Al giudice tributario le liti sul superbonus

Antonino Russo
26 Settembre 2023

Va rivolta al giudice tributario la domanda di annullamento di una comunicazione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, emessa ex art. 121 del D.L. n. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) per l'opzione, relativa al c.d. superbonus, per lo sconto in fattura o cessione del credito.
Il caso

Una società di capitali, soggetto non deputato ad usufruire della maxi-detrazione del 110%, comunemente conosciuta come Superbonus, ex art. 119 del D.L. n. 34/2020, se non per le spese relative alle parti condominiali, aveva proceduto alla costituzione di un condominio al solo fine di potere usufruire dell'agevolazione. Infatti, i soggetti diversi da quelli espressamente indicati dal comma 9 dell'art. 119 del D.L. n. 34/2020 (per esempio, le imprese individuali e le società) possono beneficiare del 110% esclusivamente se e in quanto condòmini, per la quota parte a loro carico delle spese sostenute per l'effettuazione da parte del condominio di interventi su parti comuni dell'edificio che, in ragione della tipologia di intervento e della tipologia di edificio, danno diritto a fruire del Superbonus.

Il competente ufficio, pertanto, non ritenendo corretta la condotta della società contribuente, annullava la comunicazione ex art. 121 del d.l. n.34/2020, utile alla opzione per lo sconto in fattura o cessione del credito.

La società di capitali interessata interponeva ricorso alla Corte di giustizia di primo grado di Trieste, territorialmente competente.

Detto Giudice, prima di dichiarare infondata la domanda nel merito, esaminava la sussistenza della giurisdizione tributaria sul caso prospettato, concludendo per la soluzione affermativa.

La questione

L'ufficio, convenuto in giudizio, eccepiva il difetto di giurisdizione in capo al giudice tributario giuliano. Lo scrutinio della questione si è distinto per l'esito a favore di una soluzione affermativa.

Questa sostanzialmente è la motivazione a suffragio di tale conclusione: «sebbene il provvedimento impugnato non sia elencato tra quelli indicati dall'art. 19 del d.lgs. 546/1992, ciò nonostante la possibilità di cessione del credito - impedito dal provvedimento dell'Amministrazione finanziaria - si pone come una delle possibilità attraverso le quali il contribuente può beneficiare dello sconto fiscale previsto dalla norma agevolatrice e, pertanto, costituisce, sicuramente, un elemento della struttura tributaria del beneficio fiscale.

L'evoluzione della giustizia tributaria è stata segnata, a partire dal riconoscimento delle Commissioni tributarie quali organi sicuramente giurisdizionali, da due snodi di fondo: il primo costituito dal progressivo adeguamento del processo tributario al processo civile; il secondo, nel continuo ampliamento della cognizione della giurisdizione tributaria […]».

La soluzione giuridica

Viste tali argomentazioni pare opportuno esaminare l'evoluzione giurisprudenziale accennata e il quadro normativo di riferimento.

Entra in gioco, in casi simili a quello della specifica materia del contendere sottoposta al giudice di legittimità, anche l'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 (norma non richiamata dal Giudice triestino) che prevede che le controversie in materia di tributi, di ogni genere e specie, comunque denominati, appartengano alla giurisdizione delle Commissioni tributarie, mentre l'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, indica invece un elenco degli atti e dei provvedimenti dei vari enti impositori e dell'agente della riscossione, suscettibili di impugnazione se aventi per oggetto tributi (Ad abundantiam, va poi ricordato che il comma 3 di tale ultimo norma stabilisce che atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente e che ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri).

Considerata l'esigenza di evitare vuoti di tutela garantire il diritto di difesa del contribuente, ex art. 24 Cost., la Corte di Cassazione si è abbastanza rapidamente indirizzata verso un'interpretazione estensiva dell'art. 19, d.lgs. n. 546/1992.

Il giudice di legittimità ha ritenuto, infatti, che le modifiche legislative intervenute sull'art. 2, d.lgs. n. 546/1992, hanno "necessariamente comportato anche una modifica dell'art. 19", ammettendo la proponibilità del ricorso alle Commissioni tributarie "ogni qualvolta l'Amministrazione finanziaria manifesti la convinzione che il rapporto tributario debba essere disciplinato in termini che il contribuente ritenga di contestare" (Cass., sez. un., 10 agosto 2005, n. 16776).

La Corte ha evidenziato, infatti, come la modifica dell'art. 2, d.lgs. n. 546/1992, nell'affermare la portata generale ed esclusiva della giurisdizione tributaria, avrebbe determinato, in verità, una sopravvenuta inadeguatezza della tipicità dell'elenco di cui all'art. 19, medesimo decreto, a cogliere la varietà delle situazioni reclamabili dinnanzi alle Commissioni tributarie.

Da ciò si è sentita l'esigenza di estendere l'elenco, o di ridimensionarne il peso, quale condizione di accesso alla giurisdizione tributaria (Cass., sez. trib., 9 agosto 2007, n. 17526).

Evidenzia quanto detto un passaggio dell'ordinanza (della sezione tributaria) n. 15946 del 6 luglio 2010, laddove si considerano impugnabili gli atti che portano "a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa si vesta in forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19, d.lgs. n. 546/92" Cass., sez. trib., 6 luglio 2010, n. 15946. cfr: Cass., sez. trib., 18 novembre 2008, n. 27385). Ciò lascia intendere che si ritengono suscettibili di impugnazione atti diversi da quelli elencati all'art. 19, ma anche gli atti che precedono taluno di questi, anticipandone il contenuto.

Come rimarcato anche in dottrina [F. Corda “attualizzazione pragmatica dell'interpretazione dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e del contrasto sulla tassatività dell'elenco degli atti impugnabili” in Dir. e prat. trib. n. 5/2020], le Sezioni Unite sono pervenute al tendenziale superamento del principio di tipicità sulla base di due ordini di argomenti distinti ma strettamente connessi: da un lato, la novella del 2001 ha trasformato quella tributaria in una giurisdizione generale nell'ambito suo proprio.

Questa trasformazione comporta anche una modifica del sistema chiuso dell'art. 19, 1 comma, d.lgs. n. 546/1992, in quanto ogni tipo di controversia in tale materia è ora azionabile dinnanzi alle Commissioni tributarie quando l'Amministrazione manifesti la convinzione che il rapporto tributario deve essere regolato in termini che il contribuente intende contestare. Dall'altro, la stretta tipicità degli atti impugnabili è stata costruita sulla base delle caratteristiche dei singoli atti, attraverso i quali poteva manifestarsi la pretesa del fisco o del contribuente, con riferimento ai soli tributi all'epoca giudicabili dal giudice tributario. Detta tipicità va pertanto adeguata al nuovo assetto della giurisdizione tributaria, in riferimento alla varietà dei nuovi tributi ed alla evoluzione dei diritti del contribuente (Cass., sez. un., 9 giugno 2005, n. 16776).

Ciò detto, atteso che con le argomentazioni di cui sopra sono state richiamate le circostanze che attengono al profilo della decisione sulla giurisdizione (cioè dell' oggetto del presente commento) si aggiunge, per mera completezza di esposizione, che – affrontando poi il merito – la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Trieste ha sospeso gli effetti della comunicazione ex art. 121 del D.L. n. 34/2020, anche se non elencato tra quelli indicati dall'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, e ha accolto le doglianze dell'Ufficio che ha disconosciuto la costituzione del condominio considerandolo artificioso e creato ad arte “per aggirare il divieto, previsto dalla legge agevolativa, di riconoscere il beneficio all' impresa appaltatrice nel caso di acquisto diretto dell'immobile e sua successiva ristrutturazione”.


Osservazioni

L'ennesima apertura tracciata dalla sentenza in oggetto all'allargamento degli atti impugnabile appare condivisibile.

Pur tuttavia è auspicabile, come già ricordato in dottrina (G.Tabet, “Una giurisdizione tributraia alla ricerca della propria identità” in riv dir trib n. 19/2009), che i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità non subiscano ulteriori interpretazioni estensive, occorrendo comunque una certa salvaguardia della coerenza del disegno teorico sulla cui base è edificato il sistema del processo tributario; ciò in quanto "il riconoscimento della impugnabilità di tali atti che, per funzione ed effetti non hanno natura provvedimentale, presuppone in effetti una radicale trasformazione del tipo di azione e di tutela esperibili in quel giudizio, il quale viene così a configurarsi come di accertamento positivo o negativo della pretesa fatta valere dall'Amministrazione finanziaria" (

G.Tabet, cit.).

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