Danno da emotrasfusione: prova del nesso causale

Antonio Bruno Serpetti
25 Settembre 2023

Le Sezioni Unite affrontano la questione riguardante il valore di prova, o di mero indizio, da assegnare, nel giudizio civile di risarcimento del danno da emotrasfusione, al verbale della Commissione medica che abbia riconosciuto la sussistenza del nesso causale fra l'emotrasfusione e la malattia insorta.
Massima

“a) Nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, il verbale redatto dalla Commissione medica di cui all'art. 4 della legge n. 210 del 1992 non ha valore confessorio e, al pari di ogni altro atto redatto da Pubblico ufficiale, fa prova ex art. 2700 c.c. dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice che, pertanto, può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può attribuire allo stesso il valore di prova legale;

b) Nel medesimo giudizio, il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all'indennizzo ex lege n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, sicché il Ministero, per contrastarne l'efficacia, è tenuto ad allegare specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell'indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano;

c) Nel giudizio di risarcimento del danno il giudicato esterno formatosi fra le stesse parti sul diritto alla prestazione assistenziale ex lege n. 210 del 1992 fa stato quanto alla sussistenza del nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia ed il giudice del merito è tenuto a rilevare anche d'ufficio la formazione del giudicato, a condizione che lo stesso risulti dagli atti di causa”.

Il caso

Nella vicenda oggetto del caso di specie, un uomo, costretto a subire una trasfusione di sangue nel corso di un intervento chirurgico resosi necessario a causa delle lesioni patite in un incidente stradale, veniva successivamente a conoscenza di aver contratto l'infezione da virus dell'HIV.

Al fine del riconoscimento del permanente stato invalidante causato dalla trasfusione, l'uomo presentava domanda amministrativa volta alla corresponsione dell'indennizzo di cui all'art. 4 della legge n. 210/1992 (“Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”), la quale veniva accolta dalla Commissione medica di prima istanza.

Nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso dal danneggiato, il Ministero della Salute convenuto, contestava l'accertamento - compiuto dalla Commissione medica di prima istanza - della riconducibilità del contagio all'emotrasfusione ed eccepiva, altresì, la prescrizione del diritto.

La Corte d'appello respingeva entrambe le eccezioni: affermava, in particolare, che l'accertamento della riconducibilità del contagio all'emotrasfusione compiuto dalla Commissione medica ex art. 4 della legge n. 210 del 1992, non poteva essere messo in discussione dal Ministero nel giudizio di risarcimento del danno, perché proveniente da un organo dello Stato, nella fattispecie, allo stesso Ministero. Inoltre, rigettava l'eccezione di prescrizione del diritto risarcitorio, affermando che il dies a quo utile a far valere il diritto stesso andasse ravvisato nel momento in cui la malattia viene percepita e vi è la consapevolezza della derivazione della patologia dalla trasfusione.

Il Ministero proponeva ricorso in Cassazione.

La terza Sezione Civile, con ordinanza interlocutoria n. 32077/22 del 31 ottobre 2022, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, onde risolvere il contrasto giurisprudenziale sull'efficacia probatoria della valutazione della Commissione medica ospedaliera di cui all'art. 4 della legge n. 210 del 1992 nel giudizio avente ad oggetto l'azione di risarcimento del danno, in particolare quanto al nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia.

La questione

Con la pronuncia in oggetto, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affrontato la questione riguardante il valore di prova, o di mero indizio, da assegnare, nel giudizio civile di risarcimento del danno da emotrasfusione, al verbale della Commissione medica di cui all'art. 4, l. 25 febbraio 1992, n. 210 che abbia riconosciuto la sussistenza del nesso causale fra l'emotrasfusione e la malattia insorta (contagio da HIV), ai fini della liquidazione delle relative prestazioni assistenziali.

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in esame, le Sezioni Unite hanno ritenuto fondato il ricorso intentato dal Ministero della Salute in relazione al motivo di censura del capo della sentenza impugnata che aveva ritenuto provato il nesso causale fra somministrazione della trasfusione e insorgenza della patologia, sulla base del solo giudizio espresso dalla Commissione medica ospedaliera, nell'ambito del procedimento disciplinato dalla citata legge n. 210 del 1992.

Il verbale delle Commissioni mediche non ha valore “confessorio” nei confronti del Ministero. In particolare, secondo l'indirizzo nomofilattico delle Sezioni Unite, l'orientamento inaugurato dalla sentenza della Cassazione n. 15734/2018, fondato sulla natura di organo del Ministero della Salute da riconoscere alle Commissioni mediche che intervengono nel procedimento disciplinato dalla legge n. 210 del 1992, contrasta con il dato normativo.

Secondo il principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza giuslavoristica e dalle stesse Sezioni Unite, infatti, le valutazioni espresse in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria dai Collegi medici, devono ritenersi espressione di mera discrezionalità tecnica e non già amministrativa: ne consegue che le Commissioni mediche competenti ad accertare la patologia denunciata, ed a verificarne la riconducibilità ad una emotrasfusione o vaccinazione, costituiscono articolazioni del Ministero della Salute alle quali è affidata, per effetto di specifiche disposizioni di legge, la competenza ad esprimere valutazioni tecniche che integrano atti endo-procedimentali, strumentali all'adozione di provvedimenti riservati a Ministeri.

Per questo motivo, tali valutazioni sono prive di efficacia vincolante, sostanziale e procedimentale, in quanto “l'accertamento sanitario è solo strumentale e preordinato all'adozione del provvedimento di attribuzione della prestazione in corrispondenza delle funzioni di certazione assegnate alle indicate Commissioni”.

La Commissione medica, quindi, nell'effettuare l'accertamento demandatole dall'art. 4 della legge n. 210 del 1992, non agisce quale organo del Ministero della Salute e la valutazione espressa impegna quest'ultimo nei soli limiti della disciplina dettata per il procedimento nel quale l'atto si inserisce.

Da ciò, dunque, consegue il primo principio di diritto affermato nella sentenza dalle Sezioni Unite, secondo il quale “nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, il verbale redatto dalla Commissione medica di cui all'art. 4 della legge n. 210 del 1992 non ha valore confessorio e, al pari di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale, fa prova ex art. 2700 cod. civ. dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice che, pertanto, può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può attribuire allo stesso il valore di prova legale”.

Tuttavia la Corte Suprema, nel secondo principio di diritto pronunciato, chiarisce anche che, nel medesimo giudizio, il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all'indennizzo ex lege n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso di per sé sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva ed a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale. Ne viene che il Ministero, per contrastarne l'efficacia, è tenuto ad allegare specifici elementi fattuali idonei a privare tale prova presuntiva, offerta dal danneggiato, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza”.

Osservazioni

La sentenza in commento rappresenta un nuovo punto fermo nella questione delle lesioni da emotrasfusione e della determinazione del nesso causale tra queste e gravi patologie (nel caso di specie, infezione da virus dell'HIV).

La pronuncia in commento - emanata all'esito di un attento esame degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti - assume particolare rilevanza poiché permette di dirimere un contrasto giurisprudenziale che ha creato, e che avrebbe ancora potuto generare nel futuro, incertezze in materia.

Va, prima di tutto, segnalato come nella motivazione della sentenza, alla Corte preme precisare, ancora una volta, la differenza tra il diritto all'indennizzo ed il diritto al risarcimento del danno.
Essa spiega che il diritto all'indennizzo, previsto dalla legge n. 210/1992, e quello al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. (che l'ordinamento riconosce come concorrenti) presuppongono, ambedue, un medesimo fatto lesivo, ossia l'insorgenza della patologia. Tuttavia, l'azione di danno si differenzia da quella finalizzata al riconoscimento della prestazione assistenziale: difatti, mentre il rimedio risarcitorio presuppone un fatto illecito - e può trovare applicazione solo qualora il trattamento sanitario sia stato in concreto attuato senza adottare le cautele o omettendo i controlli ritenuti necessari sulla base delle conoscenze scientifiche - l'indennizzo, nei casi di lesione irreversibile derivata da emotrasfusioni o dalla somministrazione di emoderivati (diversa è la ratio dell'istituto nell'ipotesi di vaccinazione obbligatoria), trova il proprio fondamento giuridico nel dovere di solidarietà sociale prescritto dall'art. 2 Cost. e, in un'ottica più avanzata di socializzazione del danno incolpevole, è espressione dei principi desumibili dall'art. 38 Cost., quanto alla protezione sociale della malattia e dell'inabilità al lavoro, chiamando la collettività a partecipare, nei limiti delle risorse disponibili, al ristoro del danno alla salute che, altrimenti, in quanto incolpevole, rimarrebbe esclusivamente a carico del danneggiato.

Ciò detto, la Corte di cassazione rileva che, essendosi in presenza di diritti ed azioni che presentano elementi costitutivi comuni, è fondamentale affrontare le questioni che vengono sollevate nei casi di lesioni da emotrasfusione, le quali non si esauriscono solo nel valore del verbale redatto dalla Commissione Medica Ospedaliera, ma riguardano anche l'incidenza, nel giudizio civile di risarcimento del danno, dell'avvenuto riconoscimento (in via amministrativa) della prestazione assistenziale, nonché del giudicato formatosi fra le stesse parti sul diritto alla liquidazione dell'indennizzo ex lege 210/1992.

In particolare, l'interlocutoria prende le mosse dal principio di diritto enunciato da Cass., sez. un., n. 577/2008, secondo la quale il verbale redatto ai sensi della legge. n. 210/92, al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell'indennizzo, costituisce prova legale ex art. 2700 c.c. solo limitatamente ai fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o opinione espresse forniscono unicamente materiale indiziario, soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l'importanza ai fini della prova, ma non può attribuire alle stesse il valore di vero e proprio accertamento.

Per converso, secondo altro orientamento - richiamato sempre dal Supremo Collegio nell'ambito dell'ordinanza di rimessione, e fatto proprio inizialmente da Cass. n. 22183/2019 e poi richiamato da Cass. n. 35885/2021, ribadendo il valore di prova legale dell'accertamento amministrativo e valorizzando non già il verbale della Commissione, bensì il provvedimento di riconoscimento dell'indennizzo – deriva l'effetto che, se il giudice del merito avesse voluto disattendere il giudizio positivo già dato dalla Commissione ai fini della spettanza dell'indennizzo, avrebbe dovuto indicare le ragioni dell'esclusione.

Le Sezioni Unite ritengono di dare continuità al principio di diritto enunciato da Cass. sez. un., n. 577/2008, secondo il quale, al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell'indennizzo ex l. n. 210/92, i verbali delle commissioni mediche, al pari di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale, fanno prova ex art. 2700 c.c. dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in propria presenza, o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale non può mai attribuire ad esse il valore di prova legale, né ritenere che la valutazione espressa dalla Commissione medica, in ordine alla sussistenza del nesso causale fra emotrasfusione e malattia, escluda il nesso causale dal thema probandum del giudizio risarcitorio intentato nei confronti del Ministero.

Secondo tale principio, infatti, il giudizio espresso dai Collegi medici nella materia della previdenza ed assistenza obbligatoria rappresenta un'opinione tecnica e discrezionale, non già amministrativa.

L'accertamento sanitario ha natura meramente strumentale e non può vincolare il giudice in maniera sostanziale o procedurale. L'accertamento sanitario, infatti, è funzionale e preordinato soltanto “all'adozione del provvedimento di attribuzione della prestazione in corrispondenza delle funzioni di certazione assegnate alle indicate commissioni”; sicché, la valutazione espressa dalla Commissione medica, sebbene costituisca una parte fondamentale del procedimento disciplinato dalla legge n. 210 del 1992, non vincola il Ministero nel suo complesso, ma solamente entro i limiti specifici del procedimento nel quale l'atto è inserito.

Rilevano i Supremi giudici che le Commissioni mediche sono estranee all'organizzazione del Ministero e non agiscono quali organi dello stesso: il giudizio formulato all'esito degli accertamenti disposti è espressione di discrezionalità tecnica, non amministrativa; tale principio, peraltro di carattere generale, è stato già ripetutamente affermato dalla giurisprudenza giuslavoristica. Ne viene che il verbale di Commissione medica non abbia valore confessorio nei confronti del Ministero della Salute, né efficacia vincolante, sostanziale, né procedimentale. Una diversa valenza va, invece, riconosciuta al provvedimento che dispone la liquidazione dell'indennizzo in favore del danneggiato. Tale è il secondo rilievo esposto dalle Sezioni Unite, cioè che il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all'indennizzo ex lege n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva ed a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale.

Va rilevato, infine, che nel testo del provvedimento la Cassazione fa riferimento alla distinzione tra "causalità generale" e "causalità individuale, o del singolo caso". La causalità generale riguarda la capacità generale di una sostanza, o di un'azione, di provocare danni o malattie - considerando il rischio per la popolazione in generale e non per singoli individui - mentre la causalità individuale attiene alla probabilità ragionevole che una specifica legge causale si concretizzi in un caso particolare: quest'ultima accezione della causalità specifica può essere fondata anche sulla prova presuntiva, purché essa presenti i requisiti della gravità, precisione e concordanza.

Per stabilire il nesso causale in tema di responsabilità civile, infatti, il giudizio deve basarsi sulla preponderanza delle prove o dell'evidenza, cioè il giudicante è chiamato a valutare quale sia la spiegazione "più probabile che non" rispetto alle altre ipotesi.

Il ricorso alle presunzioni come mezzo di prova consente, pertanto, di giungere, comunque, alla dimostrazione del nesso causale, anche quando le prove disponibili non siano esaustive, o quando taluni aspetti rimangano incerti, sempre che, dette deduzioni si basino sulla probabilità e sulla razionalità delle inferenze derivate dai fatti noti.

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