Locazione stipulata da un comproprietario in favore di un altro e posizione giuridica degli altri comproprietari non locatori

31 Ottobre 2023

Nel quadro dell’amministrazione della cosa comune posta in essere dalla comunione mediante il sistema deliberativo delineato dalla legge, la locazione sembra costituire, in generale, una destinazione d’uso, per così dire, residuale: invero, l’uso indiretto della cosa comune, mediante locazione, può essere disposto con delibera a maggioranza dei partecipanti alla comunione (o, in mancanza, dal giudice, cui ciascuno di questi può ricorrere) soltanto quando non sia possibile l’uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente oppure con il sistema di turni temporali o il frazionamento degli spazi; tuttavia, potrebbe darsi che la cosa comune sia concessa in locazione dal singolo comproprietario, e non dalla comunione previa la delibera di cui all’art. 1105 c.c., per cui il singolo comproprietario assuma la veste di locatore dell’intero: il problema concerne, soprattutto, la validità/efficacia del contratto di locazione, ma con riflessi anche sul momento estintivo del rapporto posto in essere.

Massima

Il contratto di locazione stipulato da un comproprietario in favore di un altro, in quanto riconducibile alla gestione d'affari altrui, è valido ed efficace nei confronti dei comproprietari non locatori che non si siano preventivamente opposti alla stipula, i quali possono ratificare l'operato del gestore, ai sensi dell'art. 1705 c.c., senza particolari formalità, e chiedere al conduttore il pagamento pro quota dei canoni di locazione maturati in data successiva all’intervenuta ratifica.

Il caso

La causa, giunta di recente all'esame del Supremo Collegio, originava dalle domande proposte da una comproprietaria di un immobile nei confronti del fratello, volte ad ottenere, per un verso, la risoluzione del contratto di locazione intercorso tra il convenuto, conduttore e comproprietario del medesimo immobile, ed un'altra comproprietaria, madre del conduttore, e, per altro verso, il pagamento pro quota dei canoni scaduti e non pagati a far data dal luglio 2011 e fino al novembre 2016, per l'importo complessivo di euro 18.300,00.

Il Tribunale rigettava la prima domanda ed accoglieva parzialmente la seconda, limitatamente all'importo di euro 3.750,00, pari alla quota di spettanza dell'intimante sui canoni di locazione dal mese di ottobre del 2017 sino al mese di luglio del 2018.

In particolare, il primo giudice, aderendo all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite nel 2012, riteneva che la fattispecie sottoposta al suo esame dovesse essere ricondotta nell'àmbito dell'applicazione della gestione d'affari e fosse soggetta alla regola di cui all'art. 2032 c.c., con la conseguenza che doveva ravvisarsi la ratifica nell'atto di intimazione di sfratto, con effetto dal 30 dicembre 2016, data di perfezionamento della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio.

L'originaria attrice proponeva gravame dinanzi alla Corte d'Appello, la quale integralmente confermava la sentenza impugnata, facendo applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite ritenuti valevoli anche per l'ipotesi in esame in cui il conduttore era anche comproprietario del bene oggetto di locazione.

La soccombente in entrambi i gradi di merito proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se la fattispecie sottoposta al Supremo Collegio rientrasse nell’àmbito di applicazione della gestione d’affari; e ciò perché nel caso deciso dalle Sezioni Unite del 2012 il bene comune era stato concesso in locazione ad un soggetto estraneo alla comunione da parte di uno dei comproprietari, contitolare del bene in ragione della metà, che ne aveva la disponibilità, all’insaputa dell’altro, mentre, nel caso de quo, si discuteva del contratto di locazione intercorso tra un comproprietario, quale conduttore ed anche comproprietario del bene immobile, ed altra comproprietaria dello stesso bene.

Ad avviso della ricorrente, nella suddetta fattispecie, avrebbe trovato applicazione, piuttosto, la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, sugli immobili oggetto di comunione, concorrevano, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione che ognuno di essi operasse con il consenso degli altri, conseguendone che il singolo condomino poteva stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile in comunione e che un condomino diverso da quello che aveva assunto la veste di locatore era legittimato ad agire per il rilascio del bene stesso, purché non risultasse l’espressa ed insuperabile volontà contraria degli altri comproprietari, la quale faceva venire meno il presunto consenso della maggioranza.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondate le doglianze della ricorrente.

Invero, la Corte territoriale aveva ricondotto, del tutto correttamente, la fattispecie qui in esame - in cui si controverte della locazione di un bene comune da parte di un solo comproprietario - all'istituto della gestione d'affari, in conformità a quanto statuito dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 4 luglio 2012, n. 11135).

In tale decisione, si era enunciato il seguente principio: “la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'àmbito della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 c.c., sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore può ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705, comma 2, c.c., applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032, esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla rispettiva quota di proprietà indivisa”.

A tale approdo, il massimo organo di nomofilachia è pervenuto all'esito di un lungo excursus delle diverse posizioni emerse nella giurisprudenza di legittimità riguardo alla questione relativa alla legittimazione del comproprietario non locatore ad agire direttamente per l'esercizio dei diritti e dei poteri contrattuali derivanti dalla stipulazione del contratto da parte dell'altro comproprietario, confermando che la locazione svolge pienamente i suoi effetti anche quando il locatore abbia violato i limiti dei poteri che gli spettanoex art. 1105 ss. c.c., essendo sufficiente, ai fini della stipula della locazione, che abbia la disponibilità della cosa locata.

A fronte delle diverse soluzioni prospettate dalla giurisprudenza sul tema, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover inquadrare la fattispecie nell'àmbito della gestione di affari altrui ex art. 2028 c.c., “consentendo tale disciplina di offrire una soluzione che vale a contemperare gli interessi e le posizioni dei vari soggetti coinvolti”.

Nel rilevare che l'esistenza di una situazione di contitolarità del bene da parte del gestore non è di ostacolo all'applicazione dell'art. 2028 c.c., si è avuto cura di sottolineare che “elemento caratterizzante della gestione d'affari è il compimento di atti giuridici spontaneamente ed utilmente nell'interesse altrui, in assenza di un obbligo legale o convenzionale di cooperazione” e che, a tal fine, si richiede, insieme alla spontaneità dell'intervento del gestore, all'animus aliena negotia gerendi, all'alienità dell'affare, all'utilità della gestione (utiliter coeptum), anche l'absentia domini, da intendersi non come impossibilità oggettiva o soggettiva di curare i propri interessi, bensì come semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui, o quale forma di spontaneo intervento senza opposizione e/o divieto del dominus.

Sulla base di tali premesse, le Sezioni Unite hanno desunto le seguenti conclusioni: a) l'opposizione del comproprietario non locatore rileva solo se portata a conoscenza e manifestata prima della stipula del contratto, ai sensi dell'art. 2031 c.c., rimanendo, in caso contrario, il contratto di locazione pienamente efficace, ancorché non vi sia il consenso del comproprietario che non ha stipulato il contratto; b) il comproprietario non locatore, il quale abbia ratificato l'operato dell'altro comunista, ai sensi dell'art. 1705 c.c., potrà sostituirsi al comproprietario locatore per il solo esercizio dei diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato con preclusione del compimento di ogni altra azione derivante dal contratto.

Il contratto sottoscritto dal comproprietario locatore e dal conduttore è, dunque, valido ed efficace, sicchè la posizione del conduttore è posta al riparo da eventuali contrasti che dovessero insorgere tra i comproprietari in ordine alla gestione del bene comune, mentre il comproprietario non locatore, che sia a conoscenza dell'intenzione dell'altro comproprietario di addivenire alla stipula del contratto di locazione del bene comune, deve manifestare preventivamente il proprio dissenso, il che lo esonera dal dover adempiere le obbligazioni assunte dal gestore, ma conserva comunque la facoltà di ratificare il contratto stipulato dal comproprietario locatore (v., in senso conforme, Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2019, n. 25433; Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2019, n. 22540; Cass. civ., sez. II, 9 aprile 2021, n. 9476).

A siffatti principi - ad avviso degli ermellini - occorre attenersi anche nella fattispecie in esame, a nulla rilevando, come ritenuto dalla parte ricorrente, la qualità di comproprietario del bene in capo al conduttore.

Come evidenziato dai giudici d'appello, “una volta riconosciuta ad un comproprietario la detenzione esclusiva della res comune in virtù di un contratto di locazione, ad opera del comproprietario che tale detenzione possa trasferire, a tale contratto, fondante un titolo di detenzione esclusiva, dovrà farsi riferimento nei rapporti con il comproprietario conduttore, potendo, poi, la disciplina in tema di rendiconto dei frutti e delle rendite senz'altro rilevare nei rapporti tra comproprietario locatore, che abbia riscosso per intero il canone di locazione, e gli altri comunisti, che siano rimasti estranei al contratto di locazione”.

La logica indicata dalle Sezioni Unite, ossia quella della gestione d'affari, è perfettamente ricorrente - secondo i magistrati del Palazzaccio - nel caso in cui uno dei comproprietari stipuli la locazione della cosa comune con altro comproprietario.

Si potrebbe pensare che tale logica difetti, perché il comproprietario che assume le vesti di conduttore non potrebbe connotarsi contemporaneamente come soggetto per cui il comproprietario che assume la veste di conduttore agisca come gerente, tuttavia, stante la diversità della posizione di comproprietario e di quella di stipulante la locazione come conduttore, non si configura alcuna incompatibilità, trattandosi di posizioni giuridicamente distinte; semmai, il comproprietario che riceve la res in locazione dovrà essere considerato - per un evidente principio di non contraddizione - automaticamente ratificante, per così dire ilico et immediate, l'operato del suo collega stipulante come locatore.

In quest'ottica, pertanto, il contratto concluso tra il comproprietario-locatore e il comproprietario-conduttore conserva piena validità ed è, quindi, opponibile all'altra comproprietaria del bene, la quale - come accertato in incontrovertibilmente punto di fatto - non essendosi preventivamente opposta alla stipula del contratto di locazione, non poteva pretendere la risoluzione del medesimo contratto, ma poteva soltanto chiedere il pagamento pro quota dei canoni di locazione maturati in data successiva alla intervenuta ratifica, coincidente con la data di notificazione dell'atto di intimazione dello sfratto per morosità.

Osservazioni

Sulla tematica affrontata dal Supremo Collegio, si è affermato, in termini generali, che ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune - e non una sua frazione - è legittimato ad agire (o resistere) in giudizio per la tutela della stessa nei confronti dei terzi o di un singolo condomino, anche senza il consenso degli altri partecipanti (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2015, n. 1650; Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1996, n. 4388).

Nelle specifiche vicende del rapporto di locazione, segnatamente allorché viene a conclusione il suddetto rapporto - per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione a seguito dell'inadempimento del conduttore - l'eventuale pluralità di locatori integra una “parte unica”, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2009, n. 14530).

Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, quindi, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, sulla base della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri, e il corollario processuale di tale principio è che, potendo il comproprietario agire in giudizio per ottenere il rilascio dell'immobile per finita locazione - è ciò sulla considerazione che si tratta di atto di “ordinaria amministrazione” della cosa comune, per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione - non ricorre la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione (v., per tutte, Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2008, n. 19929).

In quest'ordine di concetti, qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà indivisa, ciascuno dei comunisti ha, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo a regole di comune esperienza che uno o alcuni di essi gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti, sicché l'eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione ad agire nei confronti del conduttore rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari, e non può essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di colui o di coloro che apparivano agire per tutti (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2016, n. 12386; Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2016, n. 1986; Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2010, n. 5077).

Pertanto, quando la titolarità della posizione di locatore appartenga a più soggetti, i diritti nascenti dal contratto verso il conduttore, compreso quello di attivarsi giudizialmente per il pagamento dei canoni, in assenza di una specifica previsione contrattuale, sono esercitabili tanto congiuntamente quanto dal singolo o da alcuni dei contitolari, atteso che - secondo le regole generali della comunione dei diritti - la gestione dei rapporti obbligatori, non implicando “disposizione” della posizione comune ma solo un'attività di “gestione ordinaria”, è espressione del diritto di ciascuno all'amministrazione della stessa.

In proposito, la giurisprudenza ha dato vita alla costruzione del mandato presunto o tacito, affermando costantemente che il singolo comproprietario può procedere alla locazione della cosa comune anche senza l'espresso consenso degli altri comproprietari (pure in difetto, cioè, della previa delibera) agendo nell'interesse di tutti in forza di un mandato inteso quale mandato presunto o quale mandato tacito.

Per quanto non sia agevole tracciare un sicuro discrimen tra le due figure, il mandato presunto sorgerebbe, secondo l'id quod prerumque accidit, della stessa situazione di comunione, mentre il mandato tacito troverebbe fondamento sull'inerzia, sul disinteresse e, in definitiva, sul silenzio degli altri comproprietari.

Seguendo la prima impostazione (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2008, n. 19929), si è affermato che, riguardo agli immobili oggetto di comunione, il principio della concorrenza, in difetto di prova contraria, di pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, si applica sulla base della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri.

Seguendo la seconda impostazione (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 1991, n. 4261), si sostiene che il principio per cui il singolo comproprietario è legittimato a dare in locazione la cosa comune è fondato sull'essenziale presupposto che non esista dissenso con gli altri compartecipanti alla comunione, trovando così la sua ragion d'essere nella presunzione di consenso insita nel comportamento passivo dei comproprietari in relazione ad un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune, effettuato dal comproprietario resosi attivo a tutela dei comuni interessi e così venuto ad assumere la figura del tacito mandatario.

Ad ogni buon conto, che il mandato sia presunto o tacito, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 29 agosto 1995, n. 9113) sembra ritenere che tutti i comproprietari divengano “parte del contratto di locazione” stipulato, quale mandatario presunto o tacito, da uno solo di essi, sicchè, se uno dei comproprietari ha stipulato il contratto di locazione, un altro di essi può esigere l'adempimento delle obbligazioni contrattuali oppure intraprendere le iniziative giudiziarie di volta in volta confacenti (salvo non consti il dissenso della rimanente maggioritaria compagine).

In particolare, si registrano numerose pronunce (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2008, n. 2399; Cass. civ., sez. III, 5 novembre 1999, n. 12327; Cass. civ., sez. III, 10 agosto 1999, n. 8550; Cass. civ., sez. III, 29 agosto 1995, n. 9113) secondo cui ciascun comproprietario - abbia o non abbia egli stesso stipulato il contratto - è legittimato ad agire in giudizio per il rilascio della cosa locata, trattandosi di atto di amministrazione ordinaria, sia per finita locazione, sia per essersi risolto il contratto per inadempimento, sia per recesso del locatore, od altro, senza che il conduttore possa lamentare la non integrità del contraddittorio (a meno che i rimanenti condomini non dissentano dall'iniziativa intrapresa).

In buona sostanza, viene tenuto fermo il principio che ciascuno dei comproprietari, nella presunzione iuris tantum di un consenso degli altri, risulta legittimato ad agire per la cessazione del contratto attinente al godimento dell'immobile oggetto di comunione; dunque, nel caso di immobile in comproprietà ceduto in locazione, ciascun comproprietario può agire per la risoluzione del contratto, presumendosi il consenso di tutti all'iniziativa volta alla tutela di interessi comuni, salvo che si deduca e si dimostri, a superamento di tale presunzione, il dissenso della maggioranza dei contitolari, nel qual caso è necessario il preventivo intervento dell'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1105 c.c.

Qualora, invece, l'esistenza di un mandato presunto o tacito sia smentito dalla volontà manifestata dagli altri comproprietari, e cioè vi sia contrasto tra maggioranza e minoranza, prevale la volontà della maggioranza, secondo la regola stabilita dal citato art. 1105.

Quindi, è da escludere che il singolo comproprietario possa agire per il rilascio quando consti l'esistenza di un contrasto nell'àmbito della comunione rispetto all'azione giudiziaria, venendo in tal caso meno la presunzione che l'uno agisca nell'interesse di tutti: in tal caso, la mancanza di legittimazione ad agire del singolo comunista in caso di contrasto manifestato dagli altri partecipanti alla comunione, dipende da ragioni - non già di carattere processuale, bensì - di ordine sostanziale, in quanto il potere giuridico di ogni condomino di proporre qualsiasi azione relativa alla gestione ordinaria della cosa comune trae origine dal diritto che ciascun compartecipe ha di concorrere all'amministrazione della cosa stessa (art. 1105, comma 1, c.c.), ma incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la volontà della maggioranza, con la conseguenza che, ove questa non possa essere raggiunta, nessuno dei condomini può ritenersi autorizzato a proporre azioni giudiziarie di qualsiasi natura tendenti a porre in esercizio il cennato potere di amministrazione (v., per tutte, Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1992, n. 2363).

Riferimenti

Rossano, Denuntiatio in materia di prelazione urbana e comproprietà, in Giur. it., 2011, 2292;

Di Marzio - Falabella, La locazione, Torino, 2010, 172;

Gliatta, Immobile in comproprietà e danno da utilizzo ridotto: criteri per la rivalutazione del valore locativo, in Resp. civ., 2007, 974;

Pellegrini, La locazione di un bene in comproprietà, in Rass. dir. civ., 2006, 776;

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005, 103;

Giove, Alienazione di quote in comproprietà: prelazione e riscatto del conduttore, in Giur. it., 1991, I, 1, 1061;

Petrone, Sull’insussistenza del diritto di prelazione in caso di alienazione di quota di comproprietà di edificio comprendente una unità immobiliare locata ad uso non abitativo, in Giust. civ., 1991, I, 2744;

Cudia, Disciplina del recesso per necessità quando più di uno siano i locatori dello stesso immobile, in Locazioni urbane, 1983, 248;

Provera, Locazione - Disposizioni generali (art. 1571-1606), in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 100.

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