Vizio di omessa pronuncia su una questione di rito

10 Ottobre 2023

Non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice in caso di decisione di rigetto della pretesa sostanziale che sia incompatibile sul piano logico-giuridico con la questione processuale non esaminata.

Massima

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Il caso

Il ricorrente ha impugnato un preavviso di fermo amministrativo su due automezzi di sua proprietà emesso dal concessionario del Servizio di Riscossione dei Tributi per la provincia di Caserta (ora Agenzia delle Entrate Riscossioni), ai sensi dell'art. 86 d.P.R. n. 602/1973, in conseguenza del mancato pagamento di cartella esattoriale ritualmente notificata e di comunicazione di avvenuta iscrizione di ipoteca sugli immobili di proprietà dello stesso contribuente.

La cartella di pagamento era stata oggetto di annullamento da parte della Commissione Tributaria Provinciale competente. Per tale motivo il contribuente agiva in giudizio chiedendo alla Amministrazione finanziaria con azione risarcitoria per il ristoro di tutti i danni subiti per la illegittima attività di recupero crediti da essa intrapresa nei suoi confronti.

Il Tribunale di Nola rigettava la domanda risarcitoria, condannando l'attore al pagamento delle spese processuali. Avverso la sentenza del giudice di primo grado il contribuente proponeva impugnazione, chiedendo che, in riforma della sentenza impugnata, accertata l'inesistenza della cartella esattoriale per cui è processo, gli enti appellati fossero condannati in solido al risarcimento dei danni, da lui subiti, oltre alla rifusione delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio.

La Corte di appello di Napoli, rigettando l'impugnazione, confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannando l'appellante alla rifusione in favore della Agenzia delle Entrate delle spese processuali relative al giudizio di secondo grado.

Avverso la sentenza della corte territoriale veniva proposto ricorso per cassazione, cui resisteva con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

L'impugnazione di legittimità del contribuente si è fondata su tre principali motivi:

a) l'essere non dovuta alcuna imposta per essere stato annullato in via giudiziale il titolo esecutivo che fonda la pretesa fiscale e gli atti di iscrizione formale del ruolo;

b) l'avere comunque la sentenza di appello omesso l'esame di un fatto decisivo e controverso, non pronunciandosi su alcuno dei due motivi di appello, relativi a profili di rito – e, nella specie, in relazione alla errata qualificazione della domanda giudiziale come opposizione alla esecuzione ex artt. 615 e 617 c.p.c., nonché in relazione alla errata valutazione degli elementi di prova in punto di coincidenza fra la cartella, oggetto delle procedure intentate nei suoi confronti, di preavviso di fermo amministrativo e di iscrizione di ipoteca -, deducendo che l'accoglimento dei relativi motivi di impugnazione avrebbe consentito di ritenere non provato il credito posto a base delle iscrizioni pregiudizievoli:

c) la denuncia, infine,  del vizio di omessa motivazione in cui sarebbe incorso la Corte di appello circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento alla domanda di risarcimento che aveva proposto ai sensi dell'art. 96 c.p.c., riproposta anche in sede di atto di appello.

La Suprema Corte, Sezione Terza, investita della controversia risarcitoria, con ordinanza n. 26029, depositata il 6 settembre 2023 ha ritenuto, sul tema oggetto del secondo e del terzo motivo di gravame, che, anche alla luce della nuova formulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., adottata dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, solo il vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. civ., Sez. trib., 15 giugno 2017, n. 24155, in cui la S.C., chiamata a pronunciarsi sulla lite tra l'Amministrazione ed il socio di una società di persone concernente la misura dei redditi di partecipazione, ha rilevato d'ufficio che la sentenza da essa già pronunciata nella analoga lite tra la società e l'erario, avente ad oggetto la misura dei redditi sociali, essendo passata in giudicata vincolava l'amministrazione anche in merito alla determinazione del reddito dei soci; Cass. civ., Sez. Un., 22 aprile 2010, n. 9253); contestualmente ha ribadito l'orientamento consolidato secondo cui ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. civ. Sez. 5, n.  29191  del 06/12/2017; Cass. civ Sez2, n.  20311  del 04/10/2011; Cass. Civ., Sez. L,  n.  16788  del 21/07/2006 ; Cass. Civ., Sez. 1, n.  10696 del 10/05/2007).

La questione 

La questione riguarda la configurabilità – e la rilevabilità in sede di impugnazione o di ufficio – del vizio di omessa pronuncia su un capo della domanda.

La questione posta riguarda il se sia sufficiente ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia la mancanza di un'espressa statuizione del giudice su uno dei capi di domanda o dell’impugnazione, ovvero se sia necessario che sia stato completamente omessa la pronuncia che disciplina e dà soluzione  al caso concreto. La questione riguarda l’incidenza della c.d. omissione formale o del vizio processuale e la possibilità dell’assorbimento del vizio di pronuncia quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se priva di specifica argomentazione sulla questione pregiudiziale

Le soluzioni giuridiche

La S.C., con l'ordinanza in commento, ha inteso dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale consolidato, che intende “ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia” (conf.: Cass. civ., Sez. 5, n. 29191 del 06/12/2017, cit., che, con riferimento un caso di rigetto implicito dell'eccezione di inammissibilità per tardività dell'appello avverso sentenza che aveva respinto il ricorso del contribuente per l'annullamento di una cartella di pagamento, in cui la S.C. ha osservato che  costituisce pacifico insegnamento della giurisprudenza di legittimità che “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo”; in senso sostanzialmente conforme Cass. civ., Sez. 2,  n. 20311 del 04/10/2011 e Sez. 1,  n. 24155 del 13/10/2017, in cui la Corte  ha ritenuto che non basta ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, essendo “necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto”, ciò che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia”; Cass. Civ., Sez. L, 21 luglio 2006, n. 16788; Cass. Civ., Sez. 1,  10 maggio 2007, n. 10696).

Osserva la S.C. che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha rigettato l'appello sul presupposto che non era risultato provato il danno lamentato ed ha dichiarato l'assorbimento di ogni altra domanda, confermando la sentenza di primo grado. La sentenza di appello ha, dunque, implicitamente rigettato la domanda formulata dall'odierna parte ricorrente ex art. 96 c.p.c., in quanto detta disposizione presuppone la soccombenza in giudizio della parte alla quale viene attribuito l'illecito processuale.

Gli aspetti discussi. La possibilità di formazione di un giudicato implicito sulla questione di rito logicamente presupposta dalla decisione di rigetto nel merito della domanda.

La questione trattata, eminentemente processuale e, dunque non confinata al solo contenzioso tributario, comporta la necessità di puntualizzare alcuni aspetti inerenti ai rapporti tra questioni processuali o pregiudiziali e domanda principale, apparendo necessario individuare i confini ed i limiti entro i quali si può far valere, in sede di gravame, le nullità formali della pronuncia e la loro rilevabilità d'ufficio da parte del giudice – ed i presupposti di essa -, oltre agli effetti di invalidità che possono produrre sulla sentenza, ovvero se sulle questioni omesse intervenire un giudicato implicito con la sentenza di rigetto.

Il vero obiettivo  del processo è dettare una regola solutiva  della controversia sostanziale, cui è funzionale  la sanatoria della invalidità causata dalla violazione della norma processuale.

In tal senso, se è vero che l'eventuale (questione del) vizio di presupposto processuale, ove deciso come questione pregiudiziale con una sentenza definitiva o non definitiva di rito ovvero in un capo della sentenza definitiva, insieme al merito, esclude che il giudice dell'impugnazione possa rilevare d'ufficio nuovamente la questione, di contro, la sentenza può essere impugnabile per error in procedendo o difetto di attività, in violazione di una norma processuale, per un vizio di presupposto processuale (non emerso, non sanato o non risolto), ovvero per una nullità formale non sanata che abbia inciso sulla soluzione – anche di rigetto - del caso concreto adottata con sentenza, ovvero ancora per una nullità formale propria della sentenza, che abbia inciso non sulla decisione di merito, ma sulla possibilità di pronunciare la stessa.

In via generale deve segnalarsi che la  giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere inammissibile un appello con il quale si faccia valere solo un profilo di rito, di invalidità della sentenza per ragioni processuali, senza anche censurare il merito.

Ai fini della ammissibilità del mezzo di gravame, la denuncia di vizi di rito o il difetto processuale deve ridondare in una chiara denuncia del pregiudizio effettivo all'attività di difesa e della sua incidenza sul giudizio di merito (Cass., Sez. L., 23 giugno 2014, n. 14167; Cass., 15 febbraio 2011, n. 3718; Cass., 29 settembre 2005, n. 19159).

Ciò tanto nel caso di domanda principale (opposizione o impugnazione di un atto o provvedimento tributario) tanto in sede di gravame successivo.

Il gravame, infatti, nelle ipotesi degli artt. 353 e art. 354 c.p.c., tende a provocare l'innescarsi di una fase rescissoria,  demandata al giudice di primo grado o a quello di appello, in relazione alla manifestazione del vizio omissivo, così garantendo appieno il giudizio di merito.

Può, infatti, essere interesse della parte la mera rimozione della sentenza di primo grado se invalida, pur quando abbia deciso nel merito: non sempre le censure di rito hanno «carattere strumentale e meramente subordinato» in quanto volte «ad assicurare alla parte appellante la tutela sostanziale invocata»(, poiché colui che ha perso in primo grado nel merito riceve beneficio dalla mera rimozione, per ragioni di rito, della sentenza che gli ha dato torto.

La parte, tuttavia, deve dimostrare un interesse alla rimozione della sentenza invalida che abbia deciso nel merito e se  le censure di rito abbiano solo carattere strumentale o siano volte ad assicurare alla parte appellante la tutela sostanziale invocata e quale sia il beneficio derivante dalla mera rimozione, per ragioni di rito.

Occorre dimostrare, affinché il vizio possa condurre alla dichiarazione di invalidità della pronuncia, che l'impossibilità o la compromissione della facoltà di dedurre, richiedere, argomentare, abbia causato un effetto negativo, in termini di soccombenza totale o parziale, per la parte, in ordine al contenuto della pronuncia.

La giurisprudenza di legittimità nega, in particolare, la giuridica tutelabilità di un mero interesse «all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria», teso solo a garantire «l'eliminazione del pregiudizio al diritto di difesa», per cui è ritenuta inammissibile l'impugnazione che lamenta un «mero vizio del processo», senza indicare le ragioni per cui esso ha causato un effetto negativo, in particolare per la decisione di merito (Cass. civ., Sez. 3, 20 novembre 2020, n. 26419, ove, con riferimento ad un ricorso con il quale si lamentava l'omissione - nel provvedimento di fissazione dell'udienza nel c.d. rito societario - dell'invito alle parti a depositare memorie conclusionali almeno cinque giorni prima, ai sensi dell'art. 12, comma 3, d.lgs. n. 5 del 2003, non essendo prevista sanzione alcuna per tale mancanza ed essendo stati gli atti difensivi erano stati tempestivamente depositati, restando così esclusa ogni lesione del diritto di difesa, si afferma che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali deve essere volta a garantire l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione, ciò che rende inammissibile l'impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito; in tema di procedimento tributario, in applicazione del medesimo principio Cass. civ., Sez. trib., 18 dicembre 2014, n. 26831,  in materia tributaria, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal contribuente che, deducendo una tardiva produzione documentale verificatasi nel corso del giudizio di merito, aveva omesso di precisare l'effettivo e concreto pregiudizio che siffatta allegazione aveva comportato per l'esercizio del diritto di difesa).

Con riferimento al ricorso per cassazione, poi, Cass. civ., Sez. 1,  n. 18491 del 12/07/2018, afferma che, ai fini della sussistenza del vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di un'espressa statuizione del giudice ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; ciò non si verifica qualora la domanda cautelare si fondi sui medesimi motivi addotti per la decisione nel merito e questi siano stati integralmente respinti, cosicché la relativa pronuncia deve intendersi estesa anche al rigetto della domanda cautelare (nella specie, la S.C. ha ritenuto che la decisione con la quale il giudice di merito aveva respinto l'opposizione avverso la delibera di cancellazione di una ditta dall'albo delle imprese artigiane doveva intendersi estesa anche alla domanda cautelare volta ad ottenerne la sospensiva; conf., Cass. civ. Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15901).

In tema di appello, Cass. civ., Sez. 6 – 1, n. 15255 del 04/06/2019, ha escluso il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un'espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. In senso conforme, Cass. civ., Sez. 5,  30/01/2020,  n. 2153, secondo cui “non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto, dovendosi considerare adeguata la motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l'analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguata la motivazione di una sentenza della CTR, che, a fronte della specifica eccezione relativa all'applicazione della presunzione di cui all'art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 a tutti i movimenti bancari, si era limitata a richiamare l'orientamento della corte di cassazione secondo cui la presunzione legale di cui alle predette norme poteva essere vinta solo con una giustificazione analitica sui singoli movimenti, non con argomenti generici)”.

Ancora, Cass. civ., Sez. 5, 02/04/2020, n. 7662, ha affermato, in materia tributaria, che “non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest'ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito. È quindi sufficiente quella motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l'analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi.”

L'arresto fornisce la soluzione anche alla connessa questione della prospettabilità in sede di ricorso per cassazione del vizio di omessa pronuncia come difetto di motivazione.

Nella sentenza in commento la questione è affrontata alla luce del paradigma di cui all'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. , nella nuova formulazione adottata dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, che consente di denunciare con ricorso per cassazione - oltre all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (la "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", la cd. "motivazione apparente", il "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione) - solo il vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. civ., n. 14014 del 2017, cit.). Nei fatti rilevanti non rientra, secondo la S.C., “l'omessa pronuncia sui motivi di appello, in quanto questi non costituiscono né fatti principali né fatti secondari, ma la specifica domanda, che era sottesa alla proposizione dell'appello”.

La individuazione dei presupposti per la formazione del giudicato implicito sulla domanda/questione non riscontrata nella decisione di merito, per inconciliabilità logica con essa, risulta frutto di elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite civili (Cass. civ., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20935, con riferimento al giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, in cui si afferma che “la questione relativa all'entità della sanzione irrogata è rilevabile d'ufficio, ma, in difetto di una specifica istanza, il suo esame rappresenta per il giudice non già un obbligo, bensì una mera facoltà discrezionale, il cui concreto esercizio non può pertanto costituire oggetto di censura in sede di legittimità sotto nessun profilo”; Cass. civ., Sez. Un., 1° febbraio 2008, n. 2435, che, con riferimento alla denunciata violazione dell'art. 91 c.p.c., in tema di liquidazione delle spese giudiziali, affermano che, anche nel caso di violazione della regola processuale o di mancata attuazione del contraddittorio,  che integrano ipotesi di nullità extraformali, quali vizi di presupposto processuale, è richiesta la dimostrazione, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di annullare la sentenza, della causalità del vizio, ossia l'indicazione di quali difese si sarebbero potute svolgere e come sarebbe stato diverso il contenuto della decisione).

L'effetto di tale elaborazione è che solo a tali specifiche condizioni, che manifestano l'interesse concreto al ricorso e alla utilità della pronuncia che lo definisce, si può impedire che la decisione, potenzialmente invalida, ove non è impugnata, passi in giudicato, consolidando i suoi effetti sul piano della pretesa sostanziale.

Il tema rileva ancor più sulle questioni relative al regolamento delle spese processuali, ove, sulla scia della citata Cass. civ., Sez. Un., 1° febbraio 2008, n. 2435, si rinvengono una serie di arresti della S.C. che ritengono realizzata un'omessa pronuncia la motivazione che non espliciti le ragioni del rigetto della domanda di aumento del compenso dovuto per la redazione degli atti con modalità informatiche idonee ad agevolarne la consultazione che consentano la ricerca testuale e la navigazione all'interno dell'atto, proprio in ragione dell'autonomia di tale domanda, che porta ad escludere che possa essere ravvisata un'ipotesi di rigetto implicito nel mancato riconoscimento della maggiorazione (Cass. civ., Sez. 2, n. 23088 del 18/08/2021, che afferma che, “in tema di spese processuali, realizza un'omessa pronuncia la motivazione che non espliciti le ragioni del rigetto della domanda di aumento del compenso dovuto per la redazione degli atti con modalità informatiche idonee ad agevolarne la consultazione che consentano la ricerca testuale e la navigazione all'interno dell'atto; in ragione, infatti, dell'autonomia di tale domanda è da escludere che possa essere ravvisata un'ipotesi di rigetto implicito nel mancato riconoscimento della maggiorazione” (cfr. Cass. civ., Sez. L 19 luglio 2023,  n. 21365).

Osservazioni

Con la sentenza in commento la S.C., seppur in una controversia risarcitoria conseguente all’annullamento di una cartella di pagamento, ribadisce la soluzione consolidata alla questione della rilevanza del vizio di presupposto processuale o della regola processuale,  i limiti e le condizioni per le quali questo possa dare luogo ad invalidità della sentenza, se sia deducibile dalle parti o rilevabile dal giudice in sede di impugnazione, ovvero quando la relativa questione di rito non rilevata o esaminata sia da considerarsi, per ragioni logiche, implicitamente risolta con la decisione di rigetto della domanda principale.

La questione involge il più discusso tema della formazione del c.d. giudicato implicito conseguente a decisione di rigetto nel merito della domanda principale, che presuppone la individuazione dell'ordine logico di esame tra rito e merito, alla cui luce deve valutarsi se e in che limiti  il vizio di omessa pronuncia su profili processuali mantenga la rilevabilità d'ufficio in ogni stato e grado del processo ovvero segua il principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione.

La S.C., con la sentenza in commento,  intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale che privilegia la ricerca di un effettivo interesse della parte alla impugnazione, individuando il presupposto per la formazione del giudicato implicito, nel caso di questione processuale pregiudiziale non esaminata con la decisione definitiva di rigetto nel merito, nella oggettiva inconciliabilità logica con essa, secondo i principi espressi dalle Sezioni Unite civili sopra richiamati (Cass. civ., Sez. Un., n. 20935 del 30 settembre 2009; Cass. civ., Sez. Un., n. 2435 del 1° febbraio 2008).

Si tratta di una chiara indicazione che limita la rilevabilità e la deducibilità del vizio di omessa pronuncia con il mezzo di gravame, nel caso si ravvisi una inconciliabilità logica della questione non valutata con la decisione di rigetto della domanda principale proposta, che implichi che la prima sia stata disattesa. Con buona pace dei rilievi formalistici sulla esaustività, rispetto a tutti i motivi di impugnazione, delle pronunce rese dalle Corti Tributarie di secondo grado, quando l’omissione non ridondi in un pregiudizio effettivo per la difesa del contribuente.

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