione, gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente (Cass. n. 28985/2019).

Nella specie, prosegue la Corte, secondo l'indicazione desunta dalla sentenza impugnata, ricorre per l'appunto l'ultima di queste ipotesi, ossia deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione. Ebbene, secondo la Corte, il giudice d'appello, “nel vagliare la fondatezza della domanda risarcitoria sotto il detto limitato profilo (come si evince dalla particolare esiguità della somma liquidata), ha valutato la fattispecie nel pieno rispetto dell'esposto schema concettuale, in particolare evidenziando l'apprezzabilità di conseguenze dannose risarcibili diverse dal danno alla salute”.

Riportando le conclusioni della sentenza impugnata, si legge testualmente: “Considerata la gravità delle condizioni di salute del paziente successivamente all'intervento medico, si può ragionevolmente presumere che, anche se avesse acconsentito comunque all'esecuzione dell'intervento (perché non ha provato che se correttamente informato lo avrebbe rifiutato), non è stato però messo nelle condizioni di valutare se affrontarne le conseguenze”.

Da tali considerazioni, conclude la Suprema Corte, si trae, dunque, il corretto apprezzamento, quale pregiudizio rilevante sul piano risarcitorio, delle sofferenze del tutto presumibilmente derivate dall'inatteso aggravamento, nei mesi successivi alle dimissioni, della sintomatologia dolorosa che aveva spinto il paziente ad effettuare l'intervento, in termini di sorpresa, impreparazione, maggiore afflizione; conseguenze pregiudizievoli tanto più presumibili e tanto più rilevanti quale danno risarcibile, quanto meno prevedibile poteva considerarsi la complicanza (nella specie, come detto, statisticamente ricorrente solo nel 5% dei casi).

Osservazioni

L'ordinanza in commento è di notevole rilevanza sul fronte dell'obbligo del consenso informato e della tutela dei diritti dei pazienti.

La Suprema Corte, in sostanza, ha ritenuto fondata la pretesa risarcitoria del paziente per il danno non patrimoniale diverso dal danno biologico, poiché il medico (nella specie la Asl) non aveva provato di aver fornito al paziente adeguata e completa informazione anche sulle possibili complicanze successive all'intervento (pur correttamente eseguito).

Possono, infatti, verificarsi anche casi in cui gli esiti dell'intervento sono stati così inattesi e dolorosi, con relativo peggioramento delle condizioni di salute, che si può ben e ragionevolmente presumere che il paziente, quand'anche avesse comunque acconsentito alla sua esecuzione, non è stato però messo nelle condizioni di valutare se affrontarne le conseguenze. E tale pregiudizio patito va risarcito.

Ciò in quanto il consenso del paziente, come spiega la Corte, oltre che informato, deve essere consapevole, completo (deve riguardare cioè tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) e globale (ossia deve coprire non solo l'intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso). Inoltre, esso deve essere esplicito e non meramente presunto o tacito (anche se presuntiva, per contro, può essere la prova, da darsi dal medico, che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito). Inoltre, secondo i giudici di legittimità la violazione degli obblighi informativi dovuti al paziente può essere dedotta sia in relazione eziologica rispetto all'evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto alla salute, sia in relazione all'evento di danno rappresentato dalla violazione del diritto all'autodeterminazione; sia, contemporaneamente, in relazione ad entrambi.

La Suprema Corte, inoltre, afferma che il paziente vada risarcito anche qualora non provi che avrebbe rifiutato l'operazione se fosse stato informato dei rischi della stessa. Ciò benché, nel caso di specie, l'intervento chirurgico risulti eseguito in modo corretto e la complicanza post-operatoria verificatasi si manifesti soltanto in pochi casi e sia dovuta al processo di cicatrizzazione. Va, dunque, riconosciuto il danno iatrogeno, vale a dire l'aggravamento delle condizioni dopo l'opera dei sanitari, una circostanza del tutto inattesa dal paziente. E, dunque, si presumono le sofferenze risarcibili in termini di sorpresa, impreparazione e maggiore afflizione da parte dell'interessato; conseguenze che sono tanto più rilevanti quanto meno prevedibile è la complicanza.

In tal senso, occorre precisare che, quando un paziente subisce un peggioramento della propria patologia, o delle proprie lesioni, a causa delle azioni od omissioni colpose o dolose di un medico, egli ha diritto a vedersi riconosciuto un risarcimento per il “danno iatrogeno” subìto. Il “danno iatrogeno” si configura nel caso in cui si verifichi il peggioramento di una patologia, o di una lesione preesistente, a causa del comportamento colposo o negligente del medico.

Esso può essere definito come un “danno disfunzionale”, che si inserisce in una situazione in parte già compromessa da una patologia pregressa, rispetto alla quale si determina un “incremento differenziale del pregiudizio”. Si tratta, dunque, di una tipologia di danno ontologicamente medico-sanitaria, che rientra a pieno titolo nella categoria del danno biologico, inteso come danno all'integrità psicofisica della persona.

Per la sua configurazione, occorre che si verifichino i seguenti presupposti: una patologia preesistente nel soggetto per cause naturali o per colpa di terzi; l'intervento di un medico avvenuto per curare la lesione del paziente; l'errore colposo o doloso del medico nella gestione del paziente; il conseguente aggravamento della patologia o la mancata guarigione.

Dunque, per il paziente che lamenti la lesione del diritto all'autodeterminazione per non essere stato adeguatamente informato, non è sempre necessario provare che, se l'informativa fosse stata corretta e completa, egli non si sarebbe sottoposto all'operazione.

La Corte si sofferma qui sul significato di “complicanza”: non conta che la complicanza sia determinata dalla reazione alla cicatrice dovuta a fattori di predisposizione individuale del paziente, né che in operazioni del genere, fibromi o aderenze chirurgiche si formino soltanto nel 5% dei casi. È complicanza ogni evento correlabile alla prestazione sanitaria che è prevedibile in base alla letteratura medica, salvi i casi del tutto eccezionali.

Affermano i giudici di legittimità che, anche se il paziente non prova che avrebbe rifiutato l'intervento, deve presumersi che abbia sofferto, viste le gravi condizioni successive all'operazione: conseguenze che sono tanto più rilevanti come danno risarcibile quanto più improbabile può considerarsi la complicanza, e che vanno apprezzate in uno schema concettuale diverso dal danno alla salute.

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