Termini di accertamento e rimborso del credito fiscale
29 Agosto 2023
Massima
La prova suddetta non può concretizzarsi nella sola esposizione del credito richiesto in dichiarazione dei redditi. Inoltre, l'amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente in dichiarazione dei redditi anche oltre i termini dell'accertamento.
Questo è quanto è stato sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17750/2023, con la quale è stato rigettato il ricorso di un contribuente avverso il diniego di rimborso di un proprio credito fiscale. Il caso
Una società aveva presentato un'istanza di rimborso IRPEG per gli anni d'imposta 1997, 1998, 1999 e 2000 riguardanti delle eccedenze fiscali risultati in dichiarazione dei redditi. La commissione tributaria provinciale competente accoglieva il ricorso della società contribuente. L'amministrazione finanziaria si appellava alla Commissione tributaria regionale che accettava le doglianze dell'Agenzia delle Entrate. Il contribuente, non soddisfatto della decisione, proponeva ricorso per Cassazione, la quale ha deciso con sentenza n. 17750, depositata il 21 giugno 2023, rigettando il ricorso stesso. La questione
Il tema oggetto della presente questione riguarda il rimborso di un credito fiscale a favore del contribuente. La soluzione giuridica
Affrontando il tema, la suprema corte ha premesso ricordando come, fino al 2016, la giurisprudenza fosse divisa in due orientamenti contrastanti.
La prima tesi giurisprudenziale riconosceva l'esistenza del credito fiscale una volta “consolidato”, il che poteva avvenire tramite un “riconoscimento esplicito” in sede di liquidazione del credito suddetto, oppure per effetto di un “riconoscimento implicito” derivante dal mancato esercizio del potere di rettifica nei termini previsti. Questo indirizzo giurisprudenziale, evidentemente più favorevole per il contribuente, comportava che, una volta riconosciuto il credito fiscale, l'amministrazione era tenuta ad eseguire, in favore del contribuente, il rimborso dello stesso. Quest'ultimo era soggetto alla ordinaria prescrizione decennale. La Corte aveva, infatti, ritenuto che il contribuente, qualora avesse evidenziato nella dichiarazione dei redditi un credito d'imposta, non avrebbe dovuto, al fine di ottenerne il rimborso, compiere alcun altro adempimento, ma avrebbe solo dovuto attendere che l'Amministrazione finanziaria esercitasse, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte prevista dall'art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione.
Il secondo orientamento giurisprudenziale, invece, sosteneva una tesi differente. Secondo questa giurisprudenza successiva, infatti, il termine entro il quale l'amministrazione doveva provvedere alla liquidazione dell'imposta (art. 36-bis) avrebbe avuto natura ordinatoria. Pertanto, il credito esposto in dichiarazione non poteva consolidarsi con il semplice spirare del termine predetto. Ciò non poteva avvenire neppure nell'ipotesi in cui l'amministrazione avesse omesso di procedere ad accertamento e rettifica nel termine fissato dall'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973.
Il contrasto sopra descritto per sommi capi è stato risolto dalle Sezioni Unite di Cassazione (Cass., sez. un., 15/03/2016, n. 5069) le quali hanno affermato il principio secondo il quale “in tema di rimborso di imposte, l'Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”, desumibile dall'art. 1442, ultimo comma, c.c.”.
Questa tesi è stata ribadita recentemente da un'altra sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione – n. 21766/2021 – con la quale è stato precisato ulteriormente che non è sufficiente ai fini del rimborso del credito che esso sia esposto in dichiarazione. Né l'inerzia da parte dell'amministrazione finanziaria può equivalere al riconoscimento implicito del credito, per l'assenza di fatti impeditivi o preclusivi del rimborso, in ragione di un obbligo dell'amministrazione di attivarsi, derivante anche dalla combinazione dei commi 2 e 5 dell'art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente. Al contrario, il legislatore prende sì in considerazione l'inerzia, ma assegna ad essa il significato di rifiuto tacito, in quanto tale impugnabile: l'art. 21, comma 2, d.lgs. 31/12/1992, n. 546 ammette il ricorso contro il silenzio rifiuto opposto dall'amministrazione a qualsiasi richiesta di rimborso; e il silenzio rifiuto funge “da anello di congiunzione tra la procedimentalizzazione del diritto al rimborso e la sua tutela in sede giudiziale.
L'omesso esercizio del potere di controllo non determina, quindi, alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato.
Perciò la tesi secondo la quale un credito, anche non dovuto, divenga incontrovertibile soltanto perché indicato in una dichiarazione non più assoggettabile al potere di accertamento o verifica, striderebbe con la matrice costituzionale dell'azione impositiva, presidiata dai precetti della riserva di legge (art. 23 Cost.), del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), e anche dell'imparzialità dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.). Osservazioni
Nella sentenza in commento si precisano seguenti punti:
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