Detrazioni IVA correlate ad operazioni inesistenti, la consapevolezza del soggetto passivo può essere provata mediante presunzioni?
24 Ottobre 2023
Massima In materia di operazioni inesistenti e detrazioni IVA che l'Amministrazione “come espressamente prevede l'art. 54, co. 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”, può fornire la prova, anche attraverso presunzioni, che la parte passiva sapeva (o avrebbe dovuto sapere) che dietro la cessione di beni si celava un'evasione dell'IVA. Questo quanto disposto dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25891/2023, pubblicata in data 05 settembre 2023. Il caso La CTP di Bologna, su impugnazione della Società, con sentenza n. 259/02/16, accoglieva il ricorso nel merito annullando l'avviso. Avverso detto provvedimento l'AE proponeva appello e la Società si costituiva, riproponendo le medesime domande ed eccezioni esposte nel giudizio di prime cure. La CTR dell'Emilia-Romagna, in parziale accoglimento dell'appello e in parziale riforma dell'impugnata sentenza, rigetta il ricorso proposto dalla Società contribuente avverso l'avviso di accertamento emesso dall'Amministrazione Finanziaria, nella parte in cui l'AE recupera l'IVA detratta con riferimento alla fattura n. 29 del 31 luglio 2008, irrogando correlate sanzioni e interessi e rigetta nel resto. Nello specifico, il Giudice dell'Appello motivava come “corretta l'affermazione del giudice di primo grado secondo cui l'onere della prova della conoscibilità della frode incombe sull'Agenzia delle Entrate”. Tra gli elementi fraudolenti che la società, operante nel settore siderurgico, avrebbe dovuto conoscere, in relazione alla prima fattura, l'Amministrazione Finanziaria individua: - la vendita di acciaio sottocosto e a prezzi decrescenti; - la non operatività nel settore ad opera del venditore (che muta il proprio oggetto sociale nel febbraio 2007); - la conduzione delle trattative espletate da un soggetto estraneo alla società venditrice in luogo dell'amministratore; - il pagamento mediante unica lettera di credito irrevocabile e trasferibile. Ai suddetti elementi (della prima fattura) contestati dal Fisco, il Giudice dell'Appello statuisce che, sebbene l'acquisto ad un prezzo decrescente possa essere una circostanza indiziaria, il valore della materia prima varia ogni anno e l'AE non ha prodotto nessuna documentazione attestante una riduzione del prezzo da considerarsi anomala rispetto al mercato. Inoltre, non assume rilievo, nonché valore indiziario, che il venditore operasse da poco nel settore dato che l'attività era coerente con l'oggetto sociale. Ed ancora, l'intervento del mediatore non determina di per sé che il venditore sia un soggetto uso a commettere reati fiscali. Infine, l'AE non documenta perché il pagamento mediante una lettera di credito irrevocabile e trasferibile sia da configurarsi come un'anomalia, tale da provare che la società sapeva che il venditore non avrebbe versato l'IVA. Con riferimento alla seconda fattura, in punto di detrazione IVA la CTR ravvisa la violazione degli artt. 7 e 19 del d.P.R. n. 633/72 e dell'art. 50-bis, co. 6, del d.l. n. 331/1993 dato che il cedente ha applicato l'IVA alla fattura nonostante la merce non fosse stata sdoganata. In merito alle sanzioni, “non possono essere disapplicate poiché non sussiste alcuna condizione di incertezza in merito all'interpretazione delle norme”. Avverso la sentenza del Giudice di secondo grado l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione. La società resiste con articolato controricorso. La questione Il tema oggetto della presente questione riguarda le detrazioni IVA correlate ad operazioni inesistenti. Con l'unico motivo di ricorso si lamenta, sulla scorta dell'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell'art. 19 D.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. Ad avviso della Cassazione la CTR ha accertato, positivamente, che il venditore era solito compiere frodi IVA. Con riferimento all'acquisto a prezzi decrescenti, i Giudici della Cassazione statuiscono che la vendita è avvenuta ad un prezzo sottocosto che un operatore del settore navigato non poteva non essere a conoscenza dell'anomalia, gravando sul medesimo acquirente l'onere di informarsi sull'andamento dei prezzi. Assume valore indiziario anche la circostanza che il venditore fosse un operatore nuovo del settore. L'acquirente avrebbe dovuto procurarsi una visura storica. Ulteriore valore indiziario, sconfessando la CTR, assume la circostanza che le trattative erano state condotte per la cedente ad opera di un mediatore esterno in luogo dell'amministratore. Il Giudice dell'Appello avrebbe dovuto dimostrare che l'acquirente fosse a conoscenza che l'intermediario operasse sui conti correnti della società prelevando, con causali differenti, consistenti somme di denaro. La soluzione giuridica Affrontando il tema, la Suprema Corte ha premesso ricordando come, ove il Fisco contesti la fatturazione legata ad operazioni soggettivamente inesistenti, negando al contribuente la detrazione dell'imposta relativa, deve provare, anche soltanto in via indiziaria, che la prestazione non è stata eseguita dal fatturante. Grava, pertanto, sul contribuente l'onere di provare di non essersi trovato nella condizione di conoscibilità delle operazioni oppure, di non essere stato in grado di superare il carattere fraudolento delle attività poste in essere dai soggetti coinvolti. A tal proposito, la deduzione che la merce sia stata consegnata e rivenduta nonché la relativa fattura, comprensiva dell'IVA, effettivamente pagata non è un elemento di per sé bastevole dato che trattasi di condizioni, perfettamente, compatibili con la frode fiscale realizzata attraverso operazione soggettivamente inesistente. Nel dettaglio, in relazione alla conoscenza o conoscibilità gravante sul soggetto passivo dell'esistenza di una frode IVA la Cassazione (sent. n. 20587/2018) ha disposto che: “…costituiscono elementi di rilevanza sintomatica dell'operazione soggettivamente fittizia: l'acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell'eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati ‘cash'; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni…”. Questa tesi è stata ribadita recentemente da un'altra sentenza, emessa dalla Sez. V della Cassazione – n. 5339/2020 – con la quale è stato precisato ulteriormente che, “In tema di detrazione dell'IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte Giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), può essere fornita dall'Amministrazione anche mediante presunzioni, come espressamente prevede l'art. 54, comma 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l'assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l'immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell'attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell'operazione”. Spetta dunque al contribuente l'onere di provare la propria buona fede, ovvero l'aver agito senza la coscienza di partecipare ad un'evasione fiscale utilizzando la massima diligenza esigibile da un operatore del mercato accorto. Osservazioni Nel caso in commento si osserva che la nazionalizzazione delle merci importate si realizza solamente a seguito delle formalità doganali. Pertanto, non si concretizza l'importazione in assenza di consenso delle Dogane della dichiarazione relativa l'importazione espletata dal soggetto che presenta il materia da importare. Proprio in virtù di detta dichiarazione, ADM accerta, liquida e incassa l'IVA. Giova ricordare che l'accettazione della dichiarazione all'importazione rappresenta circostanza necessaria ai fini dell'assolvimento delle formalità richieste ai fini doganali, relativamente al pagamento dei diritti dovuti nonché della regolarizzazione ai fini IVA della merce. Soltanto quando la merce viene immessa nel territorio dello Stato sorge la soggezione della merce all'IVA. Invero, sul punto il quadro normativo di riferimento è il seguente:
Sulla scorta di tale dettato normativo, il Supremo Consesso dispone in materia di IVA su merce importata che l'obbligo di applicazione dell'imposta, e correlato diritto alla detrazione, è subordinato, alla, necessaria, procedura di sdoganamento attestata dalla competente autorità doganale sulla scorta della quale si procede ad accertare, liquidare e infine riscuotere l'IVA. La riscossione avviene prescindendo dalla circostanza che la fattura inerente la cessione sia stata già emessa e che i beni si trovino già, sul suolo italiano, presupposto che assoggetta la merce all'IVA per effetto della sua nazionalizzazione. Cass. Civ., 5 settembre 2023, n. 25891/2023 |