Effetti del verbale di mancata adesione e prova del contenuto delle notifiche

24 Agosto 2023

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 24 marzo 2023, n. 8504, ha chiarito alcuni rilevanti profili, rispettivamente, in tema di effetti processuali del verbale di mancata adesione e di prova dell'effettivo contenuto di un atto notificato tramite raccomandata.
Massima

Il verbale di constatazione del mancato accordo di adesione non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia, sicchè allo stesso non può riconoscersi il valore di atto idoneo all'interruzione del termine di sospensione di novanta giorni. Nel caso di contestazione dell'atto comunicato a mezzo raccomandata, l'onere di provare che il plico non conteneva l'atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario in forza della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c.

Il caso

Nel caso in esame la società contribuente impugnava l'avviso di rettifica con il quale era stata accertata una maggiore imposta comunale sugli immobili di sua proprietà, sul rilievo della illegittimità dell'atto impositivo non preceduto dalla notifica dell'atto di classamento alla base del maggior accertamento, nonchè per l'assenza dei presupposti oggettivi di imposizione.

La contribuente chiedeva in ogni caso la disapplicazione delle sanzioni per l'omessa notifica dei provvedimenti attributivi della nuova rendita.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava l'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, confermando nel merito la legittimità dell'accertamento.

Proposto appello principale da parte del contribuente e appello incidentale da parte del Comune, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva il primo e respingeva il secondo.

In particolare, i giudici di secondo grado ritenevano tempestiva la proposizione del ricorso originario della società e oneravano il Comune della prova - a fronte della contestazione da parte della contribuente concernente il contenuto del plico, contenente più atti di comunicazione della rendita catastale, inoltrato dall'Agenzia - del contenuto della busta.

Sia l'Agenzia delle Entrate che il Comune proponevano infine ricorso per cassazione.

In particolare, l'Agenzia delle Entrate censurava la sentenza impugnata per avere i giudici affermato la nullità della notifica degli atti impositivi contenuti in una unica busta, facendo erroneamente gravare sull'Ufficio l'onere di dimostrare che la busta pervenuta al destinatario contenesse tutti gli atti (avvisi di classamento) inviati a notifica, in violazione degli artt. 2697, 2727, 2729 e 1335 c.c.

sPer conto suo, il Comune denunciava invece, tra le altre, la violazione del d.lgs. n. 218/1997, art. 12, per avere i giudici di secondo grado affermato la tempestività del ricorso originario sulla base di una erronea valutazione del verbale contenente il rigetto dell'istanza di accertamento con adesione, confuso con il rigetto dell'istanza di autotutela precedentemente comunicato.

Assumeva l'ente locale che, dalla data del verbale di rigetto della predetta istanza, la contribuente aveva solo sette giorni per impugnare l'atto impositivo; termine poi in concreto non rispettato, con dunque tardività del ricorso.

Tale conclusione si fondava sulla premessa che al momento del rigetto si interrompeva la sospensione dei 90 giorni di cui all'art. 12 citato.

La questione

Le questioni in discussione concernevano, in sostanza, i seguenti profili:

  • gli effetti del verbale di mancata conclusione dell'accertamento con adesione;
  • la prova del contenuto delle notifiche tramite raccomandata.

Quanto alla prima questione, il tema riguardava la tempestività o meno del ricorso e la eventuale violazione della normativa inerente alla interruzione della sospensione dei termini per impugnare in caso di istanza di accertamento con adesione.

Il d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6, vigente ratione temporis, prevedeva a tal proposito che: "1. Il contribuente nei cui confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, e d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, può chiedere all'ufficio, con apposita istanza in carta libera, la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell'eventuale definizione. 2. Il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall'invito di cui agli artt. 5 e 5-ter, può formulare anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi la commissione tributaria provinciale, istanza in carta libera di accertamento con adesione, indicando il proprio recapito, anche telefonico. 3. Il termine per l'impugnazione indicata al comma 2 e quello per il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto accertata, indicato nel d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60, comma 1, sono sospesi per un periodo di novanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza del contribuente; l'iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli delle imposte accertate dall'ufficio, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15, comma 1, è effettuata, qualora ne ricorrano i presupposti, successivamente alla scadenza del termine di sospensione. L'impugnazione dell'atto comporta rinuncia all'istanza. 4. Entro quindici giorni dalla ricezione dell'istanza di cui al comma 2, l'ufficio, anche telefonicamente o telematicamente, formula al contribuente l'invito a comparire. Fino all'attivazione dell'ufficio delle entrate, la definizione ha effetto ai soli fini del tributo che ha formato oggetto di accertamento. All'atto del perfezionamento della definizione, l'avviso di cui al comma 2 perde efficacia".

Alla stregua del costante indirizzo espresso in materia dalla giurisprudenza di legittimità, e in conformità a quanto rilevato dalla Corte costituzionale con l'Ordinanza n. 140/2011, che aveva ritenuto inammissibile la prospettata questione di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 218/1997, art. 6, comma 3, "nella parte in cui non prevede che la formalizzazione del mancato raggiungimento dell'accordo comporti la rinuncia all'istanza di accertamento con adesione", il verbale di constatazione del mancato accordo non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all'istanza di accertamento con adesione, sicchè alla stessa non può riconoscersi, in generale, il valore di atto idoneo all'interruzione del termine di sospensione di novanta giorni, previsto dal Dlgs. n. 218 del 1997, artt. 6 e 12, connesso alla presentazione dell'istanza di accertamento con adesione (cfr., tra le altre, Cass., 26 giugno 2015, n. 13248; Cass., 11 maggio 2012, n. 7734; Cass., 9 marzo 2012, n. 3762).

Quanto alla seconda questione, il tema, come detto, riguardava la prova in ordine al contenuto della raccomandata con cui erano stati notificati gli atti impositivi, laddove l'arrivo della raccomandata fa presumere, ex art. 1335 c.c., l'invio e la conoscenza dell'atto, spettando al destinatario l'onere eventuale di provare che il plico non conteneva l'avviso.

Tale presunzione, però, opera in realtà per la sola ipotesi di una busta che contenga un unico atto, mentre, ove il mittente affermi di averne inserito più di uno (come era anche nella specie) ed il destinatario contesti tale circostanza, grava sul mittente l'onere di provare l'intervenuta notifica e, quindi, il fatto che tutti gli atti fossero contenuti nel plico e ciò in quanto, secondo l'id quod plerumque accidit, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione.

La soluzione giuridica

Secondo la Suprema Corte, quanto alla questione degli effetti sospensivi del verbale di mancata adesione, nel caso di specie, anche a voler ritenere che il verbale contenesse il rigetto dell'istanza di accertamento con adesione e non il rigetto dell'autotutela, la censura era infondata.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che la Cassazione ha a tal proposito già più volte ritenuto che il verbale in cui si dà atto del mancato raggiungimento dell'accordo non possa essere qualificato come rinuncia all'istanza.

Affinchè infatti possa operare, sin dalla chiusura del verbale di mancato accordo, la ripresa del termine d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 21, per la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale, è necessaria una manifestazione univoca di volontà in tal senso.

Secondo l'orientamento costante della Corte, peraltro, la presentazione di istanza di definizione da parte del contribuente, ai sensi del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6, non comporta l'inefficacia dell'avviso di accertamento, ma solo la sospensione del termine di impugnazione per un periodo di novanta giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, l'accertamento diviene, comunque, definitivo, in assenza di impugnazione, anche nel caso in cui sia mancata la convocazione del contribuente, la quale costituisce per l'Ufficio una mera facoltà - non un obbligo e, in ogni caso, non un adempimento imposto a pena di invalidità del provvedimento impositivo - da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisività degli elementi posti a base dell'accertamento e dell'opportunità di evitare la contestazione giudiziaria (cfr., tra le tante, Cass., Sez. 5, 30 giugno 2006, n. 15170; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2009, n. 28051; Cass., Sez. 5, 17 ottobre 2014, n. 21991; Cass., Sez. 5, 3 dicembre 2019, n. 31472; Cass., Sez. 5, 17 novembre 2020, n. 26171; Cass., Sez. 5, 12 maggio 2021, n. 12516; Cass., Sez. 5, 14 dicembre 2021, n. 39793; Cass., Sez. 5, 1 giugno 2022, n. 17816).

Nella specie, la società contribuente aveva osservato il termine dei 150 giorni per notificare il ricorso originario e dunque aveva rispettato i termini di cui al D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, con conseguente tempestività del ricorso.

Quanto alla seconda questione, la censura, secondo la Cassazione, era invece fondata.

La contribuente non aveva infatti dedotto che la busta contenesse solo alcuni atti di classamento, ma aveva eccepito l'omessa notifica degli atti classamento e, successivamente, l'illegittimità della notifica di plurimi atti in una unica busta e la carenza di prova in ordine al contenuto della stessa.

Secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, però, nel caso di contestazione dell'atto comunicato a mezzo raccomandata l'onere di provare che il plico non conteneva l'atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario, in forza della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c..

Tale conclusione discende peraltro anche dal cosiddetto principio di vicinanza della prova, laddove, una volta effettuata la consegna del plico per la spedizione, esso fuoriesce dalla sfera di conoscibilità del mittente e perviene invece in quella del destinatario, il quale (solo) può dimostrare che, al momento del ricevimento, il plico era privo di contenuto, o ne aveva uno diverso (in tal senso, Cass. n. 30787 del 26/11/2019; Cass., n. 16528 del 22/6/2018; Cass., n. 33563 del 28/12/2018, Cass., n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625 del 11/2/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; n. 3562 del 22/2/2005).

Nella specie, avendo la società negato che la busta contenesse gli atti di classamento, gravava dunque sulla stessa l'onere della relativa prova.

Osservazioni

Tanto premesso, a prescindere dallo specifico caso ed appuntando l'attenzione sugli effetti processuali della presentazione della istanza di adesione (e del verbale di mancato perfezionamento della stessa), giova evidenziare quanto segue.

In tema di accertamento con adesione, la sospensione per 90 giorni del temine ordinario di impugnazione dell'atto impositivo, conseguente alla presentazione dell'istanza, non è interrotta dal verbale di constatazione del mancato accordo, poiché tale atto, in considerazione delle finalità del procedimento, è diretto a favorire una soluzione concordata della controversia, e, in mancanza di un'espressa disposizione normativa, non può essere equiparato né ad una definitiva rinuncia all'istanza, né ad un epilogo comunque definitivamente conclusivo del medesimo procedimento (cfr., Cass., n. 3762/2012; Cass., n. 2218 del 30/01/2020).

Il verbale di constatazione del mancato accordo non integra, pertanto, una situazione analoga a quella di definitiva rinuncia, sicché allo stesso non può riconoscersi il valore di atto idoneo all'interruzione del citato termine di sospensione di novanta giorni (cfr., Cass., n. 20362/2017).

In tema di accertamento con adesione, in conclusione, in mancanza di definizione consensuale, solo la formale ed irrevocabile rinuncia del contribuente all'istanza è idonea ad interrompere il sopradetto termine di sospensione di novanta giorni; e questo anche considerato che, come detto, lo stesso termine è volto a garantire uno spatium deliberandi idoneo, che consenta una effettiva possibilità di “rimeditazione” dell'accertamento (cfr., Cass., n. 3278/2019).

Sempre sul tema, la Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 36919 del 16 dicembre 2022, ha anche chiarito che, neppure la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione in via amministrativa della lite, sia essa giustificata o meno, interrompe la sospensione del termine di 90 giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza, né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti (cfr., Cass., n. 27274 del 24/10/2019).

Sempre in tema di esatto computo dei termini di impugnazione laddove sia stata presentata istanza di accertamento con adesione, si evidenzia, infine, che la giurisprudenza di legittimità aveva, in passato, ritenuto inapplicabile la sospensione dei termini per il periodo feriale ai procedimenti non giurisdizionali, escludendo quindi la cumulabilità della sospensione dei termini da adesione con quella feriale di cui all'art.1, L. n. 742/1969 (cfr., Cass., Ord. n. 11632 del 05.06.2015).

Affermava infatti a tal proposito la Corte che la sospensione del termine per il procedimento di adesione era tesa solo a garantire il tempo necessario per svolgere le opportune valutazioni in proposito (in merito ad un possibile accordo) e non per assicurare il diritto di difesa in giudizio.

Tuttavia, viste le successive modifiche normative, la stessa Cassazione ha poi confermato la cumulabilità dei due periodi di sospensione (cfr., Cass., Ord. n. 31683 del 06/12/2018), rilevando che l'art. 7 quater, co.18, del d.l. n. 193/2016, convertito dalla L. n. 225/2016, ha espressamente disposto che i termini di sospensione relativi alla procedura di adesione si intendono cumulabili con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale.

Tale disposizione, peraltro, avendo natura processuale, è stata considerata applicabile anche per i procedimenti già in corso.

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