Indizi della commissione di un reato: la verifica fiscale va condotta utilizzando le garanzie di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p.
31 Agosto 2023
Massima
In tema di processo verbale di constatazione, la parte di documento compilata prima dell'insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. Il caso
La vicenda fattuale in commento prendeva le mosse dalla sentenza della Corte di Appello di Bologna, la quale confermava la sentenza del Tribunale di Parma, nella parte in cui aveva dichiarato l'imputato, quale legale rappresentante di una società di capitali, responsabile dei reati di cui agli artt. 5 e 10 d.lgs. 74/2000 e lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione. Avverso la suddetta decisione l'imputato frapponeva ricorso per Cassazione, affidandolo a tre differenti motivi. Per ciò che di interesse, con il primo motivo il ricorrente denunciava, l'inosservanza dell'art. 191 c.p.p. e relativa inutilizzabilità dei risultati probatori di cui al processo verbale di constatazione, acquisiti senza le garanzie previste dall'art. 220 disp. att. c.p.p. Eccepiva l'imputato che la sentenza impugnata si basava su prove inutilizzabili ai fini della decisione.
Il rilievo, in particolare, riguardava il processo verbale di constatazione redatto dai militari della Guardia di Finanza, nel quale erano confluiti i risultati dell'attività investigativa acquisiti, in sede di verifica fiscale, senza il rispetto delle garanzie di cui all'art. 220 disp. att. c.p.p.
Il ricorrente segnalava che durante la verifica i militari avevano reperito ed acquisitno documentazione fiscale relativa alla società di capitali ed, in particolar modo, una fattura emessa dalla predetta società per un imponibile pari ad euro 580.000,00 ed Iva pari ad euro 121.800,00.
In ragione a tale acquisizione sussistevano a carico dell'imputato precisi indizi di reato, in ordine alla violazione dell'art. 5 d.lgs. 74/2000, con la conseguenza che gli atti necessari ad assicurare le fonti di prova, avrebbero dovuto essere compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice di rito. Tale doglianza non era condivisa dalla Suprema Corte, la quale dichiarava inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
A detta della Suprema Corte, “la violazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p., non determina automaticamente l'inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l'inutilizzabilità o la nullità dell'atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l'art. 220 disp. att. rimanda” (v. Cass. 33969/2023 e Cass. 6594/2016). Occorre, il altri termini, che nell'inchiesta amministrativa sia già delineato, un fatto di rilievo penale (v. Cass. 33969/2023). La questione
La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se in tema di verifica fiscale in cui siano emersi indizi della commissione di un reato, la violazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p. determini, in automatico, l'inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza. La soluzione giuridica
Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in disamina.
L'art. 220 delle Norme di att., coord. e trans. c.p.p., approvato con Decreto legislativo 28 luglio 1989, pubblicato nella G.U. n. 182 del 5 agosto 1989 - supplemento ordinario, prevede che quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice.
La norma è posta a tutela del diritto di difesa del soggetto sottoposto all'attività ispettiva, a cui dovrà essere riconosciuto l'esercizio di tutte le garanzie difensive (quali la facoltà di nominare un difensore e il farsi assistere dallo stesso durante la perquisizione) riservate alla persona sottoposta alle indagini ex art. 61 c.p.p..
Ai sensi di tale norma, gli organi che, nel compimento di una verifica fiscale, rilevino elementi di prova di illeciti penali, debbano assicurare al soggetto, nei cui confronti è compiuto l'accertamento, tutte le garanzie previste dal codice di procedura penale per le persone sottoposte ad indagini: nel caso specifico di una verifica, che faccia emergere indizi di reato, la norma impone agli operanti di avvertire la persona sottoposta all'accertamento della facoltà di nominare un difensore e di farsi assistere da una persona di fiducia prontamente reperibile durante il compimento dell'atto istruttorio.
La violazione delle disposizioni richiamate dall'art. 220 disp. att. c.p.p. vizia la raccolta degli elementi di prova e, quindi, li rende non utilizzabili (v. Comm. trib. reg. Roma, sez. XXVII, 21 giugno 2007, n. 72). Per l'applicabilità del succitato articolo attuativo è essenziale individuare una definizione di “indizio di reato” che circoscriva ed individui l'istante temporale esatto dal momento in cui l'ispezione deve rispettare gli stretti dettami del codice di rito.
In particolare, l'indizio di reato si distingue dal semplice sospetto poiché il primo è legato ad elementi fattuali certi e concreti, mentre il secondo è una mera supposizione, vaga ed imprecisa. La nozione di reato è utile anche ai fini di individuare la linea di demarcazione tra la funzione di polizia amministrativa (preventiva) e la funzione di polizia giudiziaria (postuma e repressiva).
Tornando al caso in esame, il ricorrente eccepiva la nullità della sentenza impugnata, poiché il Giudice di merito non aveva fatto buon governo dell'art. 220 disp. att. c.p.p. nella parte in cui il giudicante non aveva disposto la non utilizzabilità della risultanza probatoria, acquisita senza il pieno rispetto delle regole e dei vincoli processuali, su cui l'intero procedimento penale era fondato.
Ciò, poiché a detta del ricorrente, il rinvenimento della fattura emessa dalla società amministrata dall'imputato aveva comportato il superamento della soglia di punibilità (€ 50.000,00) del reato previsto e punito dall'art. 5 d.lgs. 74/2000.
Tale gravame era rigettato dalla Suprema Corte con conferma della decisione impugnata. Osservazioni
Con la sentenza n. 33969 depositata in data 2 agosto 2023 la Suprema Corte ribadiva che la violazione dell'art. 220 disp .att. cod. proc. pen. non determina automaticamente l'inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell'ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l'inutilizzabilità o la nullità dell'atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l'art. 220 disp. att. rimanda (v., anche, Cass. 6594/2016).
Ciò premesso, l'inutilizzabilità dei risultati probatori deve essere esplicitamente prevista dalle norme del codice di rito a cui rinvia l'art. 220 disp. att. c.p.p..
Ne deriva che occorre da parte dell'interessato l'indicazione delle specifiche violazioni codicistiche che avrebbero determinato l'inutilizzabilità degli atti compiuti e riportati nel p.v.c., non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p. (v. Cass. 5235/2016). Diversamente, si finirebbe per vanificare irragionevolmente tutta l'attività svolta dagli organi accertatori.
In definitiva, è onere di chi eccepisce la trasgressione di quest'ultima disposizione precisare quali parti del P.v.c. siano state redatte dopo gli indizi di reato e in contrasto alle previsioni codicistiche.
Ancora, in caso di violazione della su citata norma, la parte di documento compilata prima dell'insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito (v. Cass. 54379/2018).
Tanto detto, nel caso in disamina la Suprema Corte non si discostava dalla decisione di merito e condivideva il decisum della Corte di Appello di Bologna.
Nel caso di specie, il Giudice di Seconde Cure aveva, correttamente, escluso la violazione del disposto dell'art. 220 disp. att. c.p.p. evidenziando che nel momento in cui l'imputato rese le dichiarazioni alla Guardia di Finanza non era ancora stato accertato, né il superamento della soglia di punibilità in relazione al reato di cui all'art. 5 d.lgs 74/2000 né, tantomeno, l'occultamento o la distruzione della documentazione contabile.
Al momento dell'assunzione delle dichiarazioni in questione, dunque, l'attività svolta dalla Guardia di Finanza di assunzione di informazioni nell'ambito dell'indagine amministrativa, era legittima e non posta in violazione dell'art. 220 disp. att. c.p.p. e degli artt. 63 e 64 cod. proc. pen..
Ne consegue che la decisone di merito era immune da qualsivoglia critica e/o censura e, di conseguenza, il rigetto del ricorso di legittimità. |